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Media quadratica ed eroniana


Tutti conosciamo la media aritmetica: presi due numeri, la loro media aritmetica è la metà della loro somma, o se preferite il numero che è alla stessa distanza dai due di partenza: dunque $ M_A(x,y) = \frac{x+y}{2} $ .

Quasi tutti conosciamo la media geometrica: presi due numeri, la loro media geometrica è la radice quadrata del loro prodotto, o se preferite il numero che è il lato di un quadrato della stessa superficie di un rettangolo di lati i due numeri. Dunque $ M_G(x,y) = \sqrt{xy} $. È facile dimostrare che la media geometrica di due numeri positivi è sempre inferiore o uguale alla loro media aritmetica, ed è uguale se e solo se i due numeri sono uguali: per confrontare $ \frac{x+y}{2} $ e $ \sqrt{xy} $ basta prima raddoppiarli e poi elevarli al quadrato.

Alcuni conoscono anche la media armonica: presi due numeri, la loro media armonica è l’inverso della media aritmetica dei loro inversi, o se preferite la velocità media complessiva di due tratti uguali di strada percorsi a due diverse velocità. MH (x, y) = 2xy/(x+y). La media armonica è ovviamente musicale: se fate la media di due note do a un’ottava di distanza ottenete un fa. Se si conosce il trucco, è facile dimostrare che la media armonica di due numeri positivi è sempre inferiore o uguale alla loro media geometrica, ed è uguale se e solo se i due numeri sono uguali: sappiamo da sopra che $ \frac{1}{x} + \frac{1}{y} \geq \sqrt{\frac{1}{x} \frac{1}{y}} $; se prendiamo gli inversi dei due membri, ricordandoci che la diseguaglianza cambia di verso, otteniamo il risultato.

La figura all’inizio del post dà una dimostrazione “visiva” di queste medie, e trovate anche disegnata la “media quadratica”, che è data da $ \sqrt{\frac{x^2 + y^2){2}}. Se avete studiato ingegneria, questa formula dovrebbe esservi nota, perché è il “valore efficace”. Per la cronaca, la media quadratica di due numeri positivi è sempre maggiore o uguale della media aritmetica, ed è uguale se e solo i due numeri sono uguali; per dimostrarlo si usa la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz.

Ma tra le tantissime medie che esistono ce n’è una che probabilmente vi è sconosciuta (lo era anche a me, prima di scrivere questo post): la media eroniana ME. Essa si ottiene come media pesata di quella aritmetica, presa per due terzi, e di quella geometrica, presa per un terzo. Abbiamo dunque $ M_E = \frac{2}{3}\frac{x+y}{2} + \frac{1}{3}\sqrt{xy} = \frac{1}{3}(x + \sqrt{xy} + y)$. Per costruzione è chiaro che la media eroniana di due numeri positivi è compresa tra quella aritmetica e quella geometrica. Erone è stato probabilmente il più grande geometra del periodo alessandrino; l’importanza di questa media – che si comporta come ogni media che si rispetti, nel senso che è simmetrica e che se applicata a due valori uguali dà quello stesso valore – è che può essere usata per calcolare il volume di un tronco di piramide a base quadrata, che è dato dal prodotto della media eroniana delle basi per l’altezza.

Un aneddoto: come dice la pagina di Wikipedia in inglese, quella formula era nota già agli antichi egizi. Quando ero alle medie, mia avevano fatto costruire un modellino in cartoncino per una conferenza dove veniva fatta un’ipotesi su come gli egizi fossero arrivati alla formula. Insomma, è vero che non la conoscevo con quel nome ma ho avuto a che fare con essa già quasi cinquant’anni fa!

(immagini da Wikimedia Commons: QM_AM_GM_HM_inequality_visual_proof.svg, di CMG Lee, CC-BY-SA4.0, Square_frustum.png, di MarinaVladivostok, CC0 1.0)

Ultimo aggiornamento: 2024-01-06 17:20

Il paradosso di Sierpinski-Mazurkiewicz

ma anche senza assioma della scelta... Il paradosso di Banach-Tarski è ben noto a chi ha studiato matematica. Quallo che succede è che è possibile tagliare una sfera in cinque parti secondo una certa regola, traslare questi “pezzi” che sono stati ottenuti, e ricavare due sfere identiche a quella di partenza. Dov’è il trucco? Beh, ce ne sono almeno due. Il primo è che i pezzi ottenuti sono una specie di polvere diffusa: tecnicamente si dice che non sono insiemi misurabili, e quindi non è in realtà fisicamente possibile crearli. Il secondo trucco è che è necessario usare l’assioma della scelta per poter creare questi pezzi; l’assioma della scelta è una di quelle proprietà che sembrano intuitive, ma che sfuggono a ogni tentativo di dimostrazione – non per nulla è un assioma… – e soprattutto possono portare a paradossi, come si vede. Però esistono risultati simili che non richiedono l’assioma della scelta, come vedremo.

Consideriamo il numero complesso x = ei. Sì, è possibile elevare un numero a una potenza immaginaria, e il risultato è ancora un numero complesso, nel nostro caso almeno secondo Wolfram Alpha all’incirca 0,54030 + 0,84147 i. Quello che conta è che però quel numero è trascendente e quindi non è la radice di nessun polinomio a coefficienti interi. (Ok, io non saprei dimostrarlo, ma mi fido che sia così). Bene, prendiamo l’insieme S dei valori dei polinomi a coefficienti interi non negativi (per esempio, 5x³ + 2x + 42) calcolati nel punto x. Ciascuno di questi valori corrisponde a un punto del piano complesso; tutti questi punti devono essere distinti, perché se due di questi polinomi avessero lo stesso valore allora la loro differenza varrebbe zero, il che è assurdo per definizione perché x è trascendente. Dividiamo ora S in due sottoinsiemi A e B, in questo modo: A contiene tutti e soli i polinomi di S che non hanno un termine costante, mentre B contiene tutti gli altri polinomi di S, vale a dire quelli che hanno un termine costante. È chiaro che per costruzione Ab = S. Cosa succede ora se ruotiamo di un radiante (cioè di 1/2π di circonferenza) in senso orario l’insieme A? Eulero ci ha insegnato che questa rotazione è la stessa cosa che moltiplicare per e−i, e l’algebra di scuola ci dice che questo è la stessa cosa che dividere per ei. Quindi otteniamo tutti i polinomi in x a coefficienti positivi, cioè il nostro insieme S. E se invece spostiamo a sinistra di un’unità l’insieme B? Beh, otteniamo di nuovo tutti gli elementi di S, perché i termini costanti in B partono da 1 in su e se togliamo 1 otteniamo tutti i termini costanti da 0 in su. Dunque abbiamo costruito esplicitamente un insieme che può essere diviso in due parti che traslate e ruotate formano due copie dello stesso insieme. Carino, no? Come dice il titolo, questo paradosso è stato trovato da Sierpinski e Mazurkiewicz, due matematici polacchi. Non che S sia un insieme disegnabile: essendo costituito da un’infinità numerabile di punti discreti, la sua misura (generalizzazione del concetto di area che si usa in analisi) è nulla.

Se la cosa vi pare troppo complicata, eccovi un esempio più semplice e galileiano. Prendiamo come insieme N i numeri naturali e dividiamoli in quelli pari P e quelli dispari D. Ora, se dividiamo per 2 gli elementi di P otteniamo N, e se togliamo 1 dagli elementi di D e poi li dividiamo per 2 otteniamo di nuovo N. Tutto questo funziona perché i numeri sono infiniti, naturalmente; ma mentre in questo secondo caso dobbiamo comunque fare un’operazione (quella di divisione) che pare sparigliare nel caso precedente abbiamo solo trasformazioni rigide. Carino, no?

(immagine di xkcd: la vignetta completa è qui.)

La clotoide

grafico di una clotoide
Ci sono tante curve non solo carine a vedersi, ma che hanno anche un uso pratico anche se a prima vista non sembrerebbe. E proprio perché hanno un uso pratico sono state riscoperte più volte. Prendiamo la clotoide, che potete vedere raffigurata qui sopra. La sua definizione iniziale si trova in un’opera di Jakob Bernoulli che risolveva un problema diverso: quello di trovare la forma che assume una banda elastica non estensibile (insomma, che si può piegare a piacere applicando una forza ma non allungarsi) a cui viene messo un peso alle estremità. La curva che risulta, che in inglese viene chiamata “elastica”, può essere definita modernamente come quella la cui curvatura è in ogni suo punto propostizionale alla distanza da una linea fissa, detta direttrice: ma per parlare di curvatura dovremo aspettare Gauss. La clotoide è in un certo senso la curva inversa: la forma di una banda elastica che diventa retta se le si aplica una forza su un estremo. Bernoulli non riuscì a trovare la forma della figura, e ci volle il solito Eulero per tirare fuori una sua equazione parametrica. Passa un secolo: Prima Augustine Fresnel e poi Alfred Cornu, entrambi fisici francesi, ritrovarono la stessa equazione studiando la diffrazione della luce, tanto che la clotoide è anche detta “spirale di Cornu”. Il nostro nome le è stato dato da Ernesto Cesàro, che notò la rassomiglianza con i due fusi filati da Cloto, una delle Parche. Ma la storia non finisce qua!

Innanzitutto facciamo un balzo avanti nel tempo e definamo la clotoide come una curva la cui curvatura è proporzionale alla distanza dall’origine, calcolata lungo la curva stessa. Come vedete, infatti, parte orizzontalmente dall’origine e si avvolge in due spirali sempre più strette, una oraria e una antioraria. Questa proprietà è molto interessante in pratica. Pensate di dover raccordare un percorso rettilineo con un arco di cerchio. Qual è il problema, direte? Facciamo in modo che finito l’arco di cerchio si parta per la tangente nel senso letterale del termine. Certo, virgola, certo. Provate a percorrere una siffatta strada a 200 all’ora e poi ne parliamo. State azzerando di colpo la forza centripeta, e quindi stressate tantissimo il vostro veicolo. Dunque? Per non saper né leggere né scrivere, Arthur N. Talbot, Professore di Ingegneria Municipale e Sanitaria alla University of Illinois, nel 1890 propose una soluzione: invece che passare bruscamente dalla curvatura costante positiva della circonferenza alla curvatura zero della retta, raccordiamole in modo che la curvatura cali linearmente. Vi ricorda nulla? Proprio così: la clotoide è stata riscoperta per la terza volta. Ancora oggi la clotoide viene usata nelle linee ferroviarie per definire una curva; un tempo si usavano tavole precompilate, ormai si può fare tutto col computer. E non è tutto? Se fate grafica vettoriale con Inkscape, troverete che potete creare curve con il tool “Spiro”. Questo toolkit è stato creato da Raph Levien: la sua idea era di creare delle font che uniscano in modo aggraziato le linee curve con quelle dritte, e cosa meglio della clotoide per farlo? Da qui ad applicarlo in generale per la grafica vettoriale il passo è stato breve. Insomma, possiamo dire che la clotoide è il classico esempio di curva poco conosciuta ma che abbiamo spesso davanti ai nostri occhi!

Se volete sapere di più sulla clotoide, potete leggere questo blog oppure questo articolo più completo.

Figura di Inductiveload, da Wikimedia Commons

Ultimo aggiornamento: 2023-11-08 21:51

Quasi senza analisi matematica

Un vecchio problemino matematico – io l’ho visto per la prima volta in uno dei libri di Martin Gardner, e l’ho usato in Matematica in relax – chiede di trovare il volume di una sfera alla quale è stato tolto un cilindro il cui asse passa per il centro della sfera stessa, sapendo che il solido ottenuto ha un’altezza 2h. Prima che proseguiate nella lettura, vi invito a provare a trovare la soluzione. Non sapete da dove partire, visto che non è stato dato né il raggio della sfera né quello della base del cilindro? Ecco, sfruttate quel fatto.

Ci siete riusciti? No? Il bieco trucco per trovare la soluzione è appunto considerare che se il problema non dice il raggio di base del cilindro significa che lo possiamo scegliere come ci piace. E allora noi prendiamo un cilindro la cui base ha raggio zero, insomma non c’è. In questo caso la sfera rimane intatta, e visto che sappiamo che il suo diametro è 2h (non le abbiamo tolto nulla) e quindi il raggio è h otteniamo subito la risposta. Un bel risultato con poca fatica… Ma è possibile che qualcuno non sia convinto della cosa e voglia fare tutti i conti, verificando che in effetti la soluzione non dipende dal raggio di base del cilindro. (Il raggio della sfera è dipendente da quel valore, non possiamo sceglierlo in modo indipendente). Probabilmente con qualche bell’integrale si trova il risultato. Forse ce la farei anch’io, anche se non ci giurerei. Ma per la gioia di tutti esiste un modo molto più semplice per dimostrarlo, come raccontato da Pat Ballew, e che quasi non usa analisi matematica. L’idea consiste nell’usare il principio di Cavalieri: se abbiamo due solidi che hanno uguale altezza e tali che le sezioni tagliate da piani paralleli alle basi e ugualmente distanti da queste stanno sempre in un dato rapporto, anche i volumi dei solidi staranno nello stesso rapporto.

Quali solidi usare per applicare il principio di Cavalieri? Beh, è semplice: due diverse sfere bucate! Nel disegno qui sopra vedere le due sfere di raggio R1 e R2 – occhei, la seconda sembra più una forma di parmigiano, ma la mia abilità nel disegno è ben nota. Per prima cosa, calcoliamo quali sono i raggi di base r1 e r2 dei cilindri. Applicando il teorema di Pitagora al triangolo HKO, abbiamo che r12 = R12h2, e similmente r22 = R22h2. Se ora affettiamo la sfera di sinistra a un’altezza x dal centro, otterremo una colonna circolare, la cui area sarà la differenza tra il cerchio di centro B e raggio AB e il cerchio di base del cilindro, cioè π(s12r12). Ma s12, sempre per il teorema di Pitagora applicato stavolta al triangolo ABO, vale R12x12; pertanto l’area della corona circolare è R12x12 − (R12h2) che è indipendente da R1. Dunque tutte le corone circolari delle due sfere bucate hanno la stessa area e i solidi hanno lo stesso volume.

La dimostrazione, come vedete, è puramente geometrica, e alla portata di chi non ha fatto analisi matematica. Allora perché dico “quasi”? Beh, per dimostrare il principio di Cavalieri credo ci vogliano nozioni di analisi: il povero gesuato ha lottato per tutta la vita contro i gesuiti che gli facevano notare che gli indivisibili non avevano significato filosofico… ma direi che per i nostri scopi questa dimostrazione dovrebbe essere sufficiente.

Il GRIM test

Un tipo ha un cestino di mele. Io gli chiedo “qual è il peso medio di una delle tue mele?” e lui risponde “142 virrgola 857 grammi”. Cosa posso inferire da questa frase? Che il mio interlocutore non ha idea di come si arrotondano i risultati, che il cestino contiene 7 mele, o un multiplo di 7, e probabilmente che la bilancia che ha usato non è molto sensibile. Quel numero si ottiene infatti dividendo 1000 per 7 e mantenendo un numero assurdo di cifre, che sono tutto tranne che significative.
E cosa pensereste se vi dico che ho chiesto a dieci persone di dare un voto da 1 a 10 al mio blog – solo voti interi – e che la media che ho ottennuto è 9,248? Occhei, immagino che la prima cosa che vi verrebbe in mente è che gli interpellati hanno mentito; la seconda è che è impossibile che la media aritmetica di dieci numeri interi sia un valore con più di una cifra decimale.

Quest’ultima cosa, oltre che con il buonsenso, è stata trattata da Nicholas Brown e James Heathers in un loro articolo del 2016; gli autori hanno chiamato questo controllo il GRIM test, dal retroacronimo “granularity-related inconsistency of means” (inconsistenza delle medie dovuta alla granularità”. Il GRIM test si applica quando il numero di osservazioni da cui si ricava la media è molto piccolo, come capita spesso nelle scienze molli; esso indica probabilmente che i dati sono costruiti a caso da una persona che non è avvezza alla matematica, a differenza che nel primo caso in cui l’interlocutore non è comunque avvezzo alla matematica ma ha probabilmente fatto i conti senza rendersi conto che le precisione non può essere troppo elevata. C

Come Erik Seligman racconta nel suo Math Mutation, Brown e Heathers notano che potrebbero esserci anche altre ragioni per il GRIM effects; per esempio i dati sono stati calcolati su un insieme di dimensioni maggiori di quello finale, perché alcuni dati sono stati espunti in un secondo tempo perché incompleti. Resta però un punto fondamentale: gli articoli accademici che non superano il GRIM test sono troppi – più della metà degli articoli controllati dai due ricercatori – e non superare il test dà la certezza che ci sia qualcosa che non va. Soprattutto, ciò rende impossibile un controllo sui dati di partenza, che dovrebbe essere alla base della replicabilità dei risultati. Mettiamola così: per fortuna la gente non sa barare bene.

Moltiplicare con una parabola

moltiplicatore parabolico, da https://www.futilitycloset.com/2023/10/13/a-parabolic-calculator/

Al Mathematikum, museo interattivo della matematica a Gießen, trovate anche questo moltiplicatore parabolico mostrato in fondo a questo post. Come vedete, un filo è teso per mezzo di due pesi: si mette il filo in modo che passi per due punti della parabola corrispondenti a due valori dell’asse x, e nel punto in cui il filo incrocia l’asse y si può leggere il prodotto dei due numeri. Il bello è che si può anche cambiare la scala relativa dei due assi, come ho fatto io: il sistema funziona lo stesso. Trovate un esempio interattivo qui.

Ma come mai funziona? Bisogna fare un po’ di conti, usando la geometria analitica. Nella figura qui sotto, sia a il punto sul lato sinistro dell’asse x e b quello sul lato destro. Sappiamo allora che la pendenza del segmento obliquo è m = (b² − a²)/(b − (−a)) = ba. L’equazione generica di una retta è yy0 = m(xx0); sostituendo a m il valore appena trovato e a x0 e y0 rispettivamente b e b², otteniamo yb² = (ba)(xb). Infine, visto che ci interessa il punto in cui questa retta incontra l’asse y, sostituiamo a x il valore 0 e ricaviamo y = ab.

Questo moltiplicatore parabolico è un esempio di calcolatore analogico. Prima dell’avvento dei calcolatori digitali, esistevano ingegnosi apparecchi che permettevano di trovare il risultato di operazioni con tecniche di questo tipo. Il regolo calcolatore è l’esempio più noto, ma per operazioni specializzate si potevano costruire calcolatori analogici specializzati. Per la moltiplicazione non ne vale la pena, ma per certi tipi di operazioni, come equazioni differenziali sì. Il guaio è che per ogni tipo di operazione occorre un calcolatore analogico diverso: volete mettere il vantaggio di averne uno digitale che si può programmare?

Aggiornamento (11:00) Roberto Zanasi mi ha detto che per dimostrare che in effetti quel segmento corrisponde al prodotto delle due misure è più semplice usare il teorema di Talete. Nella figura qui a fianco potete vedere che AM/OH = OH/BN, cioè /x = x/ da cui x = ab.

Ultimo aggiornamento: 2023-10-18 11:17

Carnevale della matematica #172

“canta, canta intrepido”
(Poesia gaussiana)

logo-carnevale_matematica
Benvenuti all’edizione numero 172 del Carnevale della matematica, dal tema libero! Il 172 si fattorizza 2×2×43: la cellula melodica ha un intervallo di seconda aumentata, che come tutti sanno è diverso dalla terza minore ma si canta praticamente allo stesso modo.

Proprietà del 172? Boh, ormai ci si ripete, quindi le salto. Faccio solo notare che è un numero binario bilanciato (nel senso che ha lo stesso numero di 0 e 1 nella sua rappresentazione binaria: OEIS li definisce Digitally balanced numbers), che è un quasi controesempio all’ultimo teorema di Fermat, perché 135³ + 138³ = 172³ − 1, ed è un “cubo ispessito“, perché è l’arrotondamento per eccesso del cubo di un numero della forma n+0,5. Passiamo dunque subito ai contributi.

Dioniso, in Maieutica teorema di Pitagora e duplicazione del quadrato nel Menone di Platone, racconta come molti testi riportano che la prima dimostrazione a noi pervenuta del teorema di Pitagora si trovi negli Elementi di Euclide. Tuttavia, nessuno dei testi che aveva letto citava il Menone di Platone: leggendo The Mathematics of Plato’s Academy – A New Reconstruction di David Fowler, ha scoperto che quel dialogo contiene una dimostrazione semplicissima di un caso particolare del teorema di Pitagora, che emerge dalla tecnica per la duplicazione di un quadrato.

Roberto Zanasi continua l’analisi dell’Inferno con Inferno – Canto XX, dove si parla della scollatura dell’idraulico e della fisica dei viaggi nel tempo.

Annalisa Santi si prende qualche libertà ed esce un po’ dall’argomento strettamene matematico con un articolo che ha scritto in occasione dell’assegnazione degli Ig Nobel 2023: “Ig Nobel 2023…prima si ride poi si pensa”. Anche se la storia degli Ig Nobel è piena di premi assegnati a ricerche assolutamente incredibili molte hanno poi portato a riflessioni e considerazioni sul loro effettivo valore scientifico così come recita il loro slogan: “premiare studi e ricerche che prima hanno fatto ridere e poi pensare”. A volte, anche se non spessissimo, è stato assegnato anche il premio Ig Nobel per la Matematica che, come si sa, manca invece tra le discipline del prestigioso premio svedese. Quest’anno non c’è stato, ma il premiko per la Fisica è andato a un folto gruppo di ricercatori “per aver misurato quanto la miscelazione dell’acqua dell’oceano sia influenzata dall’attività sessuale delle acciughe”.

Come sempre, MaddMaths! è ricchissimo di spunti.

Didattica

  • Basta con le classiche interrogazioni! Una proposta pratica
    Dopo le tre proposte di Giovanni Righini, continua la discussione sul cambiamento dell’insegnamento della matematica nella scuola secondaria, con il suggerimento pratico sulle interrogazioni di Claudia Zampolini, insegnante di matematica e fisica presso il Liceo Scientifico statale “Galeazzo Alessi” di Perugia.

   Letture matematiche

  • Matematica in campo, Paolo Alessandrini (recensione) – Alessandrini racconta i molti punti di contatto tra calcio e matematica. Ce ne parla Alberto Saracco. Recensione scritta e video (diversi tra loro).
  • Rivoluzioni matematiche: Il teorema del punto fisso di Banach-Caccioppoli – Con il numero di Ottobre de Le Scienze troverete in allegato il tredicesimo dei venti volumi della collana dedicata ad alcuni tra i maggiori teoremi matematici. La collana è stata elaborata in collaborazione con la redazione di MaddMaths!. Questo nuovo volume è dedicato al Teorema del punto fisso di Banach-Caccioppoli ed è a cura di Eugenio Montefusco.

   La lente matematica di Marco Menale

   News, a cura di Stefano Pisani

  • Scoprendo Shakespeare con le tecniche computazionali

    Scoprendo Shakespeare con le tecniche computazionali


    Hai mai considerato un’immersione nel lessico del Bardo? Alcuni ricercatori dell’Università di Lancaster hanno dato un tocco tecnologico ai testi di Shakespeare; armati di linguistica dei corpora, ci hanno regalato un “Dizionario shakespeariano”! Confrontando le parole del Cigno dell’Avon con sia i suoi contemporanei che l’inglese moderno, è un tour de force linguistico. Chi avrebbe pensato che “cattivo successo” avesse una volta avuto un tale fascino? E un applauso per “ear-kissing” e “bone-ache”. La tecnologia sta riscrivendo (letteralmente!) la nostra comprensione del Grande Bardo.

Daniela Molinari ci racconta di come in occasione di BergamoScienza il suo liceo abbia presentato… una conferenza senza bordi. Lascio a lei la parola: «Il Liceo Celeri di Lovere, nel quale insegno, ha partecipato alla XXI Edizione del Festival di BergamoScienza, realizzando dei laboratori sulla topologia. Quasi al termine del percorso (il festival si chiude domenica 15) abbiamo deciso di presentare una conferenza senza bordi, dal titolo “Topologia è…”, aperta alla cittadinanza. La conferenza è una metafora di ciò che è stata la nostra partecipazione al Festival: è senza bordi, perché come in una bottiglia di Klein non c’è un dentro/fuori, durante il festival cade la consueta separazione tra docenti e alunni. Nella realizzazione di questi laboratori, l’opinione dell’alunno conta quanto quella del docente e tutti sono chiamati a mettersi in gioco. La realizzazione di questi laboratori richiede un lavoro corale e questa conferenza è stata un lavoro corale, nel quale ognuno di noi ha portato ciò che è, visto che le parti sono state “costruite” in base agli interpreti, ma anche ciò che ha imparato della topologia in questi mesi. La matematica che si ritrova tra le righe è talmente variegata da far girare la testa: c’è il rigore dei teoremi, ma ci sono anche l’originalità e la fantasia dei matematici, ci sono le applicazioni pratiche, e c’è, soprattutto, l’essenza della matematica, espressa molto bene dalle parole di Maryam Mirzakhani: “Le persone sono diverse tra loro e quindi ci sono modi diversi di fare matematica. ma se vuoi ottenere una buona idea, devi spendere un sacco di tempo pensando pazientemente, senza lasciarti abbattere quando ti tocca tornare sullo stesso problema. È mantenendo la fiducia che magari, un giorno, avrai una buona idea.”»

I Rudi Mat(h)ematici questo mese sono un po’ più parchi del solito (per mia fortuna).

  • Libera nos a malo è un PM, insomma un Paraphernalia Mathematica, come sempre scritto da Rudy. Parla di metodi per spartirsi più o meno equamente le cose, a partire da quello che tutti conoscono quando due persone devono dividersi una torta: uno taglia, l’altro sceglie.
  • Spiegare le pieghe è il post istituzionale di soluzione al quesito pubblicato su Le Scienze di Settembre, che proponeva di piegare un foglio di carta per un numero impossibile di volte, e poi chiedeva di che tipo fosse una certa piegolina tra le millanta generate.
  • Puluc è un post di tipo Zugzwang!, insomma descrizione di un gioco. In questo caso, il gioco si chiama appunto Puluc, e pare sia originario dei Ketchi, popolazione del Guatemala.
  • Oltre Platone 3 – Non è la parte più difficile è un altro PM: fa parte della serie “Oltre Platone”, ed è evidentemente la terza parte. Si parla di solidi poco platonici.
  • Per ultimo resto al solito io come anfitrione. I quizzini sono stati La parola intrusa, che per una volta non è matematico ma gioca con le parole. Due quadrati è geometrico e abbastanza semplice, se non vi fate ingannare dal disegno. Cento carte (che mi è stato cancellato da Facebook come sedicente spam…) aveva anche un mio suggerimento errato. Feng Shui 1 racconta infine di una piastrellatura con alcuni vincoli.

    Ecco le recensioni. Importanza dei simboli in matematica, un microtesto (lo trovate anche su Wikisource) di Giuseppe Peano ancora interessante a distanza di un secolo e più. Sofia Kovalevskaja, di Alice Milani, è la biografia a fumetti (“graphic novel”, come dicono oggidì) di una donna che non è solo stata una matematica.

    Ho poi inaugurato i mercoledì matematici, per essere sicuro di scrivere anche di matematica. In
    Quante nuove soluzioni al problema dei tre corpi! spiego che ne esistono tante: quella che non esiste è una soluzione generale. In I numeri di Dedekind spiego cosa sono, in occasione della scoperta di D(9) che probabilmente sarà l’ultimo che conosceremo. L’intelligenza artificiale e la morte della matematica parla di due post di Sunil Singh che predicono che l’avvento dell’intelligenza artificiale metterà la pietra tombale sulla già tragica situazione dell’insegnamento della matematica.
    Il teorema di Pitagora prima di Euclide prende spunto dal post di Flavio quassù e mostra quale sarebbe potuta essere una prima dimostrazione del teorema di Pitagora, ipotizzando il perché si sia persa.

    Infine nella povera matematica ci sono due post. In Essere più vecchi di chi è nato nel nostro anno spiego che un articolo di Bloomberg è stato al solito tradotto da una persona che non ha idea di cosa sia la matematica; ma anche l’articolo originale pecca. In Quanta precisione!, dico che non mi fiderei troppo di uno studio di fattibilità così preciso.

    Questo è tutto. Arrivederci a novembre, con MaddMaths!

Il teorema di Pitagora prima di Euclide

Flavio Ubaldini racconta nel suo blog di come si possa trovare la dimostrazione di un caso particolare del teorema di Pitagora in uno dei dialoghi platoniani, il Menone: Socrate prende uno schiavo e mediante la famigerata maieutica gli fa dimostrare che se abbiamo un triangolo rettangolo con i due cateti uguali l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è il doppio di quella del quadrato costruito su un cateto. Vabbè, per quanto mi riguarda la maieutica è semplicemente il modo in cui chi sa qualcosa fa sì che il suo interlocutore ascolti gli aiuti che gli vengono dati e tiri fuori la risposta pur senza saperla, ma non divaghiamo. La domanda di Flavio è un’altra: “Ma è stato davvero Euclide a dimostrare per primo il teorema di Pitagora?”

Ve lo dico subito. Io non ho prove, ma per me la risposta è un secco no. Intendiamoci, io parlo di una dimostrazione, non della conoscenza del teorema: è abbastanza assodato che i babilonesi e forse gli egizi lo conoscessero già, ma non sapessero dimostrarlo, né gli sarebbe comunque venuto in mente di farlo. Il punto è che la dimostrazione di Euclide, che potete per esempio vedere qui, pare chiaramente fatta per intimorire il lettore. Schopenhauer non aveva tutti i torti quando scrisse che nella dimostrazione di Euclide “si disegnano delle righe e non sappiamo il perché, e solo in seguito scopriamo che erano una trappola (“eine Mausefallenbeweise”) che si chiude all’improvviso e imprigionano il consenso dell’attonito studente”. Euclide aveva le sue buone ragioni per terminare il suo primo libro degli Elementi con questa proposizione, anzi per amor di precisione con quella successiva che è il suo inverso; era un exploit per mostrare che i teoremi di uguaglianza delle aree che aveva dimostrato in precedenza avevano una certa utilità. Ma è molto probabile che la prima dimostrazione trovata fosse sulle stesse linee di quella del Menone ma più generale.

Nella figura qui sopra vedete due quadrati uguali suddivisi in modo diverso. I quattro triangoli rettangoli A, B, C, D sono tutti uguali tra di loro, semplicemente posizionati in modo diverso; i quadrati colorati sono quello costruito sull’ipotenusa da una parte, e quelli costruiti sui cateti dall’altra: il teorema di Pitagora ne segue immediatamente. Una dimostrazione di questo tipo è perfettamente valida (se si accetta l’assunto che spostare una figura non ne cambi la superficie, ma spero che me lo concediate), e alla portata della matematica greca da ben prima di Euclide, anche se posso immaginare come per un precisino come lui potesse sembrare raffazzonata perché non usa la struttura tipica delle sue dimostrazioni. Certo Platone avrebbe potuto farla usare a Socrate, al posto di quella semplificata che troviamo nel dialogo: ma mi sa che la temesse troppo difficile per il filosofo medio…

P.S.: avevo già raccontato la storia tanti anni fa sul Post, qui una copia del testo. Decidete voi quale delle due spiegazioni è la migliore.