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Un LLM più bravo degli umani nei problemi matematici?

Il mio amico Ugo mi segnala questo articolo di Nature con il titolo piuttosto allarmistico “DeepMind AI outdoes human mathematicians on unsolved problem”. Ho letto l’articolo e direi che l’affermazione è un po’ esagerata, o meglio non è poi una novità così importante. Come mai?

Comincio a spiegare di cosa si sta parlando. Set, anzi SET, è un gioco di carte, con un mazzo di 81 carte (34) che hanno immagini con quattro caratteristiche (numero elementi, forma, colore, riempimento), ciascuna presente in tre versioni diverse. Un set è un insieme di tre carte dove ogni caratteristica è presente sempre nella stessa versione oppure in tutte e tre le versioni possibili. Nella figura abbiamo tre numeri, tre colori, tre forme e tre riempimenti e quindi c’è un set; ma se i rombi e i rettangoli arrotondati fossero stati due anziché 1 e 3 rispettivamente avremmo comunque avuto un set.

Ora, è stato dimostrato che se si prendono 21 carte si è certi di trovare almeno un set, ma con 20 carte potremmo non averne alcuno; pertanto 21 è il numero minimo di carte necessarie. Come sapete, i matematici amano generalizzare le domande, e quindi si sono chiesti qual è il numero minimo di carte necessario in un (teorico…) mazzo con n caratteristiche, e quindi 3n carte. (L’articolo scrive “3n” perché nessuno sta lì a controllare che non si perdano gli esponenti). Questa domanda in generale non ha ancora risposta per n>6, e sono solo noti limiti superiori e inferiori (in parole povere: sappiamo che per un certo n il numero minimo di carte è maggiore o uguale a un certo k e minore o uguale a un altro K, con k<K). Cosa hanno fatto quelli di Google DeepMind? Hanno addestrato un LLM, chiamato FunSearch (il “Fun” non sta per “divertimento” ma per “funzione”: insomma l’LLM lavora sullo spazio delle funzioni) e gli hanno chiesto di scrivere dei brevi programmi di computer che generano insiemi di carte per cui non è possibile costruire un set. Molti di questi programmi non possono girare perché hanno errori di sintassi, ma essi vengono eliminati da un altro programma; quelli “buoni” sono stati fatti girare e hanno trovato un insieme di carte 8-dimensionale che è più grande del limite inferiore noto fino ad ora. Insomma, l’LLM ha generato un risultato matematico nuovo.

(Per chi vuole qualche informazione in più, dal paper si legge che il compito è stato riscritto in modo equivalmente come una proprietà di grafi; direi che la scelta di avere un programma generatore è legata al fatto che in questo modo la complessità della generazione di una configurazione cresce molto più lentamente al crescere di n e quindi è trattabile algoritmicamente. Infine, è chiaro che per quanto il risultato finale sia importante non c’è nessuna garanzia che quanto trovato sia il valore esatto, e nessuno se lo sarebbe aspettato.)

Qual è il mio pensiero al riguardo? Per prima cosa sgombro il campo da un possibile equivoco: che l’LLM di suo generi programmi non eseguibili è un non-problema, fintantoché esiste un modulo automatico distinto che se ne accorge e li butta via (e moduli come questo sono a disposizione da una vita). Anch’io se dovessi scrivere un programma su carta rischio di fare errori di sintassi :-) La parte che trovo davvero interessante nell’approccio proposto è proprio quella: avere un sistema integrato che riceva un input in linguaggio naturale e controlli automaticamente la validità delle proprie risposte. Potrebbe anche essere interessante il fatto che l’LLM abbia generato tra le tante euristiche per trovare questi set qualcuna che non era mai venuta in mente agli esseri umani. Però resto sempre dubbioso sul definirlo un breakthrough e non semplicemente un miglioramento sulle tecniche che si usano da decenni, come per esempio gli algoritmi genetici che hanno anch’essi un comportamento impredicibile a priori. Certo, gli autori dell’articolo si affrettano ad aggiungere che a differenza dei soliti LLM qui abbiamo un’idea (il programma generato) di come abbia lavorato l’algoritmo, ma di nuovo mi sembra che stiamo mischiando due livelli diversi.

In definitiva, io aspetterei ancora un po’ prima di gioire o fasciarmi la testa…

(Immagine di carte SET di Miles, su Wikimedia Commons, Public Domain)

Ultimo aggiornamento: 2024-01-06 17:23

La base fattoradicale (II)

permutazioni di quattro elementi come codice di Lehmer

La settimana scorsa abbiamo visto come si scrive la base fattoradicale. Un paio dei miei ventun lettori si è chiesto come mai si usa anche la posizione relativa a 0!, che tanto è sempre 0 e quindi non porta informazione. In effetti potete trovare anche la rappresentazione senza questa cifra; ma ho preferito lasciarla per poter ampliare il conto ai numeri frazionari. L’estensione ha comunque qualche problema, perché (-1)!, (-2)! e così via non sono definiti; quello che si fa in pratica è usare gli inversi dei fattoriali, 1/1, 1/2, 1/6, 1/24, …, 1/n!, …; chiaramente anche la prima cifra dopo la virgola è sempre zero, e quindi se avete proprio bisogno di spazio potete toglierla insieme alla cifra immediatamente a sinistra. Basta che avvisiate. Già che ci sono, aggiungo un’altra notazione: come potete immaginare, numeri molto grandi (o numeri frazionari molto lunghi) possono usare cifre maggiori di 10. Per evitare di inventare simboli, si possono usare i numeri in base 10 e separare le “cifre” con un “:”; pertanto 2441010! si può anche scrivere come 2:4:4:1:0:1:0!.

La conversione in base fattoradicale permette anche di numerare in ordine intelligente le permutazioni di n elementi. Qual è per esempio la 2023-ma permutazione di sette elementi? Scriviamo gli elementi come {0,1,2,3,4,5,6} e leggiamo da sinistra a destra 2441010!. La prima cifra è un 2; contiamo fino a due (partendo da zero, qui siamo informatici più che matematici) e tiriamo fuori il numero trovato, che è 2. I nostri elementi restano quindi {0,1,3,4,5,6}. Proseguiamo in questo modo: dalla nuova lista contiamo da 0 a 4, troviamo 5 e lasciamo {0,1,3,4,6}; poi prendiamo 6 e lasciamo {0,1,3,4}, prendiamo 1 e lasciamo {0,3,4}, prendiamo 0 e lasciamo {3,4}, prendiamo 4 e lasciamo {3} e infine prendiamo 3. (Visto che avere la posizione zero può servire?). Mettendo insieme i numeri otteniamo la permutazione {2,5,6,1,0,4,3). L’unicità della rappresentazione fattoradicale ci assicura che in questo modo troveremo tutte e sole le permutazioni possibili.

Un altro esempio di uso dei numeri fattoradicali (stavolta senza la cifra finale) è dato dai codici di Lehrer; come vedete nella pagina di Wikipedia relativa, questi codici tanto per cambiare codificano le permutazioni di n elementi, ma questa volta lo fanno per mezzo delle inversioni, cioè gli scambi di due elementi. Se date un’occhiata alla tabella, le colonne le r consistono proprio nei numeri fattoradicali scritti da destra a sinistra, e la somma delle “cifre” è proprio il numero di inversioni necessarie per partire dalla permutazione di base {1,2,3,4} per arrivare a quella voluta.

Evelyn Lamb afferma che questo può servire anche per il problema dei bagni chimici ai festival musicali britannici, come da video di Numberphile; a me non sembra, ma tant’è. Ad ogni modo, buon divertimento!

(figura di Tilman Piesk da Wikimedia Commons, CC-BY-SA 3.0)

La base fattoradicale (I)

si può anche andare oltreSe vi dicessi che ho scritto l’anno 2023 in una certa base e mi è venuto fuori 2441010, mentre il 2024 si rappresenta come 2441100, riuscireste a indovinare la base? Probabilmente no, a meno che non abbiate visto e studiato la vignetta qui a fianco. Ho infatti scritto i numeri in base fattoradicale; un modo indubbiamente fantasioso, come vedremo. La base fattoradicale è un sistema a base mista: le posizioni da destra a sinistra corrispondono ai multipli dei successivi numeri fattoriali, con la regola aggiuntiva ma logica che non è possibile che nella posizione $n$ da destra non si possa usare un coefficiente maggiore di $n$; a differenza delle usuali basi numeriche si può però usare $n$. (Ricordo che $n! = 1 \cdot 2 \cdot \ldots \cdot n$; per convenzione 0! = 1, ma nel nostro caso tutti i numeri naturali in base fattoradicale finiscono per 0). Pertanto $2441010_{!} = 2(6!)+4(5!)+4(4!)+1(3!)+0(2!)+1(1!)+0(0!)$, il che in effetti non è molto semplice da leggere. Come in genere si scrive $2023_{10}$ per dire che il numero è in base 10, per la base fattoradicale si usa un punto esclamativo come pedice.

Non è difficile dimostrare che ogni numero naturale si può scrivere in un solo modo in base fattoradicale; il trucco è notare che quando il coefficiente relativo alla posizione $n$ arriva a $n+1$ abbiamo esattamente $(n+1)!$ e quindi possiamo fare il riporto esattamente come nelle basi di numerazione usuali; l’unica differenza è che il riporto cambia a ogni nuova posizione, invece che arrivare allo stesso valore. Non è nemmeno troppo difficile convertire un numero dalla base 10, o se per questo da qualunque base fissa, alla base fattoradicale. La cifra più a destra, come dicevo sopra, è sempre 0; poi si comincia a dividere il numero per 2, 3, 4… e il resto della divisione è la cifra da aggiungere man mano a sinistra. Abbiamo così
$$
\begin{array}{c c c}
(2023/1 & = 2023) & 0 \\\hline
2023/2 & = 1011 & 1 \\\hline
1011/3 & = 337 & 0 \\\hline
337/4 & = 84 & 1 \\\hline
84/5 & = 16 & 4 \\\hline
16/6 & = 2 & 4 \\\hline
2/7 & = 0 & 2
\end{array}
$$

Ma a che serve scrivere un numero in fattoradicale, considerando che come dice xkcd se superi la posizione corrispondente a 9! devi inventarti dei nuovi simboli? Per esempio per un trucco di magia matematica, come racconta Tom Edgar. Mischiate un mazzo di carte, chiedete a un membro del pubblico di prendere un mazzetto di 24 carte e sceglierne una mentre non guardate, e di mischiare di nuovo il mazzatto. A questo punto vi girate verso il pubblico e chiedete a una seconda persona di dire qual è il numero che preferisce tra 1 e 24. Prendete il mazzetto e fate due file di 12 carte alternando da una fila all’altra, e chiedete alla prima persona in quale fila si trova la carta da lui scelta. Mettete una fila sopra l’altra e fate stavolta tre file di 8 carte, chiedendo sempre dove si trova la carta scelta; infine fate quattro file di sei carte e chiedete ancora una volta dove si trova la carta scelta. Prendete le carte, rimettetele insieme e cominciate a girarle: la carta prescelta dalla prima persona sarà esattamente nella posizione corrispondente al numero detto dalla seconda persona!

Come è possibile? Potete facilmente immaginare che il trucco sia legato alla base fattoradicale. In effetti i numeri da 0 a 23 possono essere scritti con al massimo quattro cifre fattoradicali, dove l’ultima è sempre 0 e possiamo toglierla. Se ora per esempio il secondo membro del pubblico ha scelto il numero 14, togliamo 1 e otteniamo 13, cioè $2010_{!}$. Tolto lo zero di destra, le cifre da destra a sinistra sono 1, 0, 2; sommiamo a ciascuna 1 e otteniamo 2, 1, 3. Questo vuol dire che dopo la prima fase il mazzetto con la carta scelta deve essere messo in seconda posizione, dopo la seconda fare il nuovo mazzetto deve stare in prima posizione e dopo la terza fase in terza posizione. Abbiamo in pratica scritto il numero prescelto in base fattoradicale, e se contiamo a una a una le carte lo troviamo. Con un po’ di allenamento e di memoria per calcolare a mente la conversione in base fattoradicale il gioco riesce facilmente: e non avere un numero prefissato di file a ogni passo rende più difficile scoprire il trucco.

Ma c’è qualche proprietà più utile dei numeri in base fattoradicale? Lo vedremo la prossima volta! (no, quello non è un simbolo di fattoriale)

(immagine di xkcd, CC-BY-NC 2.5)

I numeri di Keith

i divisori dei primi numeri di Keith Prendiamo il numero 742. Così ad occhio non ci dice molto; se però costruiamo una successione simil-Fibonacci partendo dalle sue cifre, sommandole e continuando a sommare gli ultimi tre numeri ottenuti ricaviamo

7, 4, 2, 13, 19, 34, 66, 119, 219, 404, 742, 1365, …

Come vedete, a un certo punto della successione otteniamo il numero di partenza. I numeri che hanno questa proprietà si chiamano numeri di Keith, dal nome del matematico Mike Keith che li propose nel 1987. (Per completezza lui li definì “repfigit”, nel senso di “cifre di Fibonacci replicate”)

I numeri di una cifra sono banalmente di Keith, ma non li si considera tali perché sarebbe barare. Il più piccolo numero di Keith in base 10 è così 14 (1, 4, 5, 9, 14), seguito da 19, 28, 47, 61, 75, 197 e appunto 742. Non si sa molto su questi numeri: nemmeno se sono finiti o infiniti in una data base. Keith ha congetturato che se si lavora in base 10 ci siano in media tre numeri di Keith con un numero dato di cifre; ma il valore è molto variabile, visto che ci sono 10 numeri di Keith di 6 cifre e 7 di 27 cifre, ma non ce ne sono con 10 cifre e ce ne sono solo uno di 24 e 25 cifre rispettivamente. Nonostante alcune tecniche permettano di ridurre la quantità di conti da fare, trovarli è molto laborioso, perché essenzialmente richiede un approccio a forza bruta: fino al 2009 si conoscevano solo 95 numeri di Keith, tutti quelli con al più 34 cifre. Ma nel dicembre 2022 il matemago Toon Baeyens dell’università di Gand ne ha trovati altri nove, di 35 e 36 cifre, portando il totale a 104. Il più grande numero di Keith conosciuto è pertanto 880430656963418264331749765271577784.

La figura all’inizio, che mostra i divisori (piccoli) dei primi 94 numeri di Keith, mostra un comportamento un po’ buffo: certi fattori primi proprio non appaiono, mentre gli altri seguono più o meno il comportamento che ci aspetteremmo da un insieme di numeri, che cioè una frazione 1/p di essi fosse divisibile per p. È un caso? secondo me sì, ma non ditelo in giro :-) Purtroppo la teoria dei numeri è piena di proprietà come questa, di cui si può dimostrare ben poco: se siete ottimisti è un segnale di come la struttura dei numeri sia incredibilmente complessa, se siete pessimisti è un segnale di come la struttura dei numeri sia incredibilmente incasinata…

(figura da Numbers Aplenty)

Media quadratica ed eroniana


Tutti conosciamo la media aritmetica: presi due numeri, la loro media aritmetica è la metà della loro somma, o se preferite il numero che è alla stessa distanza dai due di partenza: dunque $ M_A(x,y) = \frac{x+y}{2} $ .

Quasi tutti conosciamo la media geometrica: presi due numeri, la loro media geometrica è la radice quadrata del loro prodotto, o se preferite il numero che è il lato di un quadrato della stessa superficie di un rettangolo di lati i due numeri. Dunque $ M_G(x,y) = \sqrt{xy} $. È facile dimostrare che la media geometrica di due numeri positivi è sempre inferiore o uguale alla loro media aritmetica, ed è uguale se e solo se i due numeri sono uguali: per confrontare $ \frac{x+y}{2} $ e $ \sqrt{xy} $ basta prima raddoppiarli e poi elevarli al quadrato.

Alcuni conoscono anche la media armonica: presi due numeri, la loro media armonica è l’inverso della media aritmetica dei loro inversi, o se preferite la velocità media complessiva di due tratti uguali di strada percorsi a due diverse velocità. MH (x, y) = 2xy/(x+y). La media armonica è ovviamente musicale: se fate la media di due note do a un’ottava di distanza ottenete un fa. Se si conosce il trucco, è facile dimostrare che la media armonica di due numeri positivi è sempre inferiore o uguale alla loro media geometrica, ed è uguale se e solo se i due numeri sono uguali: sappiamo da sopra che $ \frac{1}{x} + \frac{1}{y} \geq \sqrt{\frac{1}{x} \frac{1}{y}} $; se prendiamo gli inversi dei due membri, ricordandoci che la diseguaglianza cambia di verso, otteniamo il risultato.

La figura all’inizio del post dà una dimostrazione “visiva” di queste medie, e trovate anche disegnata la “media quadratica”, che è data da $ \sqrt{\frac{x^2 + y^2){2}}. Se avete studiato ingegneria, questa formula dovrebbe esservi nota, perché è il “valore efficace”. Per la cronaca, la media quadratica di due numeri positivi è sempre maggiore o uguale della media aritmetica, ed è uguale se e solo i due numeri sono uguali; per dimostrarlo si usa la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz.

Ma tra le tantissime medie che esistono ce n’è una che probabilmente vi è sconosciuta (lo era anche a me, prima di scrivere questo post): la media eroniana ME. Essa si ottiene come media pesata di quella aritmetica, presa per due terzi, e di quella geometrica, presa per un terzo. Abbiamo dunque $ M_E = \frac{2}{3}\frac{x+y}{2} + \frac{1}{3}\sqrt{xy} = \frac{1}{3}(x + \sqrt{xy} + y)$. Per costruzione è chiaro che la media eroniana di due numeri positivi è compresa tra quella aritmetica e quella geometrica. Erone è stato probabilmente il più grande geometra del periodo alessandrino; l’importanza di questa media – che si comporta come ogni media che si rispetti, nel senso che è simmetrica e che se applicata a due valori uguali dà quello stesso valore – è che può essere usata per calcolare il volume di un tronco di piramide a base quadrata, che è dato dal prodotto della media eroniana delle basi per l’altezza.

Un aneddoto: come dice la pagina di Wikipedia in inglese, quella formula era nota già agli antichi egizi. Quando ero alle medie, mia avevano fatto costruire un modellino in cartoncino per una conferenza dove veniva fatta un’ipotesi su come gli egizi fossero arrivati alla formula. Insomma, è vero che non la conoscevo con quel nome ma ho avuto a che fare con essa già quasi cinquant’anni fa!

(immagini da Wikimedia Commons: QM_AM_GM_HM_inequality_visual_proof.svg, di CMG Lee, CC-BY-SA4.0, Square_frustum.png, di MarinaVladivostok, CC0 1.0)

Ultimo aggiornamento: 2024-01-06 17:20

Il paradosso di Sierpinski-Mazurkiewicz

ma anche senza assioma della scelta... Il paradosso di Banach-Tarski è ben noto a chi ha studiato matematica. Quallo che succede è che è possibile tagliare una sfera in cinque parti secondo una certa regola, traslare questi “pezzi” che sono stati ottenuti, e ricavare due sfere identiche a quella di partenza. Dov’è il trucco? Beh, ce ne sono almeno due. Il primo è che i pezzi ottenuti sono una specie di polvere diffusa: tecnicamente si dice che non sono insiemi misurabili, e quindi non è in realtà fisicamente possibile crearli. Il secondo trucco è che è necessario usare l’assioma della scelta per poter creare questi pezzi; l’assioma della scelta è una di quelle proprietà che sembrano intuitive, ma che sfuggono a ogni tentativo di dimostrazione – non per nulla è un assioma… – e soprattutto possono portare a paradossi, come si vede. Però esistono risultati simili che non richiedono l’assioma della scelta, come vedremo.

Consideriamo il numero complesso x = ei. Sì, è possibile elevare un numero a una potenza immaginaria, e il risultato è ancora un numero complesso, nel nostro caso almeno secondo Wolfram Alpha all’incirca 0,54030 + 0,84147 i. Quello che conta è che però quel numero è trascendente e quindi non è la radice di nessun polinomio a coefficienti interi. (Ok, io non saprei dimostrarlo, ma mi fido che sia così). Bene, prendiamo l’insieme S dei valori dei polinomi a coefficienti interi non negativi (per esempio, 5x³ + 2x + 42) calcolati nel punto x. Ciascuno di questi valori corrisponde a un punto del piano complesso; tutti questi punti devono essere distinti, perché se due di questi polinomi avessero lo stesso valore allora la loro differenza varrebbe zero, il che è assurdo per definizione perché x è trascendente. Dividiamo ora S in due sottoinsiemi A e B, in questo modo: A contiene tutti e soli i polinomi di S che non hanno un termine costante, mentre B contiene tutti gli altri polinomi di S, vale a dire quelli che hanno un termine costante. È chiaro che per costruzione Ab = S. Cosa succede ora se ruotiamo di un radiante (cioè di 1/2π di circonferenza) in senso orario l’insieme A? Eulero ci ha insegnato che questa rotazione è la stessa cosa che moltiplicare per e−i, e l’algebra di scuola ci dice che questo è la stessa cosa che dividere per ei. Quindi otteniamo tutti i polinomi in x a coefficienti positivi, cioè il nostro insieme S. E se invece spostiamo a sinistra di un’unità l’insieme B? Beh, otteniamo di nuovo tutti gli elementi di S, perché i termini costanti in B partono da 1 in su e se togliamo 1 otteniamo tutti i termini costanti da 0 in su. Dunque abbiamo costruito esplicitamente un insieme che può essere diviso in due parti che traslate e ruotate formano due copie dello stesso insieme. Carino, no? Come dice il titolo, questo paradosso è stato trovato da Sierpinski e Mazurkiewicz, due matematici polacchi. Non che S sia un insieme disegnabile: essendo costituito da un’infinità numerabile di punti discreti, la sua misura (generalizzazione del concetto di area che si usa in analisi) è nulla.

Se la cosa vi pare troppo complicata, eccovi un esempio più semplice e galileiano. Prendiamo come insieme N i numeri naturali e dividiamoli in quelli pari P e quelli dispari D. Ora, se dividiamo per 2 gli elementi di P otteniamo N, e se togliamo 1 dagli elementi di D e poi li dividiamo per 2 otteniamo di nuovo N. Tutto questo funziona perché i numeri sono infiniti, naturalmente; ma mentre in questo secondo caso dobbiamo comunque fare un’operazione (quella di divisione) che pare sparigliare nel caso precedente abbiamo solo trasformazioni rigide. Carino, no?

(immagine di xkcd: la vignetta completa è qui.)

La clotoide

grafico di una clotoide
Ci sono tante curve non solo carine a vedersi, ma che hanno anche un uso pratico anche se a prima vista non sembrerebbe. E proprio perché hanno un uso pratico sono state riscoperte più volte. Prendiamo la clotoide, che potete vedere raffigurata qui sopra. La sua definizione iniziale si trova in un’opera di Jakob Bernoulli che risolveva un problema diverso: quello di trovare la forma che assume una banda elastica non estensibile (insomma, che si può piegare a piacere applicando una forza ma non allungarsi) a cui viene messo un peso alle estremità. La curva che risulta, che in inglese viene chiamata “elastica”, può essere definita modernamente come quella la cui curvatura è in ogni suo punto propostizionale alla distanza da una linea fissa, detta direttrice: ma per parlare di curvatura dovremo aspettare Gauss. La clotoide è in un certo senso la curva inversa: la forma di una banda elastica che diventa retta se le si aplica una forza su un estremo. Bernoulli non riuscì a trovare la forma della figura, e ci volle il solito Eulero per tirare fuori una sua equazione parametrica. Passa un secolo: Prima Augustine Fresnel e poi Alfred Cornu, entrambi fisici francesi, ritrovarono la stessa equazione studiando la diffrazione della luce, tanto che la clotoide è anche detta “spirale di Cornu”. Il nostro nome le è stato dato da Ernesto Cesàro, che notò la rassomiglianza con i due fusi filati da Cloto, una delle Parche. Ma la storia non finisce qua!

Innanzitutto facciamo un balzo avanti nel tempo e definamo la clotoide come una curva la cui curvatura è proporzionale alla distanza dall’origine, calcolata lungo la curva stessa. Come vedete, infatti, parte orizzontalmente dall’origine e si avvolge in due spirali sempre più strette, una oraria e una antioraria. Questa proprietà è molto interessante in pratica. Pensate di dover raccordare un percorso rettilineo con un arco di cerchio. Qual è il problema, direte? Facciamo in modo che finito l’arco di cerchio si parta per la tangente nel senso letterale del termine. Certo, virgola, certo. Provate a percorrere una siffatta strada a 200 all’ora e poi ne parliamo. State azzerando di colpo la forza centripeta, e quindi stressate tantissimo il vostro veicolo. Dunque? Per non saper né leggere né scrivere, Arthur N. Talbot, Professore di Ingegneria Municipale e Sanitaria alla University of Illinois, nel 1890 propose una soluzione: invece che passare bruscamente dalla curvatura costante positiva della circonferenza alla curvatura zero della retta, raccordiamole in modo che la curvatura cali linearmente. Vi ricorda nulla? Proprio così: la clotoide è stata riscoperta per la terza volta. Ancora oggi la clotoide viene usata nelle linee ferroviarie per definire una curva; un tempo si usavano tavole precompilate, ormai si può fare tutto col computer. E non è tutto? Se fate grafica vettoriale con Inkscape, troverete che potete creare curve con il tool “Spiro”. Questo toolkit è stato creato da Raph Levien: la sua idea era di creare delle font che uniscano in modo aggraziato le linee curve con quelle dritte, e cosa meglio della clotoide per farlo? Da qui ad applicarlo in generale per la grafica vettoriale il passo è stato breve. Insomma, possiamo dire che la clotoide è il classico esempio di curva poco conosciuta ma che abbiamo spesso davanti ai nostri occhi!

Se volete sapere di più sulla clotoide, potete leggere questo blog oppure questo articolo più completo.

Figura di Inductiveload, da Wikimedia Commons

Ultimo aggiornamento: 2023-11-08 21:51

Quasi senza analisi matematica

Un vecchio problemino matematico – io l’ho visto per la prima volta in uno dei libri di Martin Gardner, e l’ho usato in Matematica in relax – chiede di trovare il volume di una sfera alla quale è stato tolto un cilindro il cui asse passa per il centro della sfera stessa, sapendo che il solido ottenuto ha un’altezza 2h. Prima che proseguiate nella lettura, vi invito a provare a trovare la soluzione. Non sapete da dove partire, visto che non è stato dato né il raggio della sfera né quello della base del cilindro? Ecco, sfruttate quel fatto.

Ci siete riusciti? No? Il bieco trucco per trovare la soluzione è appunto considerare che se il problema non dice il raggio di base del cilindro significa che lo possiamo scegliere come ci piace. E allora noi prendiamo un cilindro la cui base ha raggio zero, insomma non c’è. In questo caso la sfera rimane intatta, e visto che sappiamo che il suo diametro è 2h (non le abbiamo tolto nulla) e quindi il raggio è h otteniamo subito la risposta. Un bel risultato con poca fatica… Ma è possibile che qualcuno non sia convinto della cosa e voglia fare tutti i conti, verificando che in effetti la soluzione non dipende dal raggio di base del cilindro. (Il raggio della sfera è dipendente da quel valore, non possiamo sceglierlo in modo indipendente). Probabilmente con qualche bell’integrale si trova il risultato. Forse ce la farei anch’io, anche se non ci giurerei. Ma per la gioia di tutti esiste un modo molto più semplice per dimostrarlo, come raccontato da Pat Ballew, e che quasi non usa analisi matematica. L’idea consiste nell’usare il principio di Cavalieri: se abbiamo due solidi che hanno uguale altezza e tali che le sezioni tagliate da piani paralleli alle basi e ugualmente distanti da queste stanno sempre in un dato rapporto, anche i volumi dei solidi staranno nello stesso rapporto.

Quali solidi usare per applicare il principio di Cavalieri? Beh, è semplice: due diverse sfere bucate! Nel disegno qui sopra vedere le due sfere di raggio R1 e R2 – occhei, la seconda sembra più una forma di parmigiano, ma la mia abilità nel disegno è ben nota. Per prima cosa, calcoliamo quali sono i raggi di base r1 e r2 dei cilindri. Applicando il teorema di Pitagora al triangolo HKO, abbiamo che r12 = R12h2, e similmente r22 = R22h2. Se ora affettiamo la sfera di sinistra a un’altezza x dal centro, otterremo una colonna circolare, la cui area sarà la differenza tra il cerchio di centro B e raggio AB e il cerchio di base del cilindro, cioè π(s12r12). Ma s12, sempre per il teorema di Pitagora applicato stavolta al triangolo ABO, vale R12x12; pertanto l’area della corona circolare è R12x12 − (R12h2) che è indipendente da R1. Dunque tutte le corone circolari delle due sfere bucate hanno la stessa area e i solidi hanno lo stesso volume.

La dimostrazione, come vedete, è puramente geometrica, e alla portata di chi non ha fatto analisi matematica. Allora perché dico “quasi”? Beh, per dimostrare il principio di Cavalieri credo ci vogliano nozioni di analisi: il povero gesuato ha lottato per tutta la vita contro i gesuiti che gli facevano notare che gli indivisibili non avevano significato filosofico… ma direi che per i nostri scopi questa dimostrazione dovrebbe essere sufficiente.