Trasloco!

Non ci posso credere.
Mi è appena arrivata la mail (no, due mail, sono come le ciliegie) con l’ufficialità della notizia: dal 19 marzo la mia sede di lavoro non sarà più Rozzano, ma via Crespi a Milano Turro. La prossima settimana, come tutti i colleghi, mi dovrò spostare dalla scrivania che ho occupato per cinque anni e mezzo e cinque aziende (e che mi ritroverò nella nuova sede…) per semplificare la vita ai traslocatori: tremo al pensiero di tutta la roba che dovrò impacchettare.
Dal mio punto di vista la nuova sede sarà una gioia: invece dei 55 minuti in bicicletta o dei 55-70 coi mezzi o dei 45-60 in automobile (che non uso per ovvie ragioni) ci metterò credo 25 minuti scarsi in bici e una mezz’oretta coi mezzi (in automobile non ci si va, visto che non la si saprebbe dove parcheggiare). Ma la cosa incredibile è che dopo anni e anni di promesse, la trafila si è sbloccata in meno di due mesi… (beh, il buon Pampado ha iniziato a rompere pesantemente e continuativamente Chi Di Dovere).
Nota che da venerdì scorso, quando la notizia è iniziata a trapelare, il borsino delle chiacchiere da caffè si è spostato verso “conviene fare l’abbonamento 2×6, o il mensile?”

Creatività

Domenica sera, in albergo, Anna si accorge che la vite che tiene fermi gli occhiali si è svitata, e quindi la lente le sta scappando via.
Fossimo stati a casa non ci sarebbe stato problema, visto che ho un microcacciavite, ma non me l’ero certo portato in giro. Abbiamo così tentato di tutto per ovviare al problema: dalle pinzette per le ciglia alla parte della biro che serve per fermarla al taschino; da una minispilla da balia a una chiavetta USB. Niente.
Però Anna – e si vede che tra i corsi che tiene ce n’è anche uno di creatività – alla fine ce l’ha fatta: tolta la vite ha fermato la lente inserendo nel foro… del filo interdentale. La soluzione è stata sufficiente per superare la giornata, poi stasera è passata da un ottico per rimettere il tutto in sesto. Poi dicono che l’igiene orale non serve!

Una gita a… Palazzo Madama

Sfruttando il fatto che oggi e domani Anna è in aula a Torino, ieri pomeriggio ho fatto una microscappata a Torino per vedere il Museo di Arte Antica che dopo quindici anni è tornato a occupare gli spazi di Palazzo Madama (nel frattempo credo che tenessero tutto negli scantinati da qualche parte, visto che io non avevo mai sospettato dell’esistenza di un simile museo fino al 2001, quando fecero una miniriapertura che riuscii a sfruttare)
Sarà stata la giornata di sole, ma continuo a pensare che Piazza Castello fa sempre il suo bell’effetto, anche se continuo a pensare che la sistemazione provvisoria a fiori del 1999 era da urlo. L’interno del palazzo è stato rifatto secondo tutte le norme di sicurezza sognabili: basti pensare che sopra ogni porta c’è tutta una serie di iconcine luminose pronte a indicare le svariate condizioni verificabili, credo manchino solo “invasione di alieni” e “fine del mondo”. C’è un ascensore panoramico all’interno di una delle torri del castello – per i non torinesi, nel Medioevo il palazzo era un castello vero e proprio con tanto di fossato; quando la reggente Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours chiese allo Juvarra di rimettere in sesto il castello, come al solito i soldi mancavano e quindi ci si è limitati a rifarne un lato. Arrivati in cima, si ha un’interessante visione di Torino da un’angolatura che mi mancava; soprattutto san Lorenzo si può vedere in tutto il suo splendore. Dall’altra parte, una scaletta che non si riesce praticamente a trovare ti fa passare attraverso la torre della porta romana – altra cosa che è poco nota, Torino non ha conservato solo le Porte Palatine ma anche le torri della porta orientale (Porta Fibellona), che sono state inglobate dal castello e poi nascoste nella facciata di Palazzo Madama.
Per quanto riguarda la collezione vera e propria, noi siamo dei volpini e siamo riusciti a perderci tutta la parte davvero importante (Antonello da Messina, Van Eyck…) visto che le iconcine sulle porte non indicano affatto un percorso guidato, e io mi sono preso sì il fogliettino con la pianta, ma non l’ho guardato affatto. A noi è piaciuto in genere il pian terreno con tutta l’arte soprattutto piemontese gotica e rinascimentale, anche se Anna si è lamentata “sono tutti minori…” Il fatto è che è interessante vedere delle opere sicuramente non perfette, ma ben diverse da quelle che siamo abituati a riconoscere come “arte italiana”. Anzi, mi stupisco che Bossi non sia ancora venuto a rivendicare qualcosa sull’arte padana. Nel nostro gioco “indovina il nome del santo” ne abbiamo imparato uno nuovo, santa Caterina d’Alessandria (d’Egitto) con la palma in mano e la ruota dentata a fianco. Abbiamo poi scoperto gli “uccisori di lapidi”, i “lapicidi piemontesi” presenti ovunque… [1] Meno interessanti i piani superiori, con pacchi di dipinti dei Savoia al primo piano e collezioni di “arte decorativa” al secondo piano; piacevole anche la parte sotterranea con le varie lapidi, anche se forse potrebbe essere messa meglio. Da notare una testa di Tiberio in bronzo lasciata lì in un anfratto, senza nessuna teca – non abbiamo fatto la prova se ci fosse un sistema di allarme agli infrarossi. La fruizione del museo sembra molto libera, insomma.
Chi non vuole spendere i sette euro e mezzo per il biglietto può comunque apprezzare al pian terreno i resti della porta romana, con un effetto un po’ strano perché ci cammini sopra grazie alle lastre di plexiglass, e lo scalone juvarriano che fa sempre il suo bell’effetto.
Ultima nota, a proposito della mostra temporanea “Sulla via di Alessandro” ospitata al primo piano: non ne vale affatto la pena. Capisco che l’idea era di fare vedere il sincretismo greco-orientale causato dalle conquiste di Alessandro, ma mischiare in quel modo i reperti di regni diversi serve solo a confondere il povero visitatore!
[1] sì, lo so che “-cida” ha la stessa radice di “ceduo”, tagliabile, e quindi sono dei “tagliatori” (non intagliatori, perché tagliano pietra e non legno)

Aha! Gotcha; Aha! Insight (libro)

[copertina] La MAA (Mathematical Association of America) sta facendo un gran lavoro insieme a Martin Gardner, recuperando tutta la sterminata produzione di giochi matematici portata avanti nei decenni dal nostro eroe. Dopo il CD che contiene la versione in PDF di tutte le raccolte degli articoli nella rubrica “Mathematical Games” sullo Scientific American ora è la volta della ristampa in un unico volume (Martin Gardner, Aha! Gotcha; Aha! Insight, MAA 2006, pag. 164+179, $47.50, ISBN 978-0-99385-551-5) di due raccolte di giochini le cui soluzioni si possono trovare senza dover fare chissà quali conti complicati. Personalmente ho trovato il primo dei due volumi, soprattutto nella prima parte, piuttosto semplicistico e forse più adatto a un ragazzino, anche se poi il libro si riscatta con la parte sulla probabilità. Molto più apprezzabile il secondo testo, con problemini e indovinelli davvero simpatici. Una piacevole lettura, anche se purtroppo piuttosto costosa: le case editrici matematiche tendono ad avere prezzi inaccessibili.

citare le fonti

Barbara mi porta agli occhi un articolo del Corsera su come le aziende telefoniche hanno “ottemperato” al taglio dei costi delle ricariche imposti loro dal decreto Bersani.
In questa sede non parlerò dei vari trucchi né delle codaconsate, ma di una frase dal mio punto di vista sconsolante.
“in tre casi […] compare uno scatto alla risposta a 19 centesimi (da 15 precedenti con un rincaro che, secondo i calcoli del Movimento Difesa del Cittadino, è del 26%)”
Passare da 15 a 19 centesimi è un aumento del 26% (più un sei periodico decimale), fin qui non ci piove. Ma proprio per questo non è che devi citare la fonte di chi è riuscito a fare questa complicatissima operazione aritmetica… È vero che per par condicio probabilmente l’articolista doveva anche citare quell’associazione utenti, ma ad esempio bastava scrivere “come nota il Movimento…” e sarebbe andato tutto bene. A questo punto mi resta un dubbio: non è che dovrei prima dire “povero italiano”?

meraviglie della tecnica moderna

La prossima settimana, tra le imperdibili offerte della Lidl, avremo il faretto LED a energia solare, da mettere sul manubrio della bicicletta.
Ecco un tipico esempio di inutilità – perché diciamocelo, andare avanti a pile ricaricabili è molto più pratico, e ho come il dubbio che la volta che la bici mi serve di sera quella se ne sia rimasta tutto il giorno in garage al buio – che farò fatica a non comperarmi :-)

Miserabili – io e Margaret Thatcher (teatro)

Ieri sera siamo stati al Piccolo (pieno ma non pienissimo) per vedere l’ultima fatica di Marco Paolini, accompagnato come al solito ultimamente dai Mercanti di Liquore.
Punto uno: Paolini continua ad essere un affabulatore fantastico. Era lì, pima che iniziasse lo spettacolo, seduto ai bordi del palco a raccontare la difficoltà idi fare la spesa al supermercato nonostante la lista bella pronta (sì, il tutto fa parte dello spettacolo, o almeno viene ripreso alla fine); poi continua a parlare, spesso con un sottofondo musicale, e si sposta senza difficoltà da un’immagine all’altra. Ecco, quello che però non dovrebbe fare è cantare. Non perché sia stonato, ma perché tende a fare il rapper, con effetto cacofonico verso le voci del trio.
Punto 2: i Mercanti di Liquore sono bravi. Un trio con due chitarre/bassi e una tastiera/fisarmonica si penserebbe un po’ vuotino, e invece sono bravissimi a inserire la propria colonna sonora per riempire lo spettacolo.
Punto 3: il testo però mi sembra un po’ debole, o forse troppo connotato.
Andrea Bajani, il coautore, ha fatto sicuramente un gran lavoro, e le associazioni tra Khomeini e la Thatcher (ma dove ha trovato che avrebbe l’Alzheimer?) che sono andati al potere nello stesso anno – il 1979 – sono intriganti, come anche continuano ad essere le storie di Nicola, l’alter ego di Paolini stesso. Però è come se mancasse qualcosa, che non saprei definire e che emerge solo dopo lo spettacolo.
Ciò detto, ritengo comunque che valga davvero la pena andare a vederlo: due ore tirate – ieri non ha nemmeno fatto l’intervallo – e tanti spunti. Per i milanesi, lo spettacolo resta in cartellone al Piccolo fino al 18 marzo.

Sergio Staino

Devo dire che negli ultimi anni mi stavo iniziando a stufare delle sue vignette (le si trova sul sito dell’Unità). È un po’ di tempo però che mi sembra ritornato in grande forma, più o meno da quando al governo c’è Prodi. Vignettista di lotta e di governo?