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Zuckerberg ha pensato a me

Quando Facebook ha deciso che eravamo tutti bimbominka e ha cominciato a fare le animazioni quando scrivevamo “auguri / congratulazioni / baci” e simili mi è davvero saltata la mosca al naso. Ricordate che io sono anzyano, e per me la rete è fondamentalmente testuale: una cosa del genere grida vendetta al cospetto del dio della rete. Il risultato pratico è stato cominciare a storpiare le parole: “augùri / auguuuri / congratulescions” e così via.

Mi sa che non sono stato il solo: da qualche tempo, se uso una di quelle parole chiave appare una crocetta vicino che posso cliccare per evitare le animazioni. Era ora, anche se continuo a non capire perché la semplicità non sia il default.

Daniel Dennett e il pensiero critico

Riuscire a pensare prima di esprimere un’opinione sta diventando sempre più difficile: non tanto perché stiamo diventando più stupidi (quantunque…) ma soprattutto perché siamo esposti a troppe informazioni e non abbiamo il tempo di distillarle e ottenere della conoscenza. Mai come oggi occorrono insomma tecniche per riuscire a pensare “bene”: non grandi pensieri ma pensieri che abbiano un minimo di base. Cinque anni fa il filosofo americano Daniel Dennett esplicitò i suoi sette strumenti per esercitare il pensiero critico in campo filosofico. L’articolo originale del Guardian sembra sparito nelle secche di Internet, ma per fortuna è facile trovare una parafrasi dei suoi consigli. Eccoli qua.

1. Sfrutta i tuoi errori

Tutti noi sbagliamo. Quando ce ne accorgiamo o siamo costretti ad accettare la cosa, il nostro primo impulso è di trovare delle scuse; al massimo accettiamo la cosa e cerchiamo di nascondere anche a noi stessi l’errore. (Avrete già capito che, come del resto fa Dennett, mi sto rivolgendo a persone intellettualmente oneste. Se siete tra quelli convinti di avere sempre e comunque ragione, perché state leggendomi?) Ciò che invece dovremmo fare è fermarci, fare un bel respiro, stringere i denti e analizzare l’errore col maggiore dettaglio e nel modo più asettico possibile. Certo, farà male. Ma ci dà la possibilità di imparare davvero dagli errori, e non limitarci a evitare di rifare le stesse cose.

2. Rispetta il tuo interlocutore

Non è una banale massima di bontà, ma un trucco retorico e logico allo stesso tempo. Molto prosaicamente, se vogliamo persuadere gli altri dobbiamo fare in modo che ci ascoltino davvero, e non si limitino a rispondere automaticamente alle nostre affermazioni. Per avere qualche chance di riuscirci, dobbiamo evitare di essere pedanti, aggrapparci alle minuzie, insultanti, o banalmente non equi. Dennett dice che dobbiamo prima dimostrare di aver capito le loro posizioni tanto quanto loro stessi, e di essere onesti.

3. Attenti al clacson “certamente”

Mentre il punto precedente si applica quando ci troviamo in una discussione, questo viene usato quando stiamo leggendo un saggio, o almeno qualcosa in più di una battuta. A che serve un clacson, oltre che a far casino quando la nostra squadra del cuore ha vinto il campionato? Serve a segnalare una situazione di pericolo. Bene. Quando qualcuno scrive “certamente”, o parole simili come “ovviamente” è come se stesse suonando un clacson. Se una cosa è davvero ovvia o certa, perché sottolinearlo? Quello che spesso capita nella realtà è che l’autore non sia poi così sicuro che la cosa sia così certa e speri che il lettore la accetti senza pensarci troppo su.

4. Rispondi alle domande retoriche

Una domanda retorica non è poi troppo diversa dall’uso di parole come “certamente”: viene fatta per fare sì che l’interlocutore pensi (come sempre, stiamo parlando di persone in grado di pensare) che rispondere sia imbarazzante. Dennett fa l’esempio di una striscia dei Peanuts, dove Charlie Brown domanda retoricamente “Chi può stabilire cosa è giusto e cosa sbagliato?” al che Lucy replica immediatamente “Io.”, destabilizzando ancora una volta il povero Charlie Brown: se fosse un filosofo sarebbe costretto a riesaminare il proprio pensiero, non foss’altro che perché ha scoperto che in effetti c’è chi si arrogherebbe questo diritto.

5. Usa il rasoio di Occam

No, non è stato Occam a inventare il principio che porta il suo nome, e che al suo tempo – il XIV secolo – era noto come lex parsimoniae. Non è il nome che conta: l’importante e applicare l’idea, vale a dire non concepire una teoria complicata e stravagante se ce n’è una più semplice (con meno ipotesi necessarie e meno enti in gioco) che funziona allo stesso modo.

6. Non sprecare tempo con le idiozie

La legge di Sturgeon afferma “Il 90% di qualunque cosa è spazzatura.” Forse la percentuale è un po’ esagerata, ma il punto è che è inutile perdere tempo su temi che sono semplicemente sbagliati o falsi, il tutto per amore delle discussioni ideologiche. Chiudete subito: ci guadagnerete in tempo a disposizione e minore acidità di stomaco.

7. Fa’ attenzione ai profondismi

Dennett lascia questo punto per ultimo perché fa parte della sua pluridecennale lotta conto metafisici, mistici, teologi, filosofi postmoderni e poeti più o meno ermetici. Il termine “profondismo” (in inglese “deepity”) è stato coniato dall’informatico Joseph Weizenbaum ma è stato adottato da Dennett; un profondismo è “una frase che sembra essere un’importante e profonda verità, ma solo perché è intrinsecamente ambigua”.

Tutto questo ci servirà nelle discussioni in rete? Secondo me, non molto. Come chiosavo all’inizio, i punti elencati da Dennett servono per esercitare il pensiero critico, non per infilarsi tra le schiere dei beoti e uscirne – se non proprio vincitore – almeno vivo. Però applicare questi punti può servire (stavo scrivendo “certamente”…) a smascherare quanto ci viene propinato dai vari social guru in proprio oppure affittati da Chi Si Ritiene Importante. Come sempre ci vuole tempo, ma con un po’ di esercizio almeno i campanelli di allarme dovrebbero suonare subito. Vi sembra poco?

Ultimo aggiornamento: 2018-08-27 11:00

Chi diffonde davvero le bufale

La tesi di base di Scimmie digitali, il libro che io e Paolo Artuso abbiamo pubblicato all’inizio di quest’anno, è che la cosiddetta rivoluzione digitale di questi ultimi anni non ha in realtà cambiato il modo in cui noi esseri umani comunichiamo. Certo, sono cambiati i mezzi con cui comunichiamo: ma per quanto plastico il nostro cervello sia esso non può essere così diverso da quello di vent’anni fa. In fin dei conti, anche senza rifarci alle grandi scimmie antropomorfe come abbiamo raccontao nel libro, vediamo tutti come i temi alla base delle tragedie greche sono ancora oggi riciclati per film e serie televisive.

Il mio pensiero è sempre stato che le chiacchiere da Facebook non hanno nulla di diverso, né nei temi trattati né nel loro contenuto medio, dalle chiacchiere da bar di una volta, e da quelle in piazza ancora prima: tutt’al più abbiamo un numero maggiore di potenziali intelocutori, anche se la legge di Dunbar ci dovrebbe ricordare che non riusciamo fisicamente ad avere interazioni serie con più di un centinaio o due di altre persone: un’altra prova che non siamo poi cambiati più di tanto. Eppure sembra proprio che questo sia falso: oggi pare che i leoni da tastiera siano sempre di più, e che si stia precipitando sempre più verso un baratro che nemmeno la legge di Cipolla aveva previsto così profondo: per lui in fin dei conti la quantità totale di intelligenza nel mondo rimane costante, non in diminuzione. Come spiegare questa discrepanza tra la teoria e la pratica, oltre che ammettere che la teoria è sbagliata, cosa su cui però non cediamo per nulla?

Un punto importante è sicuramente il copia-e-incolla, che non nasce con Internet ma con essa ha certo avuto un impulso notevolissimo. Il mantra “CONDIVIDI SE SEI INDIGNATO!!!!11!!” presenta l’enorme vantaggio competitivo di non richiedere uso del cervello o capacità di lettura del resto del testo – lasciamo perdere la comprensione, sarebbe davvero pretendere troppo – ma solo un clic. Magari non ci ricordiamo nemmeno del motivo per cui avevamo cominciato a seguire quella pagina: chissà, all’inizio forse scriveva cose che ci interessavano, e non ci siamo accorti della lenta deriva dei temi da essa trattati, perché non possiamo seguire proprio tutto quello che ci arriva come ci ricorda il numero di Dunbar. O peggio ancora abbiamo scelto di fidarci acriticamente di loro, sempre per la stessa ragione dell’impossibilità di seguire tutto, e abdicato all’uso dei nostri neuroni.

Tutto questo però non è sufficiente. Certo, arrivare ai grandi numeri è più facile di un tempo. Certo, la natura sociale umana fa sì – da millenni… – che più persone si radunino maggiore è la quantità di idiozie che possono produrre, e l’aumento è molto più che lineare perché tutti fanno a gara per spararle più grosse. Ma anche così non si spiega questo boom, non foss’altro che perché i copincollatori seriali per definizione non sono di solito in grado di esprimere un pensiero compiuto più lungo di dieci parole. Di chi è dunque la colpa di questa deriva? Semplice. La colpa è di tutti i politici che fanno campagna elettorale permanente a colpi di tweet, scegliendo quello che pare il punto di vista più condiviso (che in realtà almeno inizialmente è il più urlato). La colpa è di tutti i giornalisti che invece che fare il loro lavoro si limitano a fare cassa di risonanza non solo dei tweet dei politici ma di tutte le peggiori beceraggini trovate, per aumentare l’audience e non dover faticare. Soprattutto la colpa è di tutti noi. Sì, la colpa è nostra. È assolutamente inutile rispondere nel merito a qualcuno che tanto non leggerà mai quello che scriviamo, e probabimente non lo capirebbe comunque; spiegare le cose in modo comprensibile è una cosa complicata, io cerco di farlo da anni in un campo di per sé poco controverso come la matematica e non ci riesco mica sempre. È stupido pensare di replicare ai loro slogan con altri slogan di segno opposto: l’incisività è un’arte ancora piû complicata della divulgazione, e non possiamo competere con i professionisti pagati per creare gli slogan per politici e affini. Infine è deleterio condividere anche solo per ridere i post più imbecilli che troviamo in giro. Il post sarà anche imbecille per noi, ma non lo è evidentemente per tanta altra gente, e condividendolo stiamo facendo gli untori permettendogli di raggiungere altri lettori “non vaccinati”. Bel risultato, vero?

Attenzione. Non dico di rassegnarci e tacere; una soluzione simile è forse ancora peggiore di quanto capita oggi. Invece che condividere oppure commentare su post in cui tanto nessuno ci darà retta, è forse più utile scrivere una risposta ex novo (meglio se pubblica) e taggare i postatori originari. In questo modo avremo il vantaggio di giocare in casa, di potere cancellare i commenti pavloviani senza nessun contenuto e soprattutto di non contribuire a propagare quanto scritto da altri. Chiaramente quanto scriviamo deve essere a prova delle truppe cammellate di segnalatori seriali – ma tanto non vogliamo mica scendere al livello dialettico di certa gente, no? – il che dovrebbe essere più semplice se ricominciamo da zero e non rispondiamo. Evitiamo di entrare nelle discussioni; come si sa, non conviene mai farlo con un minus habens, perché prima lui ti porta al suo livello e poi grazie alla sua esperienza vince facile. E infine cominciamo a condividere i post con cui siamo d’accordo. Non potremo mai arrivare ai numeri dei bercianti, per l’ottima ragione che prima di condividere dovremmo essere certi che il testo altrui è interessante e questo richiede necessariamente tempo; ma almeno sapremo di non essere soli e che la nostra fatica non è inutile. Non raddrizzeremo le zampe ai cani, ma daremo un bastone agli zoppicanti.

Facebook e i contenuti “da fuori”

[logo Facebook] Non so se ve ne siete accorti, ma è diventato praticamente impossibile per un sito terzo postare su Facebook per conto di un utente. In queste ultime due settimane ho scoperto che né Goodreads né Tumblr permettono più la condivisione, e mi dicono che lo stesso succede con Twitter e Youtube (dove però non l’ho mai provata). Per il momento Zapier (che copia queste mie notiziole sulla mia fanpage Facebook) sembra funzionare, ma a questo punto non so per quanto; il risultato pratico è che non vedrete più le condivisioni Goodreads delle mie recensioni di libri (ma tanto erano repliche di quelle dei miei post) né i miei rari post su tumblr, se non andate direttamente alla fonte. A me cambia poco, a voi ancora meno.

Quello che mi chiedo è però la logica di questo cambio di impostazione, che ripeto è da parte di Facebook e non delle varie applicazioni. Finora la filosofia di Zuckerberg era “facciamo diventare FacciaLibro il lavandino dove viene riversato tutto quello che si produce in giro, in modo che la gente si fermi qui e veda la pubblicità che gli inserzionisti pagano a me”. Una scelta di per sé logica. Ma ora sembra che le cose siano cambiate, qualcosa del tipo “sono abbastanza grande per convincere tutti a postare direttamente da me i loro contenuti”. È una mossa preoccupante, dal mio punto di vista: non tanto per me ma per Internet in generale. Ma la mossa potrebbe anche ritorcersi contro di loro, anche se mi sa che i tempi dei feed RSS per le masse sono ormai passati. Voi che ne pensate?

Ultimo aggiornamento: 2018-08-08 17:03

L’account Facebook può passare agli eredi

È chiaro: non potrei fare l’avvocato o tanto meno il giudice. Ci sono cose che proprio non capisco, come i sei anni necessari per arrivare alla corte suprema (tedesca, non è un problema nostrano) e vedere deciso che l’account Facebook di una ragazza morta sotto un treno quando aveva 15 anni fa parte dell’eredità e quindi la password deve venire consegnata ai genitori.

Avrei forse capito un po’ di più la linea di difesa di Facebook – il contratto d’uso era stato fatto con la ragazza, e quindi alla sua morte esso termina automaticamente – se si fosse trattato di una persona maggiorenne. Per quanto riguarda un minorenne non c’era storia: non dico che non è tutelato per la sua privacy, ma sicuramente un concetto di patria potestà esiste. Più che altro mi chiedo perché Zuckerberg abbia cercato in tutti i modi di evitare la consegna dell’account. Che possano accedere a tutti i profili degli utenti è così ovvio che non credo pensassero di cavarsela dicendo che era impossibile; il precedente che si è creato è per utenti defunti, che tanto pubblicità non ne vedono più e soprattutto non si lamentano. Mistero.

Sembra facile moderare i commenti

Cosa fare con i commenti in rete? Non c’è una risposta univoca, questo è chiaro. Il guaio è che ci sono tendenze opposte: molti grandi siti sfruttano i commenti per costruire a spese degli utenti la loro offerta – pensate a Facebook e Twitter, tanto per dirne due – e quindi devono tenerli; ma la natura umana porta spesso a trascendere, e quindi il costo per eliminare i commenti più ingiuriosi sta crescendo sempre più.
Qui nelle mie notiziole il traffico è così limitato che posso permettermi ciò che sta diventando un lusso: non moderare se non automaticamente. Dal 2001 avrò cancellato al massimo cinque commenti che potevano avere conseguenze penali; per il resto lascio anche quelli che non portano alcuna nuova informazione ai miei ventun lettori. In altri posti evito direttamente di leggere i commenti, se non una volta al mese o giù di lì per ricordarmi com’è la gggente. Resta però una nicchia di siti in cui la discussione è generalmente civile e quindi ogni tanto indulgo a leggere e magari scrivere. Qui nascono i problemi.
Qualche giorno fa Massimo Mantellini ha parlato della direttiva copyright dai miei amici del Post. Ho commentato subito, poi mi sono dimenticato di controllare. Ieri, pungolato da Disqus, ho visto alcuni altri commenti interessanti e ho risposto. Solo che il Post modera i commenti, quel post è relativamente vecchio (gli ultimi commenti erano di due giorni prima) e così in questo momento quanto ho scritto è “pending”. Capisco che ci vogliono risorse per verificare quanto scritto da gente di tutti i tipi, ma a questo punto forse conviene applicare la famosa tecnica “qui e ora” e chiudere i commenti dopo un certo tempo. Almeno risparmio la fatica di scrivere :-)

Ultimo aggiornamento: 2018-07-12 12:17

Echo- ed ego-chambers

Come mi capita spesso :-), non sono d’accordo con quanto Massimo Mantellini ha scritto sulle bolle.
Per come la vedo io, la prima cosa da considerare è che è ovvio che «Il Papa per i suoi commentatori è uno come un altro. Perfino la bolla di rispetto e ossequio verso il capo della chiesa di Roma può essere bucata. In massa e con violenza.» Non appena il papa (o chiunque altro) si inserisce in un sistema che non è uno-a-molti ma molti-a-molti (oppure come nel caso di Twitter molti-a-uno) non c’è nessuna ragione per cui non debba essere uno come un altro, almeno in quel contesto.

Ma il vero punto è un altro, e cioè il concetto di “bolla”. Quando «si tratta di contenuti aggressivi, sgrammaticati, incuranti di qualsiasi minima civile contrapposizione dialettica» io non parlo di bolla che scoppia, parlo di minus habens che esistono, sono tanti, è bene sapere che esistono ma non mi dicono nulla e quindi non considero per nulla, qualsiasi sia la loro opinione urlata a sé stessi (l’ego chamber citata da Vera Gheno). Che informazione mi danno, a parte appunto il bit “sono minus habens e sono tanti”? Nulla. Quindi non c’entrano con la bolla. Con Massimo invece la cosa è diversa, ed è per quello che lo leggo anche se spesso non sono d’accordo: lui argomenta le proprie opinioni – lo fa anche in maniera non urlata, il che è certo un bonus ma dal mio punto di vista non è fondamentale – e quindi mi dà nuova informazione e mi costringe a processarla ed eventualmente a modificare le mie opinioni.

Io sono una brutta perZona: sono almeno quindici anni che ho scelto di non raddrizzare le gambe ai cani su internet. La mia bolla me la gestisco io, e non è un caso che io continui a scrivere sul blog e al più inoltri automaticamente i miei testi in giro sui social.

Ultimo aggiornamento: 2018-06-20 12:07

StumbleUpon

Leggo sul Post che dopo sedici anni StumbleUpon chiude. Ero convinto avesse chiuso già otto anni fa o giù di lì… In effetti ho dovuto cercare faticosamente qual era l’email con cui mi ero connesso (l’account era “mau”, quindi più facile).

Credo che sia stato il primo importante sito dove salvare documenti che tanto non si avrebbe mai avuto il tempo di leggere, ben prima che arrivassero Pocket e Instapaper (che però in questi giorni causa GDPR ha una grossa crisi). La cosa strana, se volete, è che sia sopravvissuta…

Per la cronaca, l’ultimo post che avevo salvato era del 2006 :-)

Ultimo aggiornamento: 2018-05-25 10:01