Archivi categoria: matematica_light

Pi greco nei triangoli (di Tartaglia e no)

se si sommano gli inversi dei numeri cerchiati... (da cut-the-knot) Non si direbbe che il triangolo di Tartaglia – quello dove i due lati obliqui hanno sempre il numero 1 e i numeri interni sono la somma dei due superiori – e $\pi$ (spero di non dovervi spiegare cos’è…) abbiano qualcosa a che fare. E invece se guardate il disegno qui sopra, dove sono cerchiati un numero sì e uno no su una diagonale, sommate e sottraete man mano gli inversi di quei numeri ($\frac{1}{4} – \frac{1}{20} + \frac{1}{56} – \frac{1}{120} + …$) e moltiplicate per due terzi ottenete la parte decimale di pi greco! Magia? Non proprio.

Come raccontato in Cut the Knot, Daniel Hardisky ha scoperto la formula modificando la serie infinita per pi greco costruita dal matematico cinquecentesco del Kerala Nīlakaṇṭha Somayāji. La formula in questione è

$$\pi = 3 + \frac{4}{2\cdot 3 \cdot 4} – \frac{4}{4\cdot 5 \cdot 6} + \frac{4}{6\cdot 7 \cdot 8} – …$$

Da qui si sostituiscono i 4 a numeratore con $1 \cdot 2 \cdot 3$, moltiplicando per 2/3, e ottenendo

$$ \pi = 3 + \frac{2}{3} \left( \frac{1 \cdot 2 \cdot 3}{2\cdot 3 \cdot 4} – \frac{1 \cdot 2 \cdot 3}{4\cdot 5 \cdot 6} + \frac{1 \cdot 2 \cdot 3}{6\cdot 7 \cdot 8} – … \right) $$

che è appunto la formula cercata.

Sempre nella stessa pagina, Alexander Bogomolny presenta un altro risultato, scoperto nel 2007 da Jonas Castillo Toloza, e che ricava $\pi$ a partire dai numeri triangolari:

$$\pi – 2 = \frac{1}{1} + \frac{1}{3} – \frac{1}{6} – \frac{1}{10} + \frac{1}{15} + \frac{1}{21} – \frac{1}{28} – \frac{1}{36} + …$$

Questa formula si può dimostrare lasciando da parte il primo termine, raggruppando a quattro a quattro gli altri, facendo le somme e scoprendo che sono esattamente i termini della serie di Nīlakaṇṭha. (D’accordo, prima bisogna dimostrare che la serie è assolutamente convergente e quindi possiamo fare i giocolieri con l’ordine degli addendi… ma ve lo risparmio).

È proprio vero che $\pi$ spunta quando meno ce l’aspettiamo!

Quaternioni che non ce l’hanno fatta

I quaternioni sono un’estensione dei numeri complessi, ideata da William Rowan Hamilton che voleva estendere alla terza dimensione le operazioni geometriche permesse sul piano dall’introduzione dei numeri complessi: dopo lunghi e infruttuosi tentativi di aggiungere una nuova unità immaginaria che rappresentasse l’asse z, il 16 ottobre 1843 ebbe l’idea risolutiva mentre passeggiava con la moglie a Dublino e passava su Brougham Bridge: occorreva anche avere una terza unità immaginaria per riuscire a far tornare i conti nel caso di moltiplicazioni. Incise così sul parapetto del ponte le formule di base per i quaternioni: (ora il ponte si chiama Broom Bridge, e al posto dell’incisione c’è una targa)

$$i^2 = j^2 = k^2 = ijk = −1$$

tabella moltiplicativa per i quaternioni

Tabella moltiplicativa per i quaternioni; il primo fattore è quello della riga verticale a sinistra, il secondo quello della riga orizzontale in alto.

Ok, tecnicamente non serviva una terza unità immaginaria: Hamilton avrebbe potuto accontentarsi di $i$ e $j$, con le uguaglianze $i^2 = j^2 = -1$ e $ij = -ji$, ma evidentemente preferiva una simmetria totale. Come avete notato, passando ai quaternioni perdiamo qualcosa. Come nel caso dei numeri complessi non avevamo più un ordinamento (naturale: possiamo sempre dire che $a+bi > c+di$ se $a>c$ oppure $a=c, b>d$, ma non ce ne facciamo niente in pratica), con i quaternioni perdiamo la commutatività della moltiplicazione. Questo non dovrebbe stupirci: se i quaternioni rappresentano operazioni che si fanno nello spazio e nel particolare quelli unitari rappresentano una rotazione, sappiamo che il risultato della composizione di due rotazioni spaziali dipende dall’ordine con cui si eseguono. La cosa divertente è che come al solito in matematica non si butta mai via nulla: la moltiplicazione di due quaternioni è fondamentalmente identica all’Identità dei quattro quadrati di Eulero, che il grande matematico svizzero aveva scoperto un secolo prima…

Quello che però ho scoperto in questi giorni è che i quaternioni non sono stati l’unico modo per rappresentare l’algebra corrispondente agli spazi 3D e 4D! I primi esempi sono stati trovati da James Cockle, un altro avvocato prestato alla matematica. Nel 1848 Cockle propose i tessarini, che sono definiti dalle seguenti relazioni:

$$i j = j i = k, \quad i^2 = -1, \quad j^2 = 1$$

tabella moltiplicativa per i tessarini

tabella moltiplicativa per i tessarini

I tessarini sono stati creati per rappresentare seno e coseno iperbolico, ma hanno lo svantaggio di avere dei divisori dello zero, cioè due numeri non nulli tale che il loro prodotto sia zero. L’anno successivo Cockle propose così i coquaternioni, con le relazioni

$$i^2 = -1, \quad j^2 = k^2 = 1, \quad ij = k = -ji $$

tabella mottiplicativa per i coquaternioni

tabella mottiplicativa per i coquaternioni

Anche in questo caso però abbiamo divisori dello zero e addirittura elementi nilpotenti (che cioè elevati a una potenza sufficientemente alta danno zero.

Tutti questi tipi di numero vengono oggi visti come matrici 2×2: abbiamo per i quaternioni le unità

$$1 = \begin{pmatrix} 1 & 0 \\ 0 & 1 \end{pmatrix} \qquad
i = \begin{pmatrix} i & 0 \\ 0 & i \end{pmatrix} \qquad
j = \begin{pmatrix} 0 & 1 \\ -1 & 0 \end{pmatrix} \qquad
k = \begin{pmatrix} 0 & i \\ i & 0 \end{pmatrix}$$

Per i tessarini valgono invece le uguaglianze

$$1 = \begin{pmatrix} 1 & 0 \\ 0 & 1 \end{pmatrix} \qquad
i = \begin{pmatrix} 0 & 1 \\ -1 & 0 \end{pmatrix} \qquad
j = \begin{pmatrix} 0 & 1 \\ 1 & 0 \end{pmatrix} \qquad
k = \begin{pmatrix} 0 & i \\ i & 0 \end{pmatrix}$$

Per i coquaternioni infine abbiamo

$$1 = \begin{pmatrix} 1 & 0 \\ 0 & 1 \end{pmatrix} \qquad
i = \begin{pmatrix} i & 0 \\ 0 & i \end{pmatrix} \qquad
j = \begin{pmatrix} 0 & 1 \\ 1 & 0 \end{pmatrix} \qquad
k = \begin{pmatrix} 1 & 0 \\ 0 & -1 \end{pmatrix}$$

In pratica tutte queste algebre sono casi speciali dei biquaternioni, che sono appunto algebre sulle matrici 2×2. Non potete dire che i matematici non abbiano fantasia…

Due formule matematiche

Oggi mi limito a mostrarvi due formule matematiche, la prima con una dimostrazione grafica e la seconda che dovete accettare in maniera fideistica (non ho mica voglia di fare i conti!)

il grafico di log x/x

Senza calcolatrice, sapreste dire se è più grande e^π oppure π^e? Il trucco, come mostrato da The Math Flow, consiste nel considerare la funzione $\frac{\ln(x)}{x}$. La sua derivata è $\frac{1-\ln(x)}{x^2}$, che si annulla solo per $x = e$. Prendendo i punti di ascissa $e$ e $\pi$ sul grafico della funzione, abbiamo pertanto che $\frac{1}{e} > \frac{\ln(\pi)}{\pi}$; moltiplicando per $\pi$, abbiamo $\frac{\pi}{e} > \ln(\pi)$; prendendo l’antilogaritmo otteniamo $e^{\pi/e} > \pi$; elevando infine alla potenza $e$ ricaviamo $e^pi > \pi^e$.

il lato di un ettadecagono regolare

Passiamo ora al primo grande risultato trovato da Gauss: la costruzione di un nuovo poligono regolare di riga e compasso, oltre a quelli già noti ai greci. Per la precisione Gauss ha trovato tutti i possibili poligoni costruibili, che hanno un numero di lati che una volta fattorizzato risulta essere una potenza di due per un prodotto di primi di Fermat. I primi di Fermat che conosciamo sono solo 3, 5, 17, 257 e 65537; triangolo e pentagono li conoscevamo, il 257-gono e il 65537-gono non sono disegnabili in pratica, e quindi resta l’eptadecagono. La formula presentata da Fermat’s Library è quella che dà il lato di un eptadecagono inscritto in un cerchio di raggio unitario:

$$\begin{align}
&\cos \left( \frac{2\pi}{17} \right) = \frac{-1+\sqrt{17}+\sqrt{34-2\sqrt{17}}}{16} + \\& + \frac{2\sqrt{17+3\sqrt{17}-\sqrt{34-2\sqrt{17}}-2\sqrt{34+2\sqrt{17}}}}{16}
\end{align}$$

Questo numero è chiaramente (…) costruibile con riga e compasso, perché si ottiene usando solo addizioni, moltiplicazioni ed estrazione di radice quadrata: ma vi voglio vedere ad ottenere una costruzione geometrica esplicita. Non ho idea di come Gauss sia arrivato a scoprire questa costruzione. Una cosa è però certa: Gauss è riuscito a trasformare un problema apparentemente geometrico in uno algebrico, e ha così mostrato come cambiare punto di vista può portare a risultati entusiasmanti!

Quanto un cavallo è più veloce di un re?

Anche se non sapete giocare a scacchi, sapete sicuramente come è fatta una scacchiera, e sapete con ogni probabilità come si muove il re (una casella per volta, in orizzontale verticale o diagonale). Potreste forse avere qualche problema con la mossa di un cavallo: esso si muove infatti in un modo strano, spostandosi di una casella in una direzione e due in quella perpendicolare, indipendentemente dai pezzi che trova sul suo percorso. (Se non ve lo ricordaste, sappiate che siete in buona compagnia: anche la pratchettiana MORTE fa fatica a tenerlo a mente). Nella figura qui sotto vedete le mosse di un cavallo, e quante mosse occorrono per raggiungere una casella in un sottoinsieme di una scacchiera.

Quante mosse servono a un cavallo per raggiungere una casella?

La stessa cosa per le mosse di un re appare nella figura sottostante.

Quante mosse servono a un re per raggiungere una casella?

Come vedete, nel caso di caselle vicine a quella di partenza può darsi che il cavallo ci metta più tempo di un re per arrivarci. Dovrebbe però essere chiaro che man mano che ci si allontana il cavallo ha un vantaggio competitivo: il re si sposta di 1 o √2 caselle, il cavallo di √5, e il costo per posizionarsi sulla casella giusta è percentualmente risibile se la distanza è molto grande. Ma quanto vale questo vantaggio competitivo? Cose si può leggere in questo annuncio dell’università di Montréal, il rapporto esatto è quasi due, o per la precisione 24/13.

L’articolo di Christian Táfula considera più in generale “ipercavalli” che si muovono di $a$ caselle in una direzione e $b$ in quella perpendicolare: il caso del normale cavallo equivale ad avere $(a,b) = (1,2)$. Come ho detto sopra, l’usuale cavallo ha una velocità di 24/13 rispetto a quella di un re. L’ipercavallo $(2,3)$ ha invece velocità 90/31, quindi quasi tre volte quella del re. Ma la cosa più incredibile, almeno per me, è calcolare il rapporto tra le due velocità, che è poco più di 1,572. Bene: se prendiamo ipercavalli $(a,b)$ e $(b,c)$, dove $a, b, c$ sono numeri di Fibonacci consecutivi, il rapporto tra le due velocità tende al rapporto aureo al crescere della grandezza dei tre numeri. Di per sé non sembrerebbe esserci una relazione di questo tipo, e invece…

Il principio del cammello

Conoscete sicuramente il principio dei cassetti: se avete $n$ cassetti e volete metterci dentro $n+1$ magliette, ci sarà almeno un cassetto che conterrà due magliette (più o meno stropicciate). Immagino però che non abbiate mai sentito parlare del principio del cammello: almeno io.non lo conoscevo, anche perché probabilmente il nome l’ha inventato Tiwadar Danka, che ne parla in questo suo articolo.

i diciassette cammelli

Il nome del principio deriva dalla vecchia storia del beduino che in punto di morte divide i suoi diciassette cammello tra i tre figli: al maggiore ne tocca la metà, al secondogenito un terzo e al minore un nono. Quando dopo il funerale i fratelli si accingono a spartirsi i cammelli, scoprono che bisogna fare spezzatini di cammello per la suddivisione, come mostrato in figura qui sopra: e notoriamente la carne di cammello è molto stopposa e non è buona nemmeno come spezzatino. Mentre stanno litigando, passa un vecchio saggio in sella al suo cammello. Fattosi spiegare il motivo della diatriba, ci pensa su un attimo e poi dice “Nema problema! Tenetemi un attimo il cammello, e rifacciamo i conti.” I cammelli sono ora 18, e i conti tornano perfettamente: nove cammelli vanno al figlio maggiore, sei al secondo e due al terzo. Facendo la somma abbiamo 17 cammelli suddivisi tra i fratelli; il saggio saluta, si riprende il suo cammello e se ne va.

col diciottesimo cammello

Cosa ha fatto il saggio? Ha aggiunto e poi tolto un cammello. Il principio del cammello è proprio questo: se noi sommiamo e sottraiamo la stessa quantità non modifichiamo il risultato, ma magari possiamo riarrangiare i termini per trovare una soluzione. Nel caso del racconto qui sopra in realtà c’è un trucco: il beduino aveva fatto male la suddivisione, oltre a fare parti estremamente disuguali. Infatti 1/2 + 1/3 + 1/9 = 17/18. Ecco perché i conti non tornavano! Ma ci sono altri esempi pratici. Per esempio, come si arriva alla soluzione di un’equazione di secondo grado? Noi a scuola impariamo la formula a memoria, e poi ce la dimentichiamo subito dopo. Nel mondo anglosassone la formula viene ricavata “completando il quadrato” e questa è un’applicazione del principio del cammello. Vediamo come.

Partendo dall’equazione $ax^2 + bx + c = 0$, il primo passaggio consiste nel fattorizzare $a$:

$$a \left[ x^2 + \frac{b}{a}x + \frac{c}{a} \right] = 0$$

Da qui ci piacerebbe avere un qualcosa della forma $(ax+r)^2$: per farlo possiamo sommare e sottrarre un cammell… ehm, il termine $b^2/4a^2$. Otteniamo dunque

$$a \left[ x^2 + \frac{b}{a}x + \frac{b^2}{4a^2} – \frac{b^2}{4a^2} + \frac{c}{a} \right] = 0 \quad → \quad \\ a \left[ \left(x + \frac{b}{2a}\right)^2 – \frac{b^2}{4a^2} + \frac{c}{a} \right] = 0$$

Perché il prodotto di due termini sia nullo, almeno uno deve esserlo: ma $a \ne 0$ perché sennò l’equazione non sarebbe di secondo grado, quindi a essere nulle è il secondo,da cui abbiamo

$$\left(x + \frac{b}{2a}\right)^2 = \frac{b^2 – 4ac}{(2a)^2}$$

che ci porta rapidamente alla formula cercata.

Il secondo esempio di Danka sfrutta una variante del principio del cammello: anziché sommare e sottrarre la stessa quantità, si moltiplica e divide per la stessa quantità (non nulla, ovvio). Questa variante viene usata per ricavare la formula della derivata di una funzione composta. Sappiamo che la definizione della derivata di una funzione $f()$ nel punto $a$ è data da

$$f'(a) = \lim_{x \to a} \frac{f(x)-f(a)}{x-a} $$

E se noi volessimo trovare la derivata in $a$ di $(f \circ g)()$? Riscriviamo la formula sopra:

$$ (f \circ g)'(a) = \lim_{x \to a} \frac{(f \circ g)(x)-(f \circ g)(a)}{x-a} $$

A questo punto prendiamo il nostro cammello e moltiplichiamo e dividiamo per $g(x) – g(a)$. Otteniamo

$$ (f \circ g)'(a) = \lim_{x \to a} \frac{(f \circ g)(x)-(f \circ g)(a)}{g(x) – g(a)} \frac{g(x) – g(a)}{x-a} $$

Abbiamo ora il limite di un prodotto che (sempre alle solite condizioni di esistenza) è uguale al prodotto dei limiti:

$$ (f \circ g)'(a) = \lim_{x \to a} \frac{(f \circ g)(x)-(f \circ g)(a)} {g(x) – g(a)}\lim_{x \to a} \frac{g(x) – g(a)}{x-a} $$

Ma il primo limite è $f'(g(a))$ e il secondo è $g'(a)$, da cui il risultato cercato $(f \circ g)'(a) = f'(g(a))\cdot g'(a)$.

L’unico vero problema del principio del cammello è che bisogna avere un’idea di cosa ci può servire per facilitarci la vita: ma se ricontrollate gli esempi vedete che non è poi così difficile. Anche nel secondo caso tutto quello che avevamo a disposizione era la definizione di derivata, e quindi ce la siamo cercata (senza doppi sensi). Vi vengono in mente altri casi in cui si può usare il principio del cammello?

La silhouette del cammello è presa da SVGrepo.

Il teorema di Schinzel

un cerchio che passa per quattro punti a coordinate intere
Prendiamo un foglio a quadretti, e consideriamo i vertici dei quadretti (i punti di un lattice a coordinate intere, per dirlo in maniera più seria: nel seguito parlerò di punti a coordinate intere o punti del lattice.) Disegniamo ora sul foglio un cerchio. Secondo voi, il teorema “dato un numero $n$, è sempre possibile costruire un cerchio che contiene al suo interno esattamente $n$ punti a coordinate intere” è vero o falso? (Possiamo accettare o no i punti a coordinate intere sulla circonferenza, tanto è sempre possibile allargare il raggio di un $\varepsilon$ abbastanza piccolo da non toccare nessun altro punto a coordinate intere). In questo caso la dimostrazione è relativamente semplice: se troviamo un punto del piano che abbia distanza diversa da tutti i punti del lattice, possiamo costruire un cerchio di centro quel punto, e al crescere del raggio il numero di punti ivi contenuti crescerà di una singola unità per volta. Un punto simile è $P = (\sqrt 2, \frac{1}{3})$.

Come dimostrarlo? Supponiamo per assurdo che i punti distinti del lattice di coordinate $(a,b)$ e $(c,d)$ siano alla stessa distanza da $P$. Abbiamo allora per definizione

$(a-\sqrt 2)^2 + (b-\frac{1}{3})^2 = (c-\sqrt 2)^2 + (d-\frac{1}{3})^2$

Separando la parte irrazionale da quella razionale otteniamo

$2(c-a)\sqrt 2 = c^2 + d^2 – a^2 – b^2 + \frac{2}{3}(b-d)$

Poiché il secondo membro è un numero razionale, anche il primo deve esserlo; pertanto devono essere entrambi uguali a zero. Abbiamo così

$c=a; c^2 + d^2 – a^2 – b^2 + \frac{2}{3}(b-d) = 0.$

Sostituendo la prima uguaglianza nella seconda, abbiamo $d^2 – b^2 + \frac{2}{3}(b-d) = 0$, cioè

$(d-b)(d+b-\frac{2}{3}) = 0.$

Ma $b$ e $d$ sono interi, quindi il secondo fattore non può essere nullo; pertanto $d=b$. Ma allora i due punti $(a,b)$ e $(c,d)$ coincidono, il che va contro la nostra ipotesi. Pare che Hugo Steinhaus sia anche riuscito a dimostrare che è possibile trovare un cerchio di area $n$ che contiene esattamente $n$ punti a coordinate intere, ma non sono riuscito a trovare traccia di questa dimostrazione.

Passiamo ora a un problema più complicato, considerando non il cerchio ma solo la circonferenza appena costruita. È possibile che questa circonferenza non passi per nessuno dei vertici dei quadretti (i punti di un lattice a coordinate intere, per dirlo in maniera più seria). Ma a volte capita che alcuni dei punti della circonferenza abbiano coordinate intere. Per esempio, la circonferenza $x^2 + y^2 = 25$, cioè di centro l’origine e raggio 5, passa per i punti $(-5,0), (5,0), (0,-5), (0,5), (-3,-4), (-3,4), (3,-4), (3,4)$. La domanda che ora possiamo farci è “ma dato un numero $n$, riusciamo a costruire una circonferenza che passi per esattamente $n$ punti di coordinate intere?”

Se $n=1$ trovare una circonferenza simile è semplice: si prende una circonferenza di centro $(0,\frac{1}{4})$ e raggio \frac{1}{4}. Se $n=2$ è altrettanto semplice: si prende una circonferenza di centro $(0,\frac{1}{2})$ e raggio \frac{1}{2}. In figura vedete una possibile soluzione per il caso $n=4$. Ma provate a risolvere il caso $n=3$… Una dimostrazione del teorema si è avuta solo nel 1958, a opera del matematico polacco Andrzej Schinzel, e ha il pregio di essere costruttiva: se $n$ è pari e quindi $n = 2k$ allora la circonferenza cercata ha centro $(\frac{1}{2}, 0)$ e raggio $\frac{1}{2} \cdot 5^{(k-1)/2}$, mentre se $n$ è dispari e quindi $n = 2k+1$ la circonferenza ha centro $(\frac{1}{3}, 0)$ e raggio $\frac{1}{2} \cdot 5^k$.

Non scrivo la dimostrazione, che è piuttosto lunga (e la pagina di Wikipedia è troppo stringata per capirci qualcosa, tra l’altro): posso però dire che si basa su un teorema di teoria dei numeri, che non dimostrerò, che afferma che il numero $r(n)$ di soluzioni intere $(x,y)$ dell’equazione $x^2 + y^2 = n$ è quattro volte la differenza tra il numero di divisori di $n$ della forma $4h+1$ e quelli della forma $4h+3$: il numero in realtà è da dividere per due perché si contano sia $(x,y)$ che $(y,x)$.

Il teorema di Tolomeo senza parole

Un quadrilatero ciclico
Sono in molti a pensare che la geometria classica sia terminata con Euclide e i suoi Elementi, che hanno organizzato tutto. Questo non è affatto vero: esistono tanti teoremi, anche su figure apparentemente semplici come i triangoli, che sono stati scoperti in epoca moderna. Ma soprattutto non dobbiamo dimenticarci che in epoca ellenistica lo studio della matematica in generale e della geometria in particolare è proseguito, e si hanno molti teoremi “classici” ma non “euclidei” (anche se parliamo sempre di geometria euclidea, si intende).

Un esempio è il teorema di Tolomeo, il cui enunciato con relativa dimostrazione si trova nell’Almagesto, e che afferma che in un quadrilatero ABCD ciclico (vale a dire inscritto in una circonferenza), vale la seguente relazione:

$\overline{AC}\cdot \overline{BD}=\overline{AB}\cdot \overline{CD}+\overline{BC}\cdot \overline{AD}$

cioè che la somma dei prodotti delle coppie di lati opposti è uguale al prodotto delle sue diagonali. Nella figura qui sopra vedete un quadrilatero ciclico con le sue diagonali, e gli angoli uguali a due a due perché angoli alla circonferenza insistenti sullo stesso raggio; quindi $ \alpha + \beta + \gamma + \delta = 180^{\circ}.$

Nel 2015 William Derrick e James Hirstein, dell’università del Montana, hanno pubblicato una dimostrazione senza parole del teorema, che vedete nella figura qui sotto. In pratica si scalano tre dei triangoli mostrati nella figura originale e li si riassemblano per formare un parallelogramma, sfruttando l’equazione sugli angoli che abbiamo appena visto. Il risultato finale è immediato. Qui trovate un video con questa dimostrazione.

dimostrazione del teorema

Notato nulla di strano? Tolomeo non avrebbe mai usato una dimostrazione del genere, perché abbiamo scritto dei segmenti come fossero delle aree. La forza dell’algebra è anche questa: svincolarci dal significato geometrico degli elementi e considerarli come semplici numeri.

Quasi pi greco

Ali Kaya mostra la quasi-uguaglianza che potete vedere qui sotto:
pi greco è circa il quadrato di 1/10^5 volte la somma per n che va da meno infinito a infinito dell'esponenziale di meno n quadro diviso 10 alla decima
L’approssimazione è corretta a 42 miliardi di cifre decimali. Riuscite a immaginare da dove arrivi questa formula? Se proprio non ci riuscite, posterò un aiutino e poi la risposta: ma sono sicuro che tra i miei ventun lettori saranno in tanti a farcela.