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Pagine Facebook che cambiano nome

È abbastanza usuale cambiare il nome alle pagine di Facebook. Lo si può fare per tante ragioni, lecite e illecite: per esempio man mano che io ho pubblicato libri con Codice ho cambiato il nome della pagina dove ne parlo. Poi è chiaro che ci sono quelli che trasformano la pagina “MI PIACCIONO I GATTINI” in “MI PIACCIONO I SALVINI”, ma quella è un’altra storia.

Ad ogni modo, ieri è arrivata notizia che Facebook ha chiuso un po’ di pagine in italiano. Per curiosità, guardando il report di AVAAZ, mi è saltato l’occhio su “Un caffè al giorno” e sono andato a vedere la pagina archiviata, scoprendo che in precedenza si chiamava… “Gesù nostro signore”. Certo che è stata una diminutio niente male…

Il marketplace Facebook

Tre anni fa Facebook decise che con un furbofono (o un tablet) non sarebbe più stato possibile vedere i messaggi personali, ma bisognava installare per forza Messenger. Il risultato pratico è che ho cominciato a selezionare la modalità desktop se mi capitava di avere un messaggio in attesa e non ero davanti a un PC: probabilmente non sono stato l’unico a farlo, perché Zuckerberg ha poi preso l’abitudine di indicare l’esistenza di un messaggio… e se ci cliccavi su finivi su Google Play Store a prendere Messenger. Inutile dire che continuo a far finta di nulla. (Ah, a volte ora mi segna due messaggi da leggere. Amen.)

Adesso pare che il messaggio fantasma sia sparito… in compenso è apparsa – almeno su Facebook Lite che ho sul tablet – una nuova notifica, stavolta per il Facebook Marketplace che se non ho capito male è un eBay interno. Ho come il sospetto che prima o poi smetterò del tutto di guardare le notifiche, perché evidentemente sono irrilevanti…

Salv-Ing-un fa cose

Sempre sulla foto di Salvini con il mitra, ho trovato molto interessante questo commento su un post di Massimo Mantellini:

Raccolgo con diligenza l’invito di Mantellini all’esercizio dell’intelligenza e mi chiedo: c’e’ più’ messaggio d’odio nella foto di un ministro dell’interno che soppesa uno di quei mitra che servono alle forze dell’ordine per difendere Mantellini dai criminali, oppure c’e’ più’ messaggio d’odio in un commento in cui Mantellini copre d’insulti quel ministro dell’interno (senza integrità onestà intellettuale e dignità umana, ingenuo fessacchiotto, bambino dell’asilo, cinico sovvertitore dell’ordine istituzionale…)?

Non entro nel tema dei cosiddetti insulti a Salvini (ma anche a Morisi): ci penserà al limite Massimo. Mi pare infatti molto più interessante entrare nel giudizio sulla foto, «un ministro dell’interno che soppesa uno di quei mitra che servono alle forze dell’ordine per difendere dai criminali». Io non ho nulla in contrario a che un ministro degli interni dia il proprio sostegno anche fotografico a un corpo di polizia, di cui è formalmente il capo. Immagino però che le sue competenze sulle mitragliette siano più o meno pari alle mie: soppesare quel mitra è un’azione che serve unicamente per rafforzare il culto della personalità, come del resto dimostrato dal commentatore qui sopra.

Ecco perché le foto di libri che mi dicono tante persone – anche se nessuna nella mia bolla, che io sappia – hanno postato in risposta alla foto con il mitra non servono a un tubo. Il problema non è il mitra, ma quello che ci sta dietro. È improbabile che spiegare a qualcuno il significato reale di quella foto gli faccia cambiare idea, ma c’è sempre qualche speranza: uno scaffale di libri non sarà neppure visto.

Ultimo aggiornamento: 2019-04-24 10:46

tutto è dovuto

A giudicare da tutti gli screenshot che ho visto tra ieri sera e stamattina, pare che la pagina Facebook di INPS Per la famiglia sia subissata di lamentele da parte di persone che non hanno ottenuto il reddito di cittadinanza oppure hanno avuto una cifra miserrima rispetto alle loro aspettative. Fin qui nulla da raccontare, non mi sarei aspettato qualcosa di diverso: il lamentarsi è tipico, come tipico è il lamentarsi con chi non c’entra nulla, nella fattispecie il gestore della pagina Facebook. L’Inps prende il testo della legge, fa i conti e tira fuori un risultato: può darsi che i conti siano sbagliati, perché per esempio la domanda è stata compilata male e non risultano alcune condizioni che aumenterebbero il reddito percepibile; ma se tu ti fidi di quello che trovi scritto sul gruppo Facebook e non fai nemmeno una domandina al CAF o alle poste forse hai qualche problema a monte, e il reddito di cittadinanza non ti aiuterà più di tanto. (Come dice sempre Antonio Pavolini, è anche tipico il trovare poi il backslash di quelli che si lamentano di chi si lamenta…)

Più interessante, anche se a posteriori anch’esso immaginabile, è leggere di gente che tranquillamente afferma di stare lavorando in nero (l’immagine iniziale, che però non ho visto direttamente e quindi per quanto ne so potrebbe essere un fake, o magari la signora ha avuto un lampo di intelligenza e ha cancellato il post), oppure il disoccupato che percepisce già il reddito di disoccupazione e si incazza perché gli hanno dato solo i quaranta euro di differenza (l’immagine qui a destra, relativa a questo commento), o ancora tanti altri esempi che potete leggere nell’articolo del Post. Tutta gente che non solo ritiene che tutto sia loro dovuto, ma che non ha le competenze cognitive necessarie per accorgersi che sta divulgando al mondo informazioni che forse dovrebbe tenersi per conto suo. La mia sensazione è che il vero guaio di avere sistemi sempre più user friendly è che la gente li usa senza sapere cosa sta facendo. Non è una questione di elitismo: non è che ci dovrebbe essere meno gente a usare i socialcosi, ma bisognerebbe fare corsi seri di alfabetizzazione informatica che sarebbero molto meglio dei cosiddetti lavori socialmente utili.

Termino con una nota più leggera, quella del povero addetto social media della pagina – immagino e spero che ce ne sia più di uno, altrimenti è peggio che i lavori forzati – che risponde a un interlocutore che evidentemente aveva abbastanza tempo per leggersi quella pagina senza doverlo fare per lavoro. Sappi che ti capisco e non ti invidio.

XXX is requesting more info about your post

Da qualche giorno, nelle notifiche che mi arrivano sui post della pagina Facebook “.mau.” (che è diversa dalla mia bacheca, tipico caso di sdoppiamento di personalità) il testo è cambiato: non mi viene scritto “XXX commented on the link you shared” ma “XXX is requesting more info about your post.”
Non ricevo mai moltissimi commenti, quindi non sono ancora riuscito a capire se questa è una nuova risposta generica per vedere se sono attento o un messaggio che parte automaticamente quando c’è una frase con un punto interrogativo o ancora qualcos’altro. Voi che ne sapete?
(Dopo avere preparato il post, mi sono arrivati un classico “commented on the link you shared” e un “is requesting more info about your post”, nessuno dei quali aveva un punto di domanda. Anzi, le “maggiori informazioni richieste” erano nel primo commento, non nel secondo.

I segreti del newsfeed di Facebook

Perché non ho pensato che la notizia di ieri secondo cui Facebook avrebbe finalmente spiegato perché una certa notizia appare nel nostro newsfeed non era un pesce d’aprila? Semplice. Un pulsante “perché vedo questo post?” non dà nessuna vera indicazione su come funziona l’algoritmo, esattamente come la lista degli ingredienti su una lattina di Coca-Cola non ti permette di rifare la ricetta.

Quello che ti verrà detto, insomma, non sarà né più né meno che quanto una persona un minimo sveglia ti saprebbe dire già ora: il post appare perché è di uno con cui hai interagito tanto, oppure di uno che hai appena amicato, o magari è un post che ha avuto tante interazioni e quindi probabilmente è interessante. Al massimo ci sarà qualcosa di ancora più vago: chessò, “a te piacciono i post dove ci sono immagini di paesaggi”. La cosa davvero interessante dell’annuncio è insomma il fatto che Zuckerberg si sente costretto a “mostrare qualcosa”. Sarà un effetto della direttiva copyright? :-)

Salvatevi questi numeri

La Stampa è stato uno dei quotidiani che si è battuto di più per spiegare a tutti i suoi lettori la bontà della direttiva copyright. Non è quindi così strano che abbia pubblicato questa intervista a Éric Leandri, amministratore delegato di Qwant, motore di ricerca francese su cui non capisco come sia possibile definire una frase e non le singole parole…

Ma torniamo a noi. Leandri afferma che a suo parere «Un accordo ragionevole potrebbe prevedere una percentuale intorno al 4 per cento del fatturato totale della pubblicità», il che significherebbe per l’Italia tra i 70 e i 100 milioni l’anno. L’articolo non è molto chiaro al riguardo: ma direi che questo riguarda l’articolo 15 (ex 11), la tassa sulle citazioni, anche perché poi continua a raccontare che con il filtro ContentID Google sta già dando 2,5 miliardi l’anno a chi produce contenuti.

Lo so, ci vorranno due o tre anni prima che la direttiva venga recepita dal nostro parlamento. Ma per favore salvatevi quell’articolo, e tiratelo fuori a tempo debito :-)