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Netanyahu e la grazia preventiva

Il fatto che Benjamin Netanyahu abbia chiesto direttamente la grazia al presidente israeliano Isaac Herzog rispetto ai procedimenti per corruzione per cui è sotto processo – anche se con la scusa della guerra a Gaza continua a far rimandare le udienze: Berlusconi in confronto era un pivello – è sicuramente irrituale. Avete mai visto uno che si dice innocente ma vuole la grazia perché il processo “sta lacerando il Paese dall’interno”, mentre Israele ha bisogno di “una riconciliazione nazionale di tutti i cittadini”? Diciamo che mi sembra un ottimo metodo per avvelenare ancora di più i pozzi.

Non so se le leggi israeliane lo permettano, ma devo dire che mi piacerebbe che Herzog dicesse “ok, ti do una grazia parziale. Non andrai in prigione, ma perderai i diritti civili, e quindi non potrai più fare il primo ministro”. Non sarebbe un equo compromesso?

Meloni e le operazioni aritmetiche

La pressione fiscale in Italia è aumentata ancora, toccando il 42,8% del Pil. Non lo dico io, ma il Documento programmatico di finanza pubblica (tabella a pagina 57). Dire questa cosa però fa piangere il PresConsMin: così ELLA ci tiene a far sapere che “I dati aumentano perché c’è più gente che lavora, perché questo governo ha portato al record storico di proventi dalla lotta all’evasione”. È proprio così? Facciamo un po’ di conti: nulla più che le quattro operazioni, non temete.

Partiamo dalla seconda parte della frase, i proventi dalla lotta all’evasione. Da gennaio a settembre si sono incassati 1,137 miliardi in più. (Non fermatevi al titolo dell’articolo, che non si sa se per compiacere ELLA oppure per comune carenza di comprensione dei concetti matematici confonde il gettito con la differenza di gettito.) Questo denaro equivale a circa lo 0,1% del PIL, ma la pressione è aumentata dello 0,3%: manca ancora molto. Vediamo che si può dire della prima parte dell’affermazione di ELLA. Ricordo che la pressione fiscale è il rapporto tra quanti soldi arrivano allo Stato (numeratore) e quant’è il prodotto nazionale lordo (denominatore). Cosa succede se c’è più gente che lavora? Che il numeratore cresce, perché se guadagni paghi tasse e hai soldi per comprare oggetti su cui paghi l’IVA. Ma cresce anche il denominatore, perché hai prodotto ricchezza… a meno che non ti paghino per fare la guardia ai bidoni di benzina. E si spera che il denominatore cresca più del doppio del numeratore, perché in caso contrario è vero che il rapporto aumenta (per esempio, se partiamo da 4/10, cioè il 40%, e sommiamo 5 sopra e sotto otteniamo 9/15, cioè il 60%) ma questo significa che stai creando lavoro che vale poco. In definitiva, consiglierei ad ELLA di fare meglio il proprio compitino e scegliere almeno i numeri giusti da mostrare…

Ultimo aggiornamento: 2025-11-09 19:43

Un’altra grande idea di Durigon

Dopo la proposta dell’altra settimana, Claudio Durigon colpisce ancora. Sul Corriere di oggi leggiamo che stavolta Durigon propone di estendere la possibilità volontaria di andare in pensione a 64 anni con 25 di contributi anche a chi è sotto il sistema misto, con «La possibilità, sempre su base volontaria, di usare anche il Tfr presso l’Inps come rendita per raggiungere la soglia minima di pensione, pari a tre volte l’assegno sociale (1.616 euro), che dà accesso alla pensione a 64 anni».

Premessa: come scritto, non è che basti avere 25 anni di contribuzione anche per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1996. Occorre anche avere versato parecchi contributi, per avere un assegno pensionistico sufficientemente alto. Questo non viene toccato, ed è il motivo per cui bisogna attingere al TFR per aggiungere montante e arrivare alla fatidica quota.

Bene. Il problema non è che ti tolgono la liquidazione per darti la pensione: potremmo dire che invece che prenderli tutti e subito li metti a rendita. Non è nemmeno il fatto che la pensione viene calcolata tutta con il contributivo perdendo il miglior trattamento della parte retributiva, che immagino sarà residuale. Il problema è un altro. I possibili beneficiari hanno lunghi periodi senza contributi, visto che nel 2026 sono passati trent’anni dall’introduzione del sistema contributivo e quindi ne hanno persi almeno cinque. Probabilmente non hanno fatto lavori molto ben remunerati; la probabilità che anche con il TFR si raggiunga la fatidica soglia è bassa, e quindi saranno in ben pochi a farlo, come i 1153 che hanno chiesto di usufrire di Quota 103. Certo, è possibile che l’uso del TFR sia anche esteso ai lavoratori nel sistema contributivo, e in questo caso i numeri sarebbero maggiori: ma se uno sta ancora lavorando gli conviene comunque aspettare tre anni, e se non sta lavorando gli è già stato liquidato. Di nuovo, la proposta sembra nata per fare chiacchiere e distintivo.

PS: vedo che Durigon ha provato a mettere una pezza alla proposta ferragostana, dicendo

«Bisogna far in modo che quando un contratto scade, in attesa del rinnovo, ci sia comunque un aumento degli stipendi, per esempio commisurato all’Ipca o ad altri indicatori, che poi sarà compensato quando il nuovo contratto stabilirà gli incrementi dei minimi. Un meccanismo simile a quello che c’è già nei grandi contratti dell’industria.»

L’Ipca è un indice che quantifica l’inflazione, e che viene usato come base per le richieste sindacali in fase di rinnovo contrattuale. In effetti i metalmeccanici sono riusciti ad agganciare i minimi all’Ipca, ma solo durante la valenza del contratto, non certo quando è scaduto. Diciamo che forse è meglio prendere quelle di Durigon come parolibere…

Gente che non è mai stata lavoratore dipendente

Claudio Durigon, uno dei Grandi Esperti della Lega, afferma in un’intervista che «I rinnovi contrattuali devono decorrere dalla scadenza, non dal giorno dell’accordo. Così evitiamo anni di vacanza contrattuale e garantiamo aumenti costanti, anche con anticipi», aggiungendo, mi immagino con un sorrisetto soddisfatto, «Riforma a costo zero.»

Io non ho mai partecipato alle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro (anche da RSU sono “di serie B” e quindi non mi schiodo) ma ovviamente di contratti ne ho letti tanti. Negli ultimi anni si sono accorpate la parte normativa (tutto quello che riguarda orario di lavoro, ferie, permessi, sanzioni disciplinari…) e quella economica (quanti soldi si danno). Presumo che nemmeno Durigon pensi si possano fare modifiche retroattive sulla parte normativa; il suo ingenuo pensiero è che quando i giornali scrivono “150 euro di aumento al quinto livello” significa che nella busta paga di quel mese, al massimo di quello successivo, lo stipendio lordo aumenterà di 150 euro. Questo capita forse nel paese delle fate: nel mondo reale quei soldi vengono aggiunti man mano, con la maggior parte che arriva alla fine del periodo di valenza contrattuale. Insomma le aziende cercano per quanto possibile di spostare in avanti il momento in cui devono sganciare i soldi promessi. E secondo voi darebbero persino gli arretrati di quei soldi? Il tutto poi sarebbe naturalmente ben lungi dall’essere “a costo zero”, almeno per le aziende. Ma magari Durigon pensava al costo per lo stato…

Ultimo aggiornamento: 2025-08-16 16:44

Povera Ucraina

la vignetta di Giannelli di ieri, dal Corsera Anche se gli amici di Capire Giannelli l’hanno come al solito preso in giro, la vignetta di ieri di Giannelli sul Corriere rende l’idea di cosa succederà con ogni probabilità a Ferragosto, quando Trump volerà in Alaska (noto territorio russo, anche se poi venne venduto dagli zar) per parlare con Putin di come gestire l’Ucraina: ovviamente senza Zelensky, che conta meno di zero.

Direi che l’intervista a Suslov dice tutto. Il punto non è tanto il veto per un ingresso dell’Ucraina nella Nato, cosa anche comprensibile, ma tutto il reeto: della Crimea non si parla nemmeno (ma del resto fino ai tempi dell’ucraino Breznev la Crimea era russa, non ucraina), e “lo scambio di territori” si traduce in una semplice cessione di tutto il Donbass (e delle risorse minerarie…) che i russi non sono mai riusciti a conquistare direttamente. Non so se Trump sia davvero l’agente russo Krasnov o semplicemente l’unica cosa che gli interessa è mostrare di essere un “pacificatore”: il risultato pratico è in ogni caso lo stesso, e cioè la fine dell’Ucraina.

(ps: a me Zelensky non piace, e nemmeno il modo in cui governa. Ma direi che in questi anni si è visto che cosa è successo, e se gli ucraini sono in massima parte al suo fianco qualcosa vorrà ben dire.)

ELLA non sapeva!

A prima vista uno potrebbe pensare che Giorgia Meloni debba essere sollevata per l’archiviazione della sua posizione nel caso Almasri, mentre partirà la richiesta di autorizzazione a procedere per Piantedosi, Nordio e Mantovano. Ma chiaramente non è così, e se ci si pensa un po’ su la cosa è anche ovvia.

Premessa: l’autorizzazione a procedere è votata dal parlamento, quello che ai tempi di Ruby si è detto convinto che Berlusconi credesse davvero che la fanciulla fosse la nipote di Mubarak. Figuriamoci se qualcuno dei ministri verrebbe mai mandato a processo. Detto in altri termini, la scelta della procura è puramente politica: vuole che resti scritto nero su bianco che si è scelto deliberatamente di rimandare Almasri in Libia, nonostante si sapesse bene che c’era un mandato di cattura internazionale. Realpolitik de noantri.

Ma affermare che Meloni “non sia stata preventivamente informata e [non] abbia condiviso la decisione assunta” è una mossa politica ancora più diretta. Un governo dove il sottosegretario alla presidenza del Consiglio non segnali al suo capo una cosa del genere sarebbe un governo allo sbando: è vero che la maggior parte degli elettori non se ne accorgerà e non mi pare che l’opposizione cavalchi questa decisione, ma questo non vuol dire che Meloni (che ha studiato) non lo capisca. Considerato che maretta tra i partiti al governo ce n’è già, non poter dire formalmente che la scelta di far finta di nulla (anzi…) è stata presa “per la sicurezza degli italiani” non rafforzerà certo la coalizione. Non che in effetti la cosa serva, vista l’opposizione che ci troviamo, ma non si sa mai…

Ultimo aggiornamento: 2025-08-05 12:52

flop annunciato

Io pensavo a un’affluenza ai referendum sul 23%, mentre sono arrivati poco sopra al 30%. Non che la cosa cambi molto, naturalmente. Probabilmente la destra poteva evitare tutta la campagna astensionista e il risultato sarebbe rimaso lo stesso, ma con una maggiore legittimazione politica del NO. Non credo infatti che il 20% degli italiani (a) voti a destra e (b) non sia andata a votare perché Meloni Salvini e Tajani gliel’hanno detto.

Quello che personalmente mi stupisce non è tanto la scarsa affluenza, che come dicevo ci potevamo aspettare, quanto il basso risultato dei SÌ per il quesito sull’abbreviazione del tempo necessario per ottenere la cittadinanza italiana (ferme restando naturalmente tutte le altre clausole, anche se i contrari hanno sempre affermato il contrario): se le prime stime sono corrette, i SÌ sono tra il 60 e il 65%, quindi meno del 20% dell’elettorato italiano. Più votato il SÌ gli altri quattro referendum, con una percentuale superiore all’80% che porta il totale dei favorevoli intorno al 25% del corpo elettorale: non tutti i 15 milioni millantati da Landini e Schlein (Conte almeno ha avuto il buonsenso di contare solo i SÌ), ma comunque un numero di persone sufficiente per dire che con la regola proposta da Alberto Saracco (Il referendum è approvato nel caso in cui i sì siano almeno il 50%+1 dei voti espressi e almeno il 25%+1 degli aventi diritto) il risultato sarebbe stato diverso… o meglio, la destra avrebbe dovuto fare una campagna molto vivace per il NO, e non per sfruttare l’astensione ormai tipica per le italiche votazioni.

Ma tanto queste sono considerazioni oziose: quello che potremo avere al più è un aumento delle firme necessarie per presentare un referendum, ma anche con un milione di firme il risultato non cambierebbe molto.

Le vajasse d’oltreoceano

Se ho capito bene, la lite a mezzo social tra Musk e Trump si è momentaneamente acquietata. Donaldo ha detto che in fin dei conti Musk è un tipo tosto, Elonio ha cancellato i tweet dove insinuava che il nome di Trump si trova negli Epstein files. (Non che abbia capito l’utilità di quella mossa: la risposta tipica di Trump sarebbe stata “e allora?” e la cosa finiva lì). D’altra parte, al momento i due hanno bisogno uno dell’altro: Elonio per le commesse federali, Donaldo perché ormai il DOGE è stato del tutto infiltrato dagli X-boys e io non mi fiderei più di tanto. Dopo aver arruffato il pelo e gonfiato i muscoli, i due non potevano fare altro che scendere a più miti consigli, salvo riprendere il tutto tra una settimana o due.

Il tutto sarebbe anche divertente, se non ci fossimo di mezzo noi. Non che la situazione sarebbe così piacevole anche se i due andassero d’amore e d’accordo, ma così siamo messi proprio male.