Io conoscevo la Progresso Tecnico Editoriale per i suoi libriccini con le traduzioni di opere di divulgazione di temi matematici tradotte dal russo dalla copertina verde. Fino all’anno scorso, non avevo idea che esistesse anche una collana (gialla) di traduzioni di opere simili di matematici americani. Non che Spreckelmeyer sia così noto neppure in originale, a dire il vero :) Ad ogni modo, questo sui numeri interi è il secondo di una serie di cinque monografie sui vari tipi di numero. Non posseggo il primo volume sui numeri naturali, ma naturalmente non ne avevo bisogno per leggere questo! L’approccio del testo non mi è comunque piaciuto: un formalismo inutilmente complicato che non fa vedere cosa sta davvero succedendo. Anche la traduzione di Lorenzo Vinassa De Regny non mi pare all’altezza, nemmeno tenuto conto del mezzo secolo passato.
(Richard Spreckelmeyer, I numeri interi [The Integers], Progresso Tecnico Editoriale 1967 [1966], pag. 83, trad. Lorenzo Vinassa De Regny)
Voto: 2/5
A me Rosenhouse è sempre piaciuto come autore, sin dai tempi del suo libro sul problema di Monty Hall; ho anche seguito i testi da lui editi sulla matematica ricreativa seria. Ma in questo caso direi che non ci siamo proprio. Il libro nasce (e scommetterei che è stato un suo pet project) per confutare gli argomenti “matematici” portati dagli antievoluzionisti: Rosenhouse è in fin dei conti un matematico, non un biologo. Io sono una persona semplice, e mi accontento di una prova circostanziale dell’evoluzione: gli organismi viventi hanno una costruzione meravigliosamente interallacciata, ma lo è in modo subottimale, come del resto afferma anche Rosenhouse. Riesce nel suo intento? Non sempre. È bravo a smascherare la matematica usata come cortina fumogena, e qui la sua metafora della matematica come formata da due binari da seguire entrambi – visione intuitiva e formulazione formale – è utile anche al di fuori di questo contesto. Mi sembra però che anche lui abbia mischiato un po’ le carte nella sezione combinatorica. Rosenhouse risponde all’affermazione che le proteine usate dai viventi sono un’infinitesima parte dello spazio delle possibili proteine affermando che in fin dei conti quelle proteine ci sono, con argomenti bayesiani. Immagino che abbia fatto così perché altrimenti si dovrebbe invocare il principio antropico, che a me non infastidisce ma porta a una forma debole di Intelligent Design che evidentemente voleva evitare. A parte queste considerazioni, non mi sembra che il libro possa convincere i non-darwiniani. Proprio perché i loro argomenti sono similscientifici (non uso apposta pseudoscientifici per evitare diatribe) in quanto rivolti a persone tipicamente con scarse competenze in materia, spiegazioni di questo genere non portano a molto. Insomma Rosenhouse parla ai convertiti: ne vale la pena?
Dal 2013 il CNR ha cominciato a pubblicare una collana di fumetti di argomento scientifico, che si acquistano generalmente in fumetteria; alcuni numeri sono però praticamente introvabili, perché sponsorizzati e quundi non venduti nei soliti canali. In collaborazione con Feltrinelli, questi fumetti sono stati raccolti in due volumi, di cui questo è il primo. Qui troviamo le opere di Leo Ortolani (cristallografia), Federico Bertolucci (Internet), Zerocalcare (fisica subatomica), Giovanni Eccher e Sergio Ponchione (Chimica e Mendeleev, per me la migliore storia del libro), Diego Cajelli e Andrea Scoppetta (intelligenza artificiale), Gabriele Peddes (per i 30 anni del registro .it), Eccher e Peddes (botnet), Claudia Flandoli (Fibonacci), Giuseppe Palumbo (il ritrovamento del Metodo di Archimede, anche questo molto bello), Tuono Pettinato (sul tempo).
[Disclaimer: Ho ricevuto il libro grazie al programma Early Reviewer di LibraryThing] Questa raccolta deI migliori racconti di fantascienza britannica del 2021 è se possibile ancora più variegata di quella dell’anno precedente. Lasciamo perdere il racconto di apertura, che non sono proprio riuscito a comprendere. Ma anche nel resto del libro ho trovato alcuni racconti molto belli e altri francamente modesti, che non mi hanno detto nulla. Il voto finale tiene conto del fatto che ovviamente i gusti personali sono diversi e in fin dei conti di testi simpatici ce ne sono. I miei preferiti:
Hilbert è probabilmente uno dei matematici che da solo ha rappresentato un punto di svolta. La matematica del ‘900 non sarebbe esistita nel modo in cui si è sviluppata senza la sua spinta al rigore da un lato e alla formalizzazione dall’altro. Eppure, come Lolli mostra in questo libro, Hilbert è ancora un uomo del secolo precedente. Il testo prende spunto dall’evoluzione del pensiero hilbertiano, che viene messo in contrapposizione a quello degli altri matematici del tempo, da Frege a Peano a Poincaré, da Brouwer a Weyl a Gödel. Il quadro che ne risulta è molto vivace, e permette a tutti di farsi un’idea del fervore in quel periodo e di come il confronto filosofico abbia permesso a Hilbert di affinare il proprio pensiero. Ah: pare che la citazione che dà il titolo al libro non sia mai stata pronunciata almeno ufficialmente da Hilbert, che nella sua corrispondenza con Frege aveva usato un concetto simile ma senza usare quei termini…![[copertina]](https://i0.wp.com/xmau.com/wp/notiziole/wp-content/uploads/sites/6/2022/09/9780226256696.jpg?resize=130%2C200&ssl=1)
La storia della matematica è anche una storia della civiltà. Fin qui penso che anche i platonisti di più stretta osservanza siano d’accordo. Brooks parte da questo punto di vista e prova a leggere lo sviluppo della matematica come uno sviluppo della civiltà. Ecco che i numeri per esempio sono legati a doppio filo all’economia: se sai gestirli non rischi di andare in bancarotta. E non è un caso che Chaucer fosse il sovraintendente delle dogane britanniche, dunque. Ma tutti gli esempi del libro sono strettamente legati alla vita reale: per esempio quando si parla di algebra Brooks mostra come FedEx e UPS abbiano scelto le posizioni dei loro hub (Memphis e Louisville) per minimizzare le distanze percorse dai suoi vettori, mentre i numeri immaginari arrivano come risultato della ricerca di un suono particolare per le chitarre elettriche. Come avrete intuito, l’idea non è affatto malvagia e potrebbe avvicinare alla matematica chi pensa di odiarla: però il libro mi ha dato tanto l’impressione di una salva di fuochi artificiali (“potevamo stupirvi con i nostri effetti speciali, ma questa è matematica”) il che almeno per me risulta un po’ troppo alienante.