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Creare cioccolato dal nulla


Il ritaglio qui sopra è stato postato su Facebook dalla mia amica Rossella Rosin: è un esercizio dato da fare alla classe di suo figlio. Notate nulla di strano?

Tralasciamo la seconda domanda, che non solo presenta un serio problema con la lingua italiana (cosa sarebbe un “cioccolato intero”?) ma dimentica il fatto che il cioccolato può tranquillamente essere tagliato in pezzetti, e fermiamoci proprio al testo. Ad Andrea e Alessandro è stato regalato un tot di cioccolato cadauno; però loro ne hanno mangiato più di quanto gliene è stato dato. Forse usavano il metodo qui presentato da Mariano Tomatis per crearlo dal nulla? O magari l’hanno aggiunto alle loro scorte private e poi si sono fatti una bella scorpacciata che avrà avuto come risultato una proliferazione di brufoli?

Vabbè. Quello che come al solito è successo è che chi deve mettersi a macchinetta a creare decine di problemi “per mettere la matematica in pratica” spegne il cervello, o meglio ne tiene accesi due pezzi separati (uno per l’operazione da fare e un altro per il testo da scrivere) we così alla fine ottiene la finanza cioccolatista creativa. Inutile dire che ormai non c’è nessuno che controlli le bozze di questi libri per accorgersi di questi strafalcioni logici; ma quello che è peggio è che la stragrande maggioranza di bambini e ragazzi perpetuerà l’approccio “macchinetta”, traducendo internamente il problema in “è maggiore 7/3 oppure 9/5?”. A questo punto tanto vale eliminare tutte le inutili parole e scrivere direttamente la domanda, non trovate?

(ah: c’è un libro di Terezinha Nunes, Ana Lúcia Schliemann e David Carraher sui ragazzi di strada brasiliani che mostra che sì, loro riescono spesso a risolvere i problemi esposti a parole mentre hanno forti difficoltà con gli stessi problemi ridotti a operazioni matematiche; ma questo succede solo se il problema ha un senso reale e quindi fa parte della loro vita. Quei ragazzi avrebbero sghignazzato davanti a un testo simile)

Aggiornamento: (14:00) Sempre su Facebook, Paolo Sinigaglia mi ha fatto notare che il problema potrebbe essere semplicemente di italiano: l’ignoto estensore è convinto che “cioccolato” sia un sinonimo di “tavoletta di cioccolato”. In tal caso la seconda domanda è comunque malposta perché avrebbe dovuto chiedere quante (tavolette di) cioccolato Alessandro ha ricevuto come minimo.

Ultimo aggiornamento: 2018-06-14 14:01

Decimi e centesimi

Io voglio bene al Post. Ci scrivo anche. Ma trovarmi tutto un articolo (copia archivio) in cui al posto di centesimi di secondo si parla di “decimi” – per dire, nell’ultima riga si parla di un 200 metri corso in “20 secondi 62 decimi”… – mi fa venir voglia di battere la testa contro il muro. È più forte di me.

Ultimo aggiornamento: 2018-05-24 11:02

Capienza (per organizzatori e questura)

Per colpa di Facebook mi sono trovato a leggere questo articolo di The Vision sulla morte dei centri commerciali. Naturalmente non trovo più il post originale, grazie alla politica di Zuckerberg “quello che hai visto si è perso come lacrime nella pioggia”; ricordo solo che qualcuno faceva notare che 32.000 metri quadri non erano poi tanti rispetto chessò al megacentro di Arese. Evidentemente Giulio Silvano, l’autore del pezzo, ha copiato l’introduzione del sito ma si è dimenticato di aggiungere la parolina magica “urbano” che rimette le cose nella loro giusta prospettiva.

Io mi limito a fare una divisione. Le 700.000 persone di capienza, divise per 32.000 metri quadri, danno circa 22 persone per metro quadro. In una manifestazione in cui ci si trovi tutti pigiati si contano tipicamente quattro persone per metro quadro: quindi non solo non ci si muove, ma bisogna anche fare cinque livelli di piramide urbana. (Quando si parla di metri quadri in genere si fa la somma delle superfici dei vari livelli: ad ogni modo sempre dal sito vedo che i livelli sono due). Così ad occhio Giulio Silvano ha preso un testo tipo quello scritto qui (“a catchment area of 700.000 users”, cioè un bacino d’utenza) e l’ha fatto diventare una capienza… il tutto senza chiaramente mettersi a fare una banale divisione se proprio non aveva voglia di accendere il cervello e vedere l’assurdità della cosa. Ecco il livello a cui ci troviamo.

Ultimo aggiornamento: 2020-01-09 21:42

Chi di conversioni di unità di misura ferisce…

Mentre stavo cercando dei riferimenti per il nuovo libro che sto scrivendo, mi sono imbattuto in questo vecchio articolo del Sole-24 Ore che racconta del fallimento della missione Mars Climate Orbiter, che precipitò sul suolo marziano perché “i dati erano inseriti in unità inglesi, mentre il software utilizzava le unià metriche”.

La cosa che mi ha fatto divertire è il trafiletto che accompagna l’articolo, uno di quei classici riempitivi che servono a divertire il lettore e di cui anch’io faccio uso smodato. Il trafiletto in questione raccontava dei problemi con le unità di misura per gli anglosassoni che non usano il sistema metrico decimale e faceva un esempio di conversione:

Nel sistema americano un miglio vale 5,28 piedi, e un piede equivale a 12 pollici.
A quanti pollici cubici equivalgono allora un miglio quadrato?

Notate nulla di sbagliato? Dovrebbe esservi immediatamente ovvio che un miglio è un po’ più di 5,28 piedi. Quello che con ogni probabilità è successo è che lo stagista della redazione online che doveva riempire la pagina era andato a cercare un esempio in inglese e l’ha rapidamente tradotto in italiano. Solo che gli inglesi scambiano il punto con la virgola; il separatore delle migliaia è per loro una virgola, mentre quello tra unità e decimali il punto. È così successo che i 5280 piedi per miglio erano scritti 5,280, numero che lo stagista ha coscienziosamente copiato carattere per carattere salvo eliminare lo zero finale che tanto nei conti è irrilevante. Simpatico, no?

Povera Italia

Non so se Matteo Salvini non capisca davvero nulla delle disequazioni. A dire il vero non trovo nemmeno la cosa così importante: detto tra noi, le disequazioni possono essere utili in diversi casi, dal banale decidere cosa comprare se si hanno pochi soldi ai problemi di programmazione lineare che permettono di ottimizzare le produzioni aziendali; ma i compiti con le disequazioni che si fanno a scuola hanno la stessa inutilità delle frasette contorte che devono essere tradotte in latino.

Quello che mi fa pena è vedere una persona che vorrebbe essere il presidente del Consiglio vantarsi della sua ignoranza vera o presunta, sapendo che migliaia di persone apprezzeranno questa manifestazione e quindi scegliendo volontariamente il populismo dell’odio per la matematica.

P.S.: complimenti al figliolo. Le disequazioni non sono di per sé difficili ma richiedono molta attenzione per non fare errori di distrazione.

Ultimo aggiornamento: 2018-03-27 20:23

Non di sola elettricità vive l’energia

Marco Marcon mi segnala questo articolo della Stampa (sì, forse è un caso ma mi pare che in questi mesi la qualità del quotidiano torinese sia peggiorata) a proposito del rapporto del Gestore dei Servizi Energetici (GSE), rapporto che potete trovare sul sito GSE. Il testo è fondamentalmente corretto, non foss’altro che perché è molto simile al comunicato stampa GSE: ma poi la Busiarda casca sul titolo.
«Un quinto dell’energia elettrica italiana è pulita. Ma non basta». Come Marco fa notare, nel corpo dell’articolo c’è scritto “Ogni 100 Kwh consumati complessivamente nei settori elettrico, termico e dei trasporti, quasi 18 sono verdi”, e possiamo essere buoni e arrotondare per eccesso i quasi 18/100 (che poi sono in realtà il 17,6%) a un quinto, anche se oggettivamente sono più vicini a un sesto; ma questa è l’energia totale. Se ci limitiamo all’energia elettrica, come scritto nel titolo, superiamo il 30%, come si può leggere a pagina 185 del rapporto linkato sopra. La domanda è insomma “perché hanno dovuto aggiungere la parola ‘elettrica’? Dovevano allungare il titolo?”

(p.s.: Tolgo la parola ad almeno un paio dei miei ventun lettori dicendo direttamente io che stiamo pagando l’energia rinnovabile otto volte il prezzo di vendita: 14,2 miliardi di euro di incentivi, contro 1,7 miliardi dalla vendita dell’energia ritirata.)

Ultimo aggiornamento: 2018-04-08 19:58

un chilo uguale un litro?

Il mio amico di lunghissima data Fabio mi ha mandato questa foto che ha scattato a una confezione di succo di mela venduto alla Coop. Come potete vedere dall’etichetta, gli ingredienti sono “succo di mela da concentrato”, il che significa che si prende il succo, lo si deidrata per diminuirne il volume, lo si manda nello stabilimento di produzione e si riaggiunge l’acqua tolta. Ma quanta acqua si aggiunge?

Leggendo quanto scritto dalla confezione, la prima risposta che viene in mente è “esattamente quella tolta”, considerando che da un Kg di mele si ottiene un litro di succo. Peccato che innanzitutto ci sono degli scarti: da buccia e torsolo non ricavi nulla. Ma inoltre – e questo lo si dovrebbe già sapere dalla fine delle elementari – la densità del succo di mela è maggiore di 1, perché è acqua più sostanze in sospensione che pesano di più (altrimenti finirebbero a galla anziché posarsi sul fondo). Quindi ci si mette più acqua di quella che viene tolta. Non è la fine del mondo, intendiamoci, ma possiamo dire che quella scritta è un po’ fuorviante?

Ultimo aggiornamento: 2018-02-08 09:16