Archivi categoria: povera_matematica

I biscotti Misura e le tabelline

quanto fa 8 per 9? Quella che vedete nell’immagine è la confezione di un sacchetto di frollini integrali Misura (potete cliccarci su per ingrandirla). Come potete leggere nel punto 1, la confezione conteneva 630 grammi di biscotti. Inoltre – e questa è una novità, o almeno io non me ne sono mai accorto prima – è anche specificato che la confezione contiene circa 90 biscotti, come indicato nel punto 2. Fin qui nulla di particolare. Però, come leggete nel punto 3, un biscotto pesa 8 grammi. Ora, quanto fa 8 per 9?

Matematica vorrebbe che un biscotto pesi 7 grammi: in realtà ho fatto un test per amore della scienza, ho preso dieci biscotti, li ho pesati e ho trovato un valore di 84 grammi. La confezione non è più piena, pertanto non ho potuto contare il numero totale di biscotti: tra l’altro ce ne sono spesso di rotti, quindi il conto non sarebbe neppure così semplice. Ma è possibile che nessuno rilegga quello che viene scritto nelle confezioni prima di mettere sul mercato un prodotto?

(ah, buon Natale a tutti!)

Il “genio matematico” e l’insipienza dei media

Non avrei avuto proprio voglia di parlare della “scoperta matematica” di Chika Ofili, ragazzino dodicenne che è finito sui giornali di mezzo mondo. Non certo per invidia, ma perché il suo criterio di divisibilità per 7 è noto più o meno da sempre: basta prendere Wikipedia in italiano e spulciare la cronologia della voce “criteri di divisibilità” per trovarla. Stamattina ho perso un po’ di tempo a cercare quando è stata fatta la prima modifica alla voce con quel criterio, e ho scoperto che il 26 settembre 2006 – quando il ragazzino non era ancora nato… – era stato aggiunto anche quel criterio, come post scriptum al criterio simile prendendo le cifre da sinistra a destra e moltiplicandole per 3 anziché per 5. Provate a indovinare chi aveva fatto quell’aggiunta :-)

Ma la cosa più interessante è che i media – italiani e non solo, immagino che i nostri abbiano direttamente tradotto – affermano che Ofili abbia vinto il Trulittle Academic Hero Award 2019. Beh, no. Era un Nominee, come si può vedere dalla cache di Google, ma il premio è poi andato a un altro ragazzino. Tutto questo per dire quanta attenzione viene data a controllare le fonti. A parte questo banale particolare, io notoriamente penso male: ma sono abbastanza convinto che la notizia acchiappaclic abbia avuto più copertura delle usuali 12 ore solo perché si parlava di complicatisime operazioni numeriche, e poter scrivere che un undicenne avesse scoperto qualcosa sfuggito alle grandi menti matematiche deve aver dato un frisson agli estensori degli articoli… e ai lettori, naturalmente.

Un’ultima considerazione. Non c’è nulla da togliere a Ofili: è possibile che abbia letto del criterio da qualche parte, ma è più probabile che se lo sia scoperto per conto proprio, e questa è una cosa davvero importante anche se esso era già noto presumo da un paio di millenni. La cosa bella della matematica è manipolare degli oggetti (reali o immaginari non importa) e vedere che miracolosamente tutto torna a posto. La gioia è nella scoperta. Poi c’è sempre tempo per scoprire qualcosa di nuovo!

Ultimo aggiornamento: 2019-11-21 13:57

trenta tonnellate per due centimetri e mezzo quadrati

Sto leggendo il primo volume dell’antologia di racconti di Arthur Clarke, pubblicato in Italia da Urania. In “I fuochi dentro” trovo scritto a un certo punto “la pressione ora doveva essere di almeno trenta tonnellate per ogni due centimetri e mezzo quadrati”.

Che diavolo vuol dire? Evidentemente l’originale avrà avuto “30 tons per square inch” ed Enzo Verrengia ha deciso di tradurre parola per parola. Peccato che in italiano la cosa non abbia nessun senso, anche se formalmente corretta. Io avrei banalmente arrotondato i “due centimetri e mezzo” quadrati (cioè 6,25 cm², nel caso non ve ne foste ricordati) a sei, e quindi scritto “almeno cinque tonnellate per centimetro quadro”. Non che a me lettore questo numero dica qualcosa in più, e ammetto di non avere provato a fare i conti – ma mi fido di Clarke; ma almeno sembra italiano corretto…

(Ho controllato: Verrengia è del 1955, insomma non è così anziano…)

Le distanze torinesi

Il comune di Torino pare abbia scoperto l’acqua calda: se i tram fanno meno fermate, ci mettono meno tempo da un capolinea all’altro e quindi possono fare più corse.

Non entro nel merito se 500 metri tra una fermata e l’altra siano troppi oppure no, però non posso non commentare l’assessora ai Trasporti Maria Lapietra che “spiega «Di fatto, con una distanza massima tra una fermata e l’altra di 500 metri, ogni cittadino avrà una fermata del bus o del tram a meno di 250 metri di distanza “da casa”». Immagino che un qualunque ragazzino un po’ sveglio comprenda che se il percorso del tram è rettilineo l’affermazione di Lapietra sia corretta solo nel caso in cui il cittadino abiti lungo il percorso del tram, o più precisamente all’interno dei due cerchi di raggio 250 metri centrati sulle fermate: altrimenti nisba. Ho fatto anche un disegnino per sicurezza, e sapete bene quanto mi costi fare disegnini :-) La mia domanda è semplice: l’assessora si rende conto di quello che ha detto, oppure no?

Ultimo aggiornamento: 2019-08-07 11:25

Sommare IVA e IRPEF

A quanto pare, Sandra e Raimond… ehm, i nostri vicepresidenti del consiglio, sono fiduciosi sulla nostra economia, anche perché è sulla buona strada. Affermano infatti che ce lo dicono «I maggiori incassi dell’Irpef e dell’Iva quasi dell’8 per cento e la diminuzione della disoccupazione rispetto al 2018 nei primi quattro mesi di quest’anno».

Come hanno fatto notare in molti, quello che è successo davvero è che l’Irpef è cresciuta del 3,6% e l’Iva del 4.2%. Certo, 3,6+4,2 fa quasi 8: ma come dovrebbe essere chiaro dalle elementari non si possono sommare quelle due percentuali di crescita ma fare una loro media pesata. (Occhei, alle elementari non si parla di media pesata, ma almeno ti dicono di non fare quei conti). Chi non è convinto della cosa può suddividere in una ventina di sottovoci i gettiti delle due imposte, sommare tutte le percentuali ottenute e scoprire che probabilmente siamo riusciti a raddoppiare il totale!

La vera domanda da farci è se il duo pensa che nessuno vada a vedere i numeri reali oppure se pensa che la gente anche quando li veda non sappia come combinarli. Non saprei dirvi qual è l’ipotesi peggiore…

Ultimo aggiornamento: 2019-06-07 18:19

Classifiche buttate lì

L’altra settimana qualcuno ha citato il sito irpef.info (che ovviamente non ha nulla di ufficiale…) per la sua classifica dei contribuenti. In pratica tu indichi un reddito e ti viene detto in che posizione ti trovi nella classifica dei maggiori contribuenti italiani (o se preferisci in quella dei tre maggiori comuni italiani Roma Milano e Napoli… oppure a Palermo).
Vabbè, nulla di male: in fin dei conti non si danno dati personali ma si inserisce solo un numero che può o no essere quello del tuo reddito. La cosa che non mi torna è la loro spiegazione di come viene calcolata la posizione:

Il programma di calcolo utilizza i numeri ufficiali elaborandoli però con un elemento di approssimazione. Infatti mentre le statistiche del Dipartimento indicano quanti contribuenti rientrano in una certa fascia di reddito, ad esempio quella compresa tra 35 mila e 40 mila euro, il programma permette di individuare una posizione assoluta: questo è possibile perché si suppone che i redditi siano distribuiti in modo esattamente uniforme.

Rileggete bene questa frase. viene indicata una posizione assoluta partendo da dati aggregati. Occhei, è come dire misurare la distanza tra Torino e Milano in centimetri, e quindi avere un dato intrinsecamente non valutabile, ma non stiamo a sottilizzare. Il vero problema dal mio punto di vista è un altro. Approssimare “a scalini” (in realtà a piani inclinati) la distribuzione dei redditi è davvero rozzo, e lo potrei accettare giusto se dovessi fare i conti a manina. In prima approssimazione, possiamo immaginare che la distribuzione dei redditi segua più o meno una poissoniana, una curva con una salita rapida e una discesa più lenta; ma anche senza avere studiato statistica non ci vuole molto a trovare una routine che ti calcoli una spline (dalla voce di Wikipedia forse non ci ricavate molto, ma in pratica è una funzione senza angoli o bruschi cambiamenti di direzione che unisce una serie di punti).
Certo, all’atto pratico non cambia molto, è solo un giochetto: però quando uno gioca dovrebbe farlo nel miglior modo possibile.

Non funziona proprio così

Sto leggendo il libro di Carlo Bordoni Il paradosso di Icaro, sulla necessità della disobbedienza. Almeno in queste prime pagine l’autore fa affermazioni non troppo condivisibili, almeno per me: ma c’è un punto che mi ha fatto fermare e costretto a scrivere queste righe. A pagina 53, parlando della vita come “disordine” e portando quindi il discorso sull’entropia, Bordoni infatti scrive:

Nella teoria dell’informazione persino il rumore (noise) produce senso, ed è tanto più efficace quanto meno è prevedibile.

Bene, anzi male: Bordoni non ha capito nulla, o meglio ha confuso due concetti del tutto diversi. È vero che un segnale perfettamente prevedibile non porta informazione, o se preferite porta un singolo bit: se so che dopo uno 0 mi arriverà una sfilza di altri 0, è inutile che stia a sentirli tutti. È anche vero che meno un segnale è prevedibile più informazione esso porta, e che per definizione un segnale davvero casuale è totalmente imprevedibile. Ma nella teoria dell’informazione il segnale da solo non basta, perché ci vuole anche un codice che mi permetta di tradurre il segnale in informazione. I cifrari monouso, quelli in cui ogni carattere viene codificato per mezzo di una chiave del tutto casuale e non ripetuta, funzionano proprio perché tutti i possibili messaggi decodificabili hanno la stessa probabilità di essere quello vero, e quindi il messaggio codificato è rumore puro per chi non ha il codice. Ma il senso non viene affatto prodotto dal rumore, bensì appunto dal codice applicato al rumore, un po’ come nelle cuffie a cancellazione d’eco.

Il guaio come al solito è che si usano concetti matematici orecchiati senza averli capiti, contando sul fatto che il lettore tipo non li ha comunque capiti. Non mi pare una grande idea…

Gli anziani condividono davvero più fake news dei giovani?

Ho letto questo articolo del Post. Ho anche dato una rapida occhiata ai dati originali linkati nell’articolo; potrei essermi perso qualcosa, nel qual caso indicatemelo nei commenti e mi correggerò.

Mi pare però che i risultati dello studio soffrano di un problema di base che almeno a me appare ovvio. Più precisamente, dire che «l’11 per cento delle persone con più di 65 anni ha diffuso almeno una bufala, contro il 3 per cento delle persone comprese nel gruppo di età tra i 18 e i 29 anni» dà un dato con un suo senso: è più facile che sia un anziano che un giovane a non condividere sempre notizie vere. (La frase è appositamente contorta). Dire però come nel catenaccio che gli anziani condividono fino a sette volte più fake news dei giovani non tiene conto di un punto chiave. Quante sono le condivisioni complessive fatte dai “giovani” e dagli “anziani”? Se tanto per fare un esempio il secondo gruppo ne posta quattro volte di più rispetto al primo, il dato suindicato diventa molto meno importante: sarebbe ancora vero che gli over 65 sono più creduloni dei giovani, ma sarebbe più interessante notare come siano più abituati a condividere cose altrui che a scegliere fake news.

Come sempre, non spaventatevi davanti ai numeri, ma azionate il cervello e chiedetevi perché ve ne vengono spiattellati così tanti!

Ultimo aggiornamento: 2019-01-10 15:39