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Vero e falso in rete

Lunedì scorso è apparso su Internazionale un bell’articolo di Annamaria Testa, che in circa 1200 parole riesce a condensare e organizzare una serie di fatti sulla rete che dovrebbero essere di dominio pubblico ma che mi sa siano più o meno compresi solo da una piccola parte degli internettari, e anche i pochi che ne capiscono di solito non riescono a unire tutti i puntini. Perlomeno io non l’avevo fatto, poi magari voi siete più bravi di me.

Tutto parte dal concetto di vero o falso, o se preferite della post-verità (post-truth) che come mi ha spiegato il mio amico Paolo Artuso vede oramai una gara a postare tutto quello che arriva e al limite segnalare in seguito che non era vero. L’unico punto su cui sono in disaccordo con Testa è che quando c’erano Loro (televisione e giornali) testate e giornalisti si facevano carico della responsabilità di distinguere il vero dal falso. Sono abbastanza vecchio da ricordarmi di smentite relegate in trafiletti di cronaca. Insomma la mia esperienza – a posteriori, mi tocca dire, perché da ragazzo e anche da giovane ero molto più naïf – è che questo delegare non è mai stato davvero ottimale.

Il punto fondamentale, però, è che non saper distinguere il vero dal falso porta a tutti e tre i guai attuali dell’informazione in rete, ufficiale e no. Oltre alle stanze dell’eco e alle bolle di filtraggio che io appunto credo essere una costante della storia dell’umanità e che non sono altro che un delegare a qualcun altro la ricerca del vero, troviamo la propagazione di bufale da gente che non ha gli strumenti per distinguere il vero dal falso e soprattutto il complottismo, che Testa definisce come il risutato di un atteggiamento nichilista: se tutto potrebbe essere falso, significa che ci deve essere una verità per pochi iniziati.

Ovvia conclusione è che per cercare di risolvere tutti questi problemi in un colpo solo bisognerebbe riuscire a spiegare come distinguere il vero dal falso (anche se non basta, aggiungo io: bisogna anche convincere la gente a seguire queste linee guida, e visto che per farlo bisogna fare fatica non saranno comunque in molti a decidersi). Il guaio è che non ci sono regole ferree, ma bisogna seguire una serie di euristiche, anche perché mentre il falso può spesso lasciare chiare tracce sono convinto che la verità sia di solito elusiva e mai completa al 100%, come ben sa chi contribuisce seriamente a Wikipedia. Io uso spesso il rasoio di Occam e per quanto possibile cerco opinioni opposte, ma ammetto di avere un pregiudizio a favore di quelle argomentate meglio e con più fonti e contro quelle circondate da troppa pubblicità: nessuna delle due cose è di per sé garanzia assoluta di verità. Ad ogni modo, a proposito di fonti, leggete l’articolo di Annamaria Testa, perché è pieno di collegamenti a suoi altri articoli dove amplia il punto di vista. Ci vorrà un po’ di tempo, ma credo sarà ben speso.

Ultimo aggiornamento: 2016-12-17 22:09

i compleanni in ritardo di Facebook

Una delle notifiche di stamani di Facebook aveva il seguente testo: «Yesterday was XY’s birthday. Want to send him belated birthday wishes?» (Ho oscurato il nome del non-festeggiato per ragioni di privacy)

Caro Zuckerberg, che te ne importa se io ho fatto o no gli auguri di compleanno a XY? E soprattutto perché dovrei farglieli in ritardo? Lo so, la domanda è retorica. Più io uso Facebook per interagire, più tu guadagni soldi. E fare gli auguri il giorno dopo permette di allungare ancora più la vita utile di un thread.

Il vero guaio è però un altro. Non solo ho fatto gli auguri a XY, ma li ho fatti via messaggio privato con Facebook stessa, dal sito. (Non con Messenger, che non ho attivato da nessuna parte). Quindi dovresti saperlo bene, che io ieri ho interagito con XY. Non sei nemmeno capace a fare questi controlli?

Ultimo aggiornamento: 2016-12-17 22:10

Facebook, Messenger, Android

Io ho tolto da un pezzo l’app di Facebook dal mio furbofono, guadagnandone molto in termini di durata della batteria. Questo significa che se sono in giro accedo a Facebook usando il browser: c’è qualche problema con i BOFH del proxy aziendale (hanno deciso che l’acceleratore h.facebook.com è compromesso e me l’hanno anche ripetuto per iscritto, quindi ogni poco il sito è irraggiungibile) ma con qualche trucchetto sfango anche quello (basta partire dalla pagina delle notifiche che non viene accelerata).

Ora però le cose cambieranno: come già del resto succede nell’app, anche da web mobile Zuckerberg disabiliterà l’accesso ai messaggi personali, intimandoti di usare l’apposita app, cioè Messenger. Messenger che si direbbe spinta più di Google+, il che è tutto detto.

Cambieranno? Beh, sì. Io mi rifiuto di installare Messenger. Pertanto non leggerò i messaggi privati su Facebook finché non sarò davanti a un desktop. Avrò insomma un’estate più tranquilla.

Ultimo aggiornamento: 2016-12-17 22:11

La “storia Facebook” non era inevitabile

Ho cominciato a leggere Anatomia del giudizio universale di Paolo Bottazzini. Nell’introduzione, citando Richard Dawkins (L’orologiaio cieco) e Stuart Kauffman (At Home in the Universe), Bottazzini rimarca come dai testi di quegli autori si nota come per loro non solo la storia può essere interpretata come un’evoluzione, ma che quello che è capitato è inevitabile: di storia ce ne può essere una sola, lo spazio di variazione è minimo o irrilevante. Se facessimo un reboot dell’universo, o nel caso che interessa a Bottazzini ritornassimo indietro ai primi anni ’60 e alla nascita di internet, non potremmo che arrivare al risultato attuale. Non avremmo magari le società Google e Facebook, ma avremmo comunque un motore di ricerca e un social network dominanti indistinguibili da essi.

Non so se Bottazzini sia o no d’accordo con questa tesi: come scrivevo, sono solo all’inizio della lettura del suo libro. Posso però assicurarvi scientificamente :-) che questo non è affatto vero. Mi spiego meglio. Non ho nulla contro l’affermazione che è possibile ottenere un’organizzazione molto complessa senza interventi esterni: la teoria dei sistemi emergenti è lì a dimostrarne la possibilità. (Per la cronaca: l’assenza di interventi esterni è un postulato metafisico, visto che non abbiamo modo di dimostrarlo. D’altra parte, se scegliessimo come postulato l’esistenza di interventi esterni – Dio o una razza aliena è irrilevante – non potremmo dimostrare alcunché: quindi non avrebbe nemmeno senso discutere). L’altro punto su cui sono d’accordo è che l’auto-organizzazione, soprattutto se unita a un ambiente dove i costi marginali sono nulli o quasi, porta necessariamente a una struttura simile a quella che per esempio vediamo su Internet: pochi attori sovravvivono e crescono sempre di più, assorbendo gli altri attori iniziali e rendendo difficile o quasi impossibile l’ingresso di altri attori. Questo dipende da vari fattori: ma fondamentalmente la natura della rete (la retiologia, come la chiama Bottazzini) prescrive che i collegamenti non si formino a caso, ma giungano prevalentemente dove ce ne sono già. I piccoli non avranno così nuova linfa e rischieranno di morire a scapito dei grandi, che invece continueranno a prosperare; il risultato finale sarà una legge di potenza.

Mappaecg1ADetto in altri termini, il risultato “storico” qualitativo è necessariamente quello di avere pochissimi attori. Quello che contesto è che a partire dalle stesse condizioni iniziali tali attori debbano avere la stessa struttura interna di quelli che abbiamo. I concetti generici di “motore di ricerca” e di “social network” presumibilmente resterebbero: il modo in cui sarebbero declinati potrebbe però cambiare e di molto. Perché? Perché il sistema è troppo complesso, e non c’è nessuna certezza di finire nella situazione migliore in assoluto. Matematicamente parlando possiamo definire, almeno in via teorica, una funzione f che a partire dalla struttura dei collegamenti di una situazione S calcola un valore di ottimalità. Come abbiamo visto, l’ottimalità in questo caso è tipicamente data da una concentrazione su pochissimi attori, se non addirittura uno solo. Quello che però dobbiamo tenere in conto è che f ha tanti parametri. Se disegnassimo un grafico n-dimensionale ci sarebbe un punto in cui f raggiunge il massimo assoluto, ma ci sono vari punti in cui si hanno dei massimi relativi, più o meno come nel disegno qui a fianco (preso da Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/File:Mappaecg1A.JPG). La fregatura dei massimi relativi è che se quando si capita vicino a uno di essi gli algoritmi standard tendono a prenderlo per buono, perché gli spostamenti casuali che si allontanano da esso diminuiscono il valore dell’ottimalità e quindi sono sconsigliati.

Chi fa modelli matematici discreti ha ben chiaro il problema, ed esistono tecniche che permettono di ovviare almeno in parte a questa situazione: quando ero giovane e per lavoro cercavo reti neurali per il riconoscimento del parlato – un altro caso in cui si hanno vari massimi relativi – si usava la tecnica del simulated annealing, “ricottura simulata” in italiano. In pratica si definiva un parametro, la “temperatura”, che era relativo alla probabilità di fare un salto enorme da una parte all’altra dello spazio delle possibilità, per vedere se si otteneva un miglioramento che poteva essere indice di essere capitati dalle parti di un massimo relativo maggiore di quello di partenza. La temperatura viene poi man mano ridotta per focalizzarsi su una specifica regione e trovare quel massimo. Bene: anche ammesso di immaginare che nel mondo reale ogni tanto capiti quello che Nassim Taleb chiama un cigno nero, cioè un evento così inaspettato che cambia le carte in tavola, quello che avremo in pratica è che ogni ipotetico reboot del nostro universo, tendendo in genere a muoversi per piccoli passi con mosse casuali, porterà a risultati diversi. Abbiamo anche avuto esempi pratici di questo comportamento: pensate al formato per le videocassette, dove Betamax aveva specifiche tecniche migliori ma è stato soppiantato da VHS, oppure alla guerra delle console, dove Microsoft per quanti soldi e caratteristiche tecniche abbia messo dentro Xbox continua ad arrancare. Nessuno ci può garantire in assoluto che l’algoritmo PageRank che è alla base dell’ordinamento di risultati delle ricerche di Google, oppure EdgeRank che decide quali degli aggiornamenti dei nostri amici Facebook vengono evidenziati, sia il migliore. Però hanno avuto un vantaggio iniziale e hanno capitalizzato così tanto su questo vantaggio che anche se nascesse un nuovo algoritmo equivalente se non leggermente migliore nessuno lo considererebbe. Ma in un universo parallelo magari il vantaggio iniziale è stato dell’algoritmo concorrente, e il loro motore di ricerca dominante darebbe risultati diversi a parità di siti esistenti, oppure le cerchie più o meno strette di amicizie nel social network dominante si formerebbero in un modo diverso.

In definitiva, anche senza chiamare in causa il libero arbitrio potete rimanere tranquilli: la storia non è zippabile facilmente con un breve algoritmo che la genera!

Ultimo aggiornamento: 2015-12-01 15:38

Twitter, Facebook e aforismi

[falso Churchill] Ieri il mio amico Alessandro ha postato la citazione churchilliana qui a sinistra, con il commento “Condivido una bufala ma bella”. Il testo è il seguente: «When Winston Churchill was asked to cut arts funding in favour of the war effort, he simply replied “then what are we fighting for?”» che possiamo tradurre come «Quando chiesero a Churchill di tagliare i fondi culturali a favore dello sforzo bellico, lui replicò “e allora per cosa staremmo combattendo?”»

L’aforisma è carino, ma inequivocabilmente falso. Una rapida ricerca in rete fa trovare una domanda in Quora che non solo riporta la falsità ma aggiunge ulteriori informazioni tra le varie risposte, dall’affermazione più simile (ma comunque ben diversa da quella citata) trovata tra le carte di Churchill alla segnalazione che questa bufala è stata riciclata non so quante volte anche da personaggi famosi come il regista Kevin Spacey.

Qual è la morale di tutto questo? Ce ne sono diverse. Innanzitutto, non fidatevi mai degli aforismi in rete soprattutto se ben formattati: secondo me l’infiocchettamento è fatto apposta per dare una patina di verità al testo. Non è che tutto quello che si trova sia falso, chiaro: per esempio questa risposta di Gianni Morandi è stata effettivamente scritta, come si può vedere sulla sua pagina Facebook. (Nota a latere: ormai è chiaro che Morandi non c’è, ma ci fa; è il mio Digital Champion). Infine, e credo che questa sia la cosa più importante, la rete permette quasi sempre di sbufalare una bufala, sapendo cercare. Siti come Quora o il network di Stack Exchange sono delle risorse fondamentali, e tutti dovrebbero conoscerle; purtroppo sono solo in inglese perché non c’è la massa critica (spero che almeno la volontà ci sarebbe) per avere qualcosa in italiano, a parte il servizio antibufala di Paolo Attivissimo.

Lo so che è più veloce cliccare su “condividi” (no, qui non sto parlando di Alessandro): ma questo non è saper usare Internet. Fatevene una ragione.

Ultimo aggiornamento: 2015-05-22 13:28

just in time

Stamattina mi è arrivato un messaggio di auguri pasquali da un mio ex collega (ciao Pino!) che ora è in pensione, e quindi non può più usare la posta aziendale. Ha spedito la sua mail da hotmail.it, che come usuale ha aggiunto un footer in fondo con un po’ di pubblicità sinergica aziendale. Il problema non è tanto la presenza del footer, quanto il suo testo:
Per questo Natale fai i tuoi auguri con Messenger! Windows Live Messenger.
Ma in Microsoft sono indietro di tre mesi o avanti di nove?

Ultimo aggiornamento: 2016-12-17 22:11