Archivi categoria: socialcosi e internet

È il mercato, bellezza!

Leggo sulla Stampa che la Grande G ha minacciato di chiudere il suo servizio Google News se nella direttiva sul copyright nel mercato digitale resterà la formulazione dell’articolo 11 votata dall’Europarlamento, e cioè che occorrerà chiedere una licenza ai produttori media se oltre al link viene usata più di una parola (il testo votato recita «I diritti di cui al paragrafo 1 non si estendono ai semplici collegamenti ipertestuali accompagnati da singole parole.»)

Onestamente non capisco tutti questi pianti sulla snippet tax (“tassa sulle citazioni”, se vogliamo dirla in italiano: chi aveva coniato l’espressione “link tax” avrà avuto le migliori intenzioni del mondo, ma non ha pensato che sarebbe stato facile mostrare che tecnicamente quel nome era errato e chiudere così il confronto sui veri temi). Premessa: copiare integralmente o in buona parte un articolo era ed è una violazione di copyright, e su questo penso siamo tutti d’accordo, anche chi è per principio contro il concetto di copyright. Parliamo ora della citazione di un articolo – dove per “citazione” basta anche solo il titolo, ricordo: non sono poi molti i titoli formati da singole parole. Gli editori ritengono che la citazione abbia un valore commerciale e quindi chiedono di poter essere ricompensati per il suo uso; Google ritiene che il valore commerciale dal proprio punto di vista sia zero, e quindi non intende fare alcun accordo che abbia un costo maggiore di zero. Vivaddio, non siamo in regime di monopolio: se ci sarà qualcuno che invece ritiene che fare una raccolta di citazioni abbia un valore commerciale, costui non avrà nessun problema a ottenere la licenza necessaria. Con una battuta: «Non capisco, Google. Perché non vuoi pagarci per il piacere di permettere alla gente di arrivare sui nostri siti?» Certo, sarebbe stato molto meglio avere una direttiva che dicesse chessò che un certo numero di caratteri fosse permesso, in modo che il visitatore avesse un teaser che lo convincesse ad andare a leggere tutto l’articolo sul sito del giornale, ma a quanto pare quest’idea non è venuta in mente a nessuno.

Se siete curiosi di sapere come Wikipedia sarà impattata da questo articolo della direttiva, lo sono anch’io :-) Non facendo parte di Wikimedia Foundation posso solo presumere che cosa succederà. La mia ipotesi è che WMF chiederà licenze gratuite per l’uso dei titoli degli articoli di giornale, visto che per il resto il lavoro dei volontari è sempre fatto manualmente e non ci vuole molto a riformulare il testo per non incorrere nelle ire del legislatore. In caso di diniego, rimarranno i link e i metadati (testata, data, autore) ma verranno eliminati i titoli. I fruitori dell’enciclopedia libera ci perderanno qualcosa, ma se è l’Europa che lo vuole… Dal mio punto di vista sono più preoccupato di cosa potrebbe succedere ad archive.org, se devo dirla tutta.

Ultimo aggiornamento: 2018-11-20 10:13

Amazon Influencer Program

Stamattina mi è arrivata questa mail da amazon.co.uk (dove in teoria avrei un sistema di referrer, anche se non ho mai guadagnato un penny):

Fancy earning extra advertising fees from your social media profiles?

The Amazon Influencer Program launched in March 2017 in the USA, is now available in the UK. This affiliate program for influencers enables social media personalities to recommend products and earn income on qualifying Amazon items they promote through their channels.

Influencers receive a short, personalised ‘vanity URL’ – ideal for sharing – linked to their own storefront on Amazon, where they can curate lists of their favourite products. To qualify for the Amazon Influencer Program we take into various criteria such as: audience size, engagement metrics, relevancy of content and topics.

Non so se e quando faranno la stessa cosa in Italia, e comunque io non sono certo “qualificato” (nel senso che i requisiti non li ho). Però questo infilarsi di Amazon nel campo degli influencer mi pare una brutta cosa. Un conto è mettere il link del referrer ai libri che recensisco, visto che tanto li ho letti e ne parlerei in ogni caso; altra cosa è parlare dei miei “prodotti favoriti”…

Ultimo aggiornamento: 2018-11-09 18:01

Il falso testo dell’intervista a Dijsselbloem

David Puente scava sulla notizia pubblicata dal “Movimento 5 Stelle Europa” (no, non è un fake): un video dove Jeroen Dijsselbloem, consigliere strategico per il Meccanismo Europeo di Stabilità, «in una intervista alla CNBC invita apertamente i mercati a punire l’Italia facendo salire gli interessi sul debito.» Le immagini video sono reali, ma nell’intervista – dove non si sente il testo originale ma solo un commento sovrainciso – Dijsselbloem dice qualcosa di diverso: è preoccupato per la manovra italiana e non sa cosa faranno i mercati. Puente spiega poi come il video “scovato” dai pentastellati europei arriva da Pandora TV, cioè Giulietto Chiesa. Quando la notizia della falsa traduzione è filtrata, il Movimento 5 Stelle Europa ha cercato di metterci una pezza, glissando amabilmente su quanto aveva scritto e affermando che comunque Dijsselbloem aveva affermato che «se la crisi italiana diventa una crisi più grande… proprio per come l’economia e le banche italiane sono finanziate, sarà una implosione piuttosto che una esplosione», dimenticando di aggiungere la parte sostituita dall’ellissi, che è «it will mainly implode into the Italian economy, as opposed to spreading around Europe». Detto in altri termini, Dijsselbloem ce l’ha con le politiche dell’attuale governo, ma non gliene importa poi molto di quello che succede, perché a suo parere la crisi ce la terremo solo noi.

Cosa impariamo da questa storiella? Tante cose. La prima: chissà se quando Giulietto Chiesa faceva i reportage da Mosca raccontava quello che succedeva o quello che a lui piaceva dive. La seconda: non fidarsi mai delle fonti non originali (per quelle originali, verificare di volta in volta). La terza: M5S continua a non aver ben chiaro come funziona la rete, o se preferite intende solo parlare ai propri adepti e quindi non si perita di verificare la qualità delle fonti (non dico di sapere chi sono quelli di Zero Hedge, ma almeno Pandora TV…) né di chiedere scusa.

GDPR o paraculismo?


Questa è la pagina che ho ottenuto cercando di aprire un articolo (assolutamente inutile, per la cronaca, visto che l’articolo in questione è una copia di quanto scritto sul Los Angeles Times dal direttore esecutivo della Wikimedia Foundation, e che si trova anche sul sito WMF). Questo giornale del Wisconsin ha deciso che a lui degli accessi europei non gliene può fregare di meno, che ottemperare al GDPR è troppo complicato, e quindi blocca tutti gli accessi.

Ora, il GDPR è un problema per chi tratta davvero i dati, ma se stai semplicemente vedendo una pagina di dati personali non ne tratti, e puoi usare uno dei tanti file di privacy policy che si trovano in giro (tipo la mia, che tra l’altro era anche mal formattata… non se ne è accorto nessuno, tanto per dire la sua utilità). Chissà se il problema del Kenosha News è pura pigrizia o altro…

I blocchi su Facebook

Qualche settimana fa ho scoperto per caso (in uno dei gruppi che frequento c’era indicato un suo commento che non riuscivo a trovare) che una persona mi ha bloccato su Facebook. Ah: ricordo che su Facebook conosco personalmente i miei “amici”. Nel suo caso, tanto per dire, ho i suoi numeri di telefono fisso e mobile, anche se a questo punto presumo non mi risponderebbe: questo per mettere le cose nella giusta prospettiva. Visto che non ho avuto nessun sentore della cosa, immagino che il blocco sia dovuto al fatto che io abbia scritto (da me: non frequentavo la sua bacheca) qualcosa che non avrei dovuto scrivere. Ricordo però che in passato questa persona si era anche messa a separare in varie liste i suoi contatti FB e poi selezionava la lista ogni volta che scriveva qualcosa: magari ha deciso di fare un passo ancora oltre e bloccare coloro con i quali non aveva a che fare per lavoro. In ogni caso è una sua scelta.

Quello che trovo più interessante, al di là del singolo caso, è la teoria generale dietro ai blocchi. Da un lato ci sono le “sospensioni a tempo” comminate da Facebook se mostri un capezzolo femminile oppure scrivi “negri” o ancora finisci bullizzato da un gruppone di persone che si coalizzano per segnalarti. (Ho sempre pensato che un sistema più intelligente, se gli umani annullano la cancellazione automatica, dovrebbe pesare di meno le successive segnalazioni di quelle persone: ma non credo che a Zuckerberg interessino queste minuzie). Ma ci sono sempre più possibilità per non avere a che fare con qualcuno. Il blocco dal mio punto di vista è una misura estrema: se c’è qualcuno che continua a romperci le palle commentando sulla nostra bacheca e scrivendo idiozie se non peggio, allora gli si chiude la porta in faccia. Ma io sarò stato fortunato, e non mi sono mai capitati casi come questi. Ci sono però alcune persone che riempiono la loro bacheca di roba politica, scopiazzata o no, che alla lunga mi hanno stufato. (Per la cronaca, queste persone che non leggo più sono simpatizzanti di partiti diversi; è proprio l’essere fan sfegatati e acritici che mi infastidisce). In questi casi ho trovato molto più semplice non seguirli più: continuano a essere nei miei contatti, possono leggere e rispondere ai miei post – qualcuno di loro lo fa anche – ma io non mi trovo davanti quello che scrivono. È nascondere la testa nella sabbia? Forse. Ma tanto mi passa lo stesso davanti tanta roba fuori dalla mia bolla. Quello che è sicuro è che vivo molto più sereno.

E voi come fate su Facebook?

Google+ chiude

Ho scoperto via il mio amico Antonello Sechi che dal prossimo luglio Google+ chiuderà (almeno per la versione customer). Direi che è molto indicativo dell’uso di quel social il fatto che durante un controllo gli informatici di Google abbiano trovato un baco di sicurezza piuttosto grave, e che nessuno si fosse accorto del baco. L’altra cosa che fa pensare è che – sempre secondo Google – il 90% delle sessioni Google+ dura meno di cinque secondi: in pratica il tempo per accorgersi di aver cliccato sul pulsante sbagliato.

Devo dire che in effetti in quest’ultimo anno era anche diminuito il numero di spammatori che cercava di iscriversi alla mia pagina Dewdney; in compenso quelli delle crociere continuavano imperterrimi a mandarmi pubblicità senze che io riuscissi a bloccarli. Non che fosse così importante, visto che tanto non ci passavo praticamente mai…

L’unico mio pensiero è che vedo sempre più difficile creare un’alternativa allo strapotere di Facebook. Bisognerà restare nelle sacche minimali di resistenza.

perché le dovrei seguire?

[chi seguire? Marianna Madia e Debora Serracchiani] Io uso molto poco Twitter. Seguo 79 persone, quasi tutti gente che conosco, ho 987 follower non so quanti dei quali siano bot. In genere rilancio le mie recensioni di libri, qualche rara volta parlo di matematica, e rispondo alle domande. Tutto qua. Non arrivo al livello di disinteresse che ho per Instagram, ma tra Twitter e me non è mai scoppiato alcun feeling: poco male, il mondo è grande.

Però, caro Twitter, mi spieghi perché mai dovrei seguire le signore Madia e Serracchiani? Cosa avrei in comune con i politici in generale e con le donne del PD? Quando mai ho parlato di loro? Ecco: se stai seguendo algoritmi di intelligenza artificiale per trovare i suggerimenti ti devo dare una brutta notizia: non funzionano per nulla. Spero per te che questi siano suggerimenti sponsorizzati, nel senso che hanno pagato per presentarsi in quella colonna. Sarebbe più onesto.

Ultimo aggiornamento: 2018-09-24 12:27