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ottimismo

[ottimismo] Quello che vedete qui a fianco è il codice di una raccomandata che ho ricevuto da uno dei millanta servizi nati dopo la liberalizzazione del servizio (in questo caso, Nexive). Con buona probabilità, 88763 è il numero progressivo della raccomandata spedita via loro, e i dodici zero che precedono sono tenuti da parte per le successive raccomandate.

Facciamo un po’ di compiti spannometrici. Abbiamo un numero di diciassette cifre. Se processassero tre raccomandate al secondo, 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, in un anno avrebbero quasi cento milioni di raccomandate, cioè un numero di nove cifre. Per sforare le diciassette cifre, e quindi arrivare a diciotto, occorrerà loro un miliardo di anni a quel flusso di dati. Certo, magari il campo è così lungo perché si aspettano di usare parte delle posizioni per codificare chissà che cosa, proprio come nell’H3R iniziale. Però sarebbe stato molto più semplice usare caratteri diversi come segnaposto, per semplicità di lettura da parte di un essere umano (il codice a barre corrispondente è irrilevante). Non trovate?

Ultimo aggiornamento: 2014-09-19 10:13

statistiche per fare bella figura

Lunedì Andrea Monti mi ha segnalato questo articolo di Repubblica, insieme alle sue considerazioni al riguardo. Lasciate pure perdere l’articolo originale, a meno che non siate interessati al gossip; chi vuole proprio sapere qual è stato l’esperimento condotto farà meglio a leggere l’articolo originale. Per chi ha fretta, l’esperimento, condotto su 60 volontari trentini, ha misurato la loro propensione a “vendere” i loro dati personali – in forma anonima e aggregata – ottenuti dall’uso del loro smartphone, scoprendo che il valore percepito è molto basso, e gli unici dati che sembrano avere un minimo interesse sono quelli degli spostamenti effettuati. Magari un’altra volta parlerò dei risultati: adesso mi sembra più interessante guardare la metodologia usata.

Io non ho certo le competenze statistiche necessarie per fare un’analisi completa dei risultati, ma c’è una cosa che mi ha lasciato molto perplesso, anche se devo dire che non è certo il primo caso che mi è capitato di vedere. Andrea ha perfettamente ragione quando fa notare che il campione usato non è assolutamente rappresentativo per tutta una serie di motivi: è stato scelto con lo snowballing, cioè chiedendo agli sperimentatori di cercare nuovi amici; si limita a una sola piattaforma software e a un gruppo di persone di una certa categoria sociale; e soprattutto è davvero limitato – 60 persone non sono certo un campione statisticamente valido. Differiamo solo nelle conclusioni: io sono più ottimista di lui e ritengo che quel paper ha un interesse sociologico, anche se solo qualitativo e non certo quantitativo. (Lasciamo stare l’articolo su Repubblica, se non per apprezzare che ha vari link tra cui quello al paper originale: un risultatone rispetto al tipico articolo che si può leggere sull’italica rete) Insomma, si può vedere che a quanto pare esistono alcune persone che non sembrano attribuire un grande valore ai propri dati personali, ancorché anonimizzati.

Ma resta il problema di base: perché un articolo deve avere tutta quella messe di parametri statistici, quando il campione di base è così ridotto? Qual è il valore aggiunto? Sarei lieto se qualche statistico si palesasse qui nei commenti e mi dimostrasse che ho torto, ma per quanto mi riguarda quei numeri non hanno un vero valore se non quello di intimidire chi non è abituato a trattarli… o se preferite bisogna inserirli perché l’articolo venga accettato da una qualche rivista; questo non è certo l’unico paper che spenda e spanda tutti questi dati, quindi potrebbe benissimo essere una necessità pratica per la pubblicazione.

Ultimo aggiornamento: 2014-08-13 15:43

Scalfari e le percentuali

Lo so, parlare male dei nonagenari non è bello: ma nessuno impone a Eugenio Scalfari di scrivere ogni domenica la sua articolessa su Repubblica. Gennaro mi segnala la chicca sul suo editoriale di ieri. Ovviamente non mi interessa parlare delle sue previsioni elettorali – io in genere le sbaglio molto di più, per esempio avevo pensato a una differenza tra Pd e M5S di tre-quattro punti percentuali – ma delle sue conoscenze matematiche. Secondo il barbuto fondatore del quotidiano romano, infatti,

Gli ultimi sondaggi segnalano circa il 40 per cento di probabili astenuti. Sommati ai voti che presuntivamente prenderanno i Cinque Stelle si arriva al 60 per cento. E sommati al populismo di Berlusconi, che dopo vent’anni di malgoverno spera ancora in un 20 per cento di allocchi che lo votino, siamo all’80 per cento del popolo sovrano che, se abboccherà a queste manipolazioni, rinuncerà ad utilizzare la propria sovranità.

Peccato che ovviamente non si possano sommare le percentuali di voto ai partiti (che sono calcolate sui voti validi, quindi su chi ha votato e non ha lasciato la scheda bianca né l’ha annullata) con quella di astensione. Se insomma secondo Scalfari M5S e FI avessero preso il 20% dei voti, questo corrisponderebbe al 12% del corpo elettorale; quindi la somma sarebbe stata il 64%, qualunque cosa ciò significhi. D’altra parte, come Gennaro fa notare, con i conti scalfariani sarebbe restato un 20%: togliendo il 6% della Lega e un 10% per Tsipras, NCD e altri rimasugli, il PD avrebbe solo il 4% dell’elettorato…
Calcoli di questo tipo me li aspetto dal facebookaro medio, non certo su uno dei due quotidiani più venduti in Italia. No, meglio: me li aspetto anche lì, ma non vorrei proprio vederli.

[la rete non dimentica] Post Scriptum: il facebookare modio di cui sopra ha cancellato il suo post. Peccato che mi fossi premunito di salvarlo, in ottemperanza all’aurea norma TRASPARENZA INNANZI TUTTO!!!1!!!11! che ci viene ricordato a ogni piè sospinto.

Ultimo aggiornamento: 2014-05-28 19:12

Matematica ospedaliera

[che c'entra il numero totale di persone?] Sabato scorso ho passato un simpatico pomeriggio all’ospedale San Gerardo di Monza, un nosocomio evidentemente costruito per gemmazione. In tutto quel periodo non avevo molto da fare, quindi ho iniziato a guardarmi in giro: ho scoperto che esistono impegnative per visite “urgenti differibili”, qualunque cosa ciò voglia dire, ma soprattutto ho visto il cartello qui in cima al mio post.

Tanto per essere chiari per chi scappava via alle lezioni di matematica: che l’ospedale riceva centomila, diecimila o un milione di pazienti l’anno è assolutamente irrilevante per quanto riguarda attese e disagi. Più precisamente, un ospedale deve essere dimensionato per il carico medio che ci si può aspettare: se mi dici che i disagi ci sono vuol dire che qualcuno ha sbagliato completamente i conti, e mi piacerebbe che questo qualcuno avesse pagato per i suoi errori. Altra cosa naturalmente è il fatto che l’afflusso di pazienti non è certo costante, e quindi è possibile – direi quasi necessario, perché altrimenti l’ospedale è sovradimensionato e si stanno spendendo molti più soldi più del necessario – che ci siano momenti in cui chi arriva e non è in pericolo immediato di vita si trovi ad aspettare un po’. Ma questo può capitare in un ospedale piccolo, medio o grande; anzi, statisticamente parlando, più l’ospedale è grande minore è la probabilità che ci sia un momento di crisi, come affermato dalla legge dei grandi numeri. Poi, certo, qualcuno potrebbe replicare che sabato pomeriggio sui monitor compariva il messaggio “Emergenza in corso – si prega di attendere nella sala triage”; ma la situazione era chiaramente del tutto normale, con la gente che finiva tranquillamente nei vari reparti, e la mia sensazione è che qualcuno si fosse dimenticato di sostituire il codice #01 con uno #02 oppure #03. Avrei anche potuto farlo io, visto che nella postazione dove doveva stare una guardia giurata non c’era nessuno fino alle otto di sera :-)

Poi se volete possiamo parlare del dimensionamento, ma con un solo caso a disposizione non posso avere molte certezze. Siamo arrivati alle 14:28 con un codice verde e un tempo di attesa a monitor di 49 minuti, e mio suocero è stato visitato alle 18:35. (Poi c’è stata un’ora e mezzo per avere i risultati degli esami del sangue). In queste quattro ore nel reparto di medicina generale del pronto soccorso è passato un codice rosso, otto codici gialli che sono man mano arrivati, e due codici verdi che erano lì da prima di lui. (In realtà uno era un codice bianco che a un certo punto ha avuto l’upgrade, esattamente come un codice verse è stato aggiornato a giallo). Gli altri settori (pediatrico, ortopedico e chirurgico) sono sempre stati con numeri più bassi e tempi minori di attesa, anche se il numero di persone arrivate era maggiore; anzi pediatria ha visto la coda sgonfiarsi nonostante il discreto numero di codici bianchi presenti al nostro arrivo. L’afflusso medio a medicina generale è stato di tre persone l’ora. È tanto o è poco rispetto alla media? Ripeto: non ho dati a sufficienza per dare una risposta. Però qualche dato lo posso estrapolare. Considerando un totale di 10 persone l’ora in media sommando tutti e quattro i reparti, e considerando che in un anno ci sono circa 9000 ore, abbiamo una stima di 90.000 persone l’anno; quindi il numero totale di arrivi è assolutamente compatibile col totale indicato dal cartello che campeggia nell’ospedale. Ci sono quindi tre casi possibili: a) la distribuzione dei pazienti di sabato scorso era fortemente sbilanciata tra i vari settori, anche se rimaneva nella media vista globalmente; b) la tipologia delle malattie in medicina generale quel giorno richiedeva visite molto più lunghe della media; c) il reparto di medicina globale è sottodimensionato. Scegliete voi qual è l’ipotesi più probabile.

Ultimo aggiornamento: 2014-05-05 16:42

I conti corti di Brunetta

È assolutamente lecito avere dei dubbi sulla capacità del governo Renzi di trovare i soldi di cui ha bisogno per tutte le sue riforme. È anche assolutamente lecito lamentarsi di dove Renzi ha deciso di trovarli, quei soldi. Fin qui tutto bene.
Però l’ex ministro Renato Brunetta, forse un po’ intontito dalla primavera che sta arrivando, ha perso una buona occasione per prendere la calcolatrice prima di mettersi a parlare. In quest’agenzia di ieri sera (ah, grazie a Phastidio per averlo segnalato!) Brunetta scrive che «Dai dati dell’Agenzia delle entrate risulta che, con l’aliquota del 20%, nel 2013 il gettito derivante dalle imposte sugli interessi da azioni e obbligazioni e sui capital gains e’ stato pari a circa 13 miliardi. Portando l’aliquota al 26%, come dice di voler fare Renzi, si reperiscono risorse per non piu’ di 780 milioni (6% di 13 miliardi). Come si giunga alla cifra indicata dal presidente del Consiglio (2,6 miliardi) rimane un grande mistero.»

Avete trovato la soluzione del mistero? È semplicissimo. Se si porta l’aliquota dal 20% al 26% il gettito ulteriore non aumenta del 6% ma molto di più. Lo si vede ad occhio pensando di portare l’aliquota dal 20% al 40%, cioè raddoppiandola; il gettito allora non aumenterà del 20%, ma appunto raddoppierà. Facendo i conti della serva, se un’aliquota del 20% dà 13 miliardi significa che l’imponibile era di 65 miliardi; il 26% dà 16,9 miliardi e la differenza è quindi di 3,9 miliardi. (Poi non tutto il gettito probabilmente vedrebbe l’aumento, e dunque quello previsto è solo i due terzi di quello indicato). Più che di finanza creativa, insomma, io parlerei di aritmetica creativa…

Ultimo aggiornamento: 2014-03-14 11:20

63% non pervenuto

[25% donne, 11% uomini, e poi?]
Gennaro mi fa notare una strana frase di questo articolo di D, che afferma che «la forza lavoro laureata tricolore è già per il 25% composta da donne e per il 12% da uomini»

Io non ho nessuna idea su chi possa essere il restante 63%. Non credo, come suppone Gennaro, che siano i non laureati: mi pare del tutto improbabile che in Italia abbiamo così tanti laureati a lavorare, e soprattutto che si laureino (e vadano a lavorare) il doppio delle donne che di uomini. Peccato che non abbia nessuna idea di cosa volesse dire Elisabetta Muritti: se qualcuno vuole azzardare ipotesi, commenti pure!

Ultimo aggiornamento: 2014-03-07 11:01

“graduale ma disomogenea”

Mario Draghi, parlando della situazione economia europea, ha affermato che «La ripresa nell’eurozona sta facendo graduali passi avanti, anche se lentamente ed in modo disomogeneo».
Matematicamente parlando, non c’è nulla di strano che i graduali passi avanti avvengano lentamente; anzi mi sarei preoccupato di passi graduali e fatti in fretta, come un personaggio dei cartoni animati che corre sulle punte dei piedi. Non avrei nemmeno avuto nulla da dire su una ripresa lenta e disomogenea; la lentezza è il valor medio della ripresa, la disomogeneità indica che c’è una ampia varianza.
Però non riesco a digerire il graduale e disomogenea. È come pensare alla polenta che man mano si rapprende… però facendo tanti grumi. Voi che ne pensate?

Ultimo aggiornamento: 2014-02-28 10:33

L’algebra di Ezio Mauro

Andrea mi segnala questa frase dall’editoriale odierno di Ezio Mauro su Repubblica (grassetti miei):

«Tutto questo ha accentuato la fragilità congenita del ministero, forte dalla cintola in su (per il buon credito di Enrico Letta in Europa), debole in Italia per la gestione troppo prudente di una somma algebrica dei veti incrociati in una maggioranza spuria, con il minimo comun denominatore come risultato.»

Domanda: secondo voi Mauro sa di cosa sta parlando?

Ultimo aggiornamento: 2014-02-14 16:32