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Dimostrazioni senza parole

C’è una rubrica su Mathematics Magazine della MAA che si chiama “Proofs without Words”, e che appunto presenta dimostrazioni per così dire visive: non sono vere dimostrazioni, naturalmente, ma chiunque sia abituato a fare un po’ di matematica, dopo aver visto il disegno, sa esattamente quali sono i passi formali da fare per una dimostrazione, mentre chi abituato non è riesce comunque a convincersi.
La cosa mi è venuta in mente ieri, dopo avere scoperto che qualcuno era finito sul mio blog con la chiave di ricerca «in un triangolo rettangolo la mediana relativa all ipotenusa è congruente a metta ipotenusa-dimostrazione di questa teorema». Il teorema mi ricordava qualcosa, ma non ricordavo esattamente cosa: ho preso carta e penna per vedere la dimostrazione, e in un attimo è uscito fuori questo disegnino (non cliccateci sopra se volete prima dimostrarvelo da voi). Non è carino?

Ultimo aggiornamento: 2009-02-24 07:00

Aritmetica modulare / 2

(la prima parte si trova qua)
Moltiplicazione, ma soprattutto divisione!
Una tabellina per la somma è una cosa strana, ma nessuno si scandalizza nel caso della moltiplicazione: in fin dei conti, la buona vecchia tavola pitagorica la conosciamo tutti. La tabella 2 mostra appunto la moltiplicazione, stavolta modulo 10 per semplicità pratica: è come se guardassimo l’ultima cifra della tavola pitagorica standard. Alcune sue caratteristiche sono quelle a cui noi siamo abituati. La tabellina dello zero è sempre monotona: zero per un qualsiasi numero fa zero. Anche la tabellina dell’uno non è che sia poi così eccitante: uno per n fa n per ogni numero n. Negli altri casi, le cose cambiano eccome.
[prodotto modulo 10]
Tabella 2: prodotto modulo 10
A volte succede che due numeri diversi da zero, moltiplicati tra di loro, diano zero: lo vediamo nelle tabelline dei numeri pari e in quella del 5. Altre volte succede che nella tabellina tutti i numeri diversi sono presenti; lo vediamo, oltre che nella tabellina dell’uno, anche in quella di 3, 7 e 9. I due casi sono complementari: non è difficile dimostrare che o capita uno o l’altro, però sono buono e non lo faccio, visto che non è così importante nella nostra discussione. Qui ci basta vedere che 4*2 e 4*7 valgono entrambi 8, il che significa che nell’aritmetica modulare la divisione può avere più di un risultato, oppure non averne nessuno. Nel primo caso, 8/4 vale 2 oppure 7; nel secondo caso, 9/4 è impossibile, e non ce la facciamo nemmeno a pensare di estendere i numeri modulo 10 per avere un risultato fuori dall’insieme di partenza. Non abbiamo insomma l’equivalente dei numeri frazionari modulari, almeno così ad occhio.
[prodotto modulo 11]
Tabella 3: prodotto modulo 11
La situazione però cambia di colpo se stiamo usando l’aritmetica modulare con un modulo che è un numero primo. La tabella 3 mostra la tavola pitagorica per l’aritmetica modulo 11. In questo caso, a parte per lo zero, l’insieme dei multipli di ciascun numero è composto da tutti i numeri! Quindi ogni numero diverso da zero ha un suo inverso, che moltiplicato per il numero dato ci fa ottenere 1. Per i numeri modulo 11, l’inverso di 1 è 1, quello di 2 è 6, quello di 3 è 4, quello di 5 è 9, quello di 7 è 8, quello di 10 è 10. Come per la differenza, in questo caso possiamo permetterci il lusso di non imparare le divisioni; basta avere la tabellina per gli inversi, e così 5/8 (modulo 11) è uguale a 5*7 che vale 35 cioè 2.
[opposti modulo 11]
Listato 2: inversi modulo 11
Potenze e logaritmi
Accenno solamente a quello che succede nel caso dell’elevazione a potenza e del logaritmo, limitandomi al caso in cui il modulo sia un numero primo dove le proprietà sono più interessanti: per fissare le idee, immaginiamo di usare i numeri modulo 11.
[potenze modulo 11]
Tabella 4: potenze modulo 11
Scrivere ab significa moltiplicare a*a*a… per b volte, sempre eliminando tutti i multipli di 11 nelle operazioni. Come nel caso dei numeri interi, definiamo a0 = 1 e a1 = a. La tabella 4 è una “tavola potenziagorica”: visto che l’elevazione a potenza non è commutativa e cioè ab non è necessariamente uguale a ba, preciso che la base si legge nella colonna a sinistra e l’esponente nella riga in alto. Notate nulla di strano? Dovrebbero esserci almeno due cose che saltano all’occhio. La prima è che la colonna della potenza 10 è composta da tutti 1; la seconda (in po’ più difficile) è che alcune colonne (in lilla) e alcune righe (in azzurro) contengono tutti i numeri da 1 a 10. La prima di queste proprietà vale per l’aritmetica modulare quando il modulo è un numero primo p, ed è nota come Piccolo teorema di Fermat (no, non c’entra nulla con l’Ultimo teorema di Fermat se non che sono stati enunciati entrambi dal matematico e giudice francese). La seconda invece è vera per le colonne quando stiamo lavorando con l’aritmetica modulo p (primo) e prendiamo una potenza n tale che n e p-1 non abbiano fattori primi in comune; tecnicamente si dice che “n è primo con p-1“. Per le righe, invece, i valori per cui vale la proprietà si chiamano generatori nella base p.
Per quanto riguarda le colonne lilla, possiamo dire che in quei casi è sempre possibile fare la radice n-sima di un numero, che ha sempre un solo valore (a meno di multipli del modulo). Non ditemi che è lo stesso con le radici cubiche “normali”: anche lasciando perdere i valori complessi, ditemi voi qual è la radice cubica di 9! Per quanto ne so, comunque, questa proprietà non è poi così importante in pratica, a differenza di quella sui generatori. Se si sceglie una base che è un numero primo e un valore che è un generatore per questa base, infatti, è sempre possibile calcolarne il logaritmo discreto, che poi non è altro che il logaritmo in versione modulare. Se 26 è congruo a 9 (modulo 11) questo significa che il logaritmo discreto di 9 in base 2 e modulo 11 vale 6. (Vale anche 16, 26, 36 e così via… ma anche in questo caso si prende convenzionalmente il più piccolo valore). La cosa interessante del logaritmo discreto è che non ci sono modi “facili” per calcolarlo, se non andando avanti a elevare a potenza la base finché non si trova il valore di cui ci serve il logaritmo. L’unico problema è che fare tutti questi conti costa, e il costo cresce esponenzialmente con la dimensione del modulo p. Questo significa che per un modulo abbastanza grande (il generatore può anche essere piccolo) abbiamo una “funzione trappola”, che è facile da calcolare in un verso ma difficile da craccare nell’altro verso: situazione ideale per gli algoritmi a chiave pubblica, e infatti il protocollo Diffie-Hellman sfrutta i logaritmi discreti come base di un algoritmo di crittografia… algoritmo che non vi spiego in questa sede perché questa è matematica light.
Questo è tutto: come sempre domande e suggerimenti sono i benvenuti!

Ultimo aggiornamento: 2009-01-22 08:00

Aritmetica modulare / 1

L’aritmetica modulare è una di quelle parti della matematica che non sono affatto difficili da comprendere, e anzi vengono usate nella vita di tutti i giorni senza grandi problemi, però non vengono quasi mai insegnate a scuola. Provo così a scrivere qualcosa al riguardo, per la gioia di grandi e piccini.
I moduli nella vita di tutti i giorni
Cominciamo subito da un esempio reale – non per me, in effetti, e probabilmente per nessuno in questo decennio; ma dovrebbe essere comunque comprensibile. Se una persona entra in discoteca alle 23 e ci sta cinque ore, quando ne esce? Alle 4 del giorno dopo, più o meno in grado di intendere e volere. Ma 23+5=28, non 4! Il nostro discotecaro ha anche perso la facoltà di contare? Ovviamente no, le 4 sono nella giornata successiva e i conti tornano. Però se stiamo guardando un’orologio digitale che non indica la data, l’operazione 23+5=4 è perfettamente corretta. Un matematico direbbe che la somma è corretta modulo 24; se vogliamo usare concetti più terra terra possiamo dire che il resto della divisione per 24 dell’operazione 23+5 è 4. Storicamente in effetti l’operazione di modulo è nata per utilizzare i resti, e solo in seguito è stata assorbita nella teoria dei gruppi, di cui però al momento non parlo.
Altri esempi di occorrenze “naturali” dei moduli sono l’orologio analogico con le lancette, che considera i numeri modulo 12, e la trigonometria, dove gli angoli sono calcolati modulo 360 gradi (o 2π radianti… ma di nuovo andiamo fuori strada, soprattutto perché in questo caso non stiamo più dividento per un numero intero). La prova del nove, anche se a prima vista non ce ne accorgiamo perché non facciamo esplicitamente le divisioni, lavora con i numeri modulo 9; se ci limitiamo a guardare l’ultima cifra, quella più a destra, nei calcoli stiamo in realtà lavorando modulo 10. Infine, se vogliamo fare le cose in grande e guardare attentamente i sistemi di crittografia a chiave pubblica, scopriremo che anche in quel caso si usano i moduli, anche se di numeri parecchio più grandi.
Sommiamo, ma non confrontiamo
Se i numeri modulo 12 sono i resti della divisione per 12 di un numero intero qualunque, è chiaro che i possibili valori sono esattamente 12, quelli da 0 a 11. Più in generale, i numeri modulo k vanno da 0 a k-1. “Ma nell’orologio non ci sono le ore 0! Sono le 12!”, mi dirà qualcuno. La risposta è “sì, ma cosa importa?” In effetti se lavoriamo modulo 12 allora 0 e 12 sono la stessa cosa, visto che la differenza tra di loro è 12… e dodici diviso dodici dà resto zero. Se vogliamo essere pignoli come un Vero Matematico, dobbiamo dire che 0 e 12 sono congrui (modulo 12); non arrabbiatevi però troppo se mi scapperà qualche “uguale” al posto di “congruo”.
All’atto pratico è come se avessimo suddiviso tutti i numeri, positivi e negativi, in dodici classi distinte come gli animali del calendario cinese, e poi per ciascuna classe scegliamo un rappresentante. Convenzionalmente si usano i numeri da 0 a k-1 perché semplificano le operazioni, ma non c’è nulla di male in certi casi a prendere quelli da 1 a k; in altri casi, ad esempio quando si usano i numeri modulo 3, si può anche scegliere di prendere come rappresentanti 0, 1 e -1 “per ragioni di simmetria”.
[somma modulo 12]
Tabella 1: somma modulo 12
Che ci facciamo con questi numeri? Beh, iniziamo con le quattro operazioni! Per la somma, nella tabella 1 vediamo cosa succede con la somma modulo 12. Sarete d’accordo con me che non è che la cosa sia così eccitante: la tabella sembra più che altro uno di quelle strisce di led dove scorrono le parole. Lo zero si comporta come ci si aspetta da lui; l’unica cosa che potrebbe sembrarci strana è che il risultato della somma è minore dei due addendi, come in 8+5=1. Ma è proprio così? Stiamo dando per scontato che i moduli possano essere ordinati. Ma questo non è affatto vero: anche in un orologio, uno può dire che le cinque sono “dopo” l’una, ma un altro può ribattere di no, che l’una del pomeriggio sono dopo le cinque del mattino, e non si vede come dargli torto. Potremmo pensare di dire “sì, ma dalle cinque all’una c’è più distanza che tra l’una e le cinque, e quindi c’è un ordine implicito”. Ma è meglio lasciar perdere, visto che con questo “ragionamento” 5 è maggiore di 1, 9 è maggiore di 5, ma 1 è maggiore di 9 modulo 12: e questo non sembra troppo bello.
La differenza si calcola esattamente come la somma. Si potrebbe scrivere una tabellina apposta, e lo potrei lasciare come esercizio per il lettore: ma probabilmente non ne vale la pena, visto che è facile usare “alla rovescia” la tabellina per somma scegliendo il sottraendo nella riga in alto, cercando il minuendo all’interno della colonna ad esso corrispondente, e leggendo il risultato sulla colonna a sinistra. Ma c’è un altro modo per fare una sottrazione! Possiamo infatti scrivere a-b nella forma a+(-b). A prima vista non sembrerebbe esserci chissà quale vantaggio, anzi: ma questo è perché siamo abituati ai numeri usuali. Con i moduli, non ci vuole nulla a sostituire un numero negativo con uno positivo! Per esempio, -4 è per definizione la stessa cosa che 12-4, cioè 8; quindi 5-4 è pari a 5+8, cioè 13 e quindi 1. All’atto pratico può ancora essere utile imparare a fare le differenze, visto che passare da 5-4 a 5+8 in realtà ci complica le cose: ma almeno in linea di principio la sottrazione è un’operazione inutile, e ci basta una tabellina dell’addizione e una lista dei numeri complementari.
[opposti modulo 12]
Listato 1: opposti modulo 12
(continua)

Ultimo aggiornamento: 2009-01-19 08:00

Perché non potrei mai fare il fisico

(attenzione! in questo post non parlo di matematica – o di fisica, se per questo – ma di qualcosa che si può avvicinare più alla filosofia della scienza. Questo significa che anche se dite di non capire nulla di matematica non avete scuse per non leggerlo)
I Rudi Matematici hanno inserito nel loro blog un problemino di fisica, che in una giornata ha già generato decine di risposte. Occhei, sono più bravi di me a generare traffico, ma quello non importa, almeno fino a che non avrò cliccato su “submit” e sarò andato a piangere amaramente. Il problema non è quantitativo: quindi non occorre per nulla fare i conti, ma semplicemente stabilire se la temperatura finale di due sfere sarà la stessa o diversa. Il tutto con una serie di assunzioni per così dire “naturali” (le sfere sono identiche, alla stessa temperatura iniziale, e con la stessa quantità di calore loro fornita), e altre necessarie per avere un problema e non una tautologia (una sfera è sospesa a un filo, l’altra posata sul pavimento); poi ci sono le assunzioni tipiche dei problemi di fisica (conoscete la barzelletta dell’approssimazione dei cavalli sferici?) che pavimento e filo siano perfettamente isolanti, e che le perdite di calore verso l’ambiente possano essere trascurate.
Il guaio, per me, non è il fatto che il problema sia qualitativo e non quantitativo: se siete convinti che la matematica sia solamente quantitativa ne avete una visione assolutamente limitata e distorta. Il guaio è che in questo problema, come del resto in tutti i problemi di fisica che non siano banali conti per applicare un principio, il povero solutore non sa quale sia la proprietà non invariante. I trenta e più commenti prima del consenso sulla soluzione erano proprio tesi a cercare quale poteva essere questa proprietà omessa nel testo ma necessaria per arrivare alla soluzione: un po’ come un romanzo giallo di quelli di serie C, dove l’investigatore scopre chi è l’omicida “barando”, e usando delle informazioni che non erano affatto indicate nello svolgimento della trama. (Io in genere non riesco a trovare il colpevole nemmeno nei gialli di Ellery Queen che sono esplicitamente fatti per scoprire come è stato nascosto l’indizio, ma di nuovo questo è irrilevante).
Capisco che per molta gente questo è proprio il bello della fisica: scoprire cosa applicare in quella situazione, per quanto teorica essa sia, in modo da sentire di conoscere le regole che regolano il mondo. Per me invece questo approccio non funziona per nulla: o meglio, funziona nella vita reale, dove però non sono interessato ad avere la risposta (che tanto è quarantadue, lo sappiamo tutti) ma un risultato sufficientemente passabile.
Per come vedo io la cosa – probabilmente perché sono un platonista dentro – nella matematica la situazione è completamente diversa. Io in linea di principio ho gli strumenti per risolvere un problema, ammesso sia risolubile il che come sappiamo non è detto. Poi può darsi che io non riesca a scoprire lo strumento giusto, ma gli strumenti matematici (i “teoremi”…) sono in realtà delle convenienti abbreviazioni per tutta una serie di operazioni elementari impacchettate insieme e che posso usare come una scatola nera: se le scatole sono tante magari me ne sfugge una, ma in linea di principio posso sempre mettermi a costruirla per conto mio.
Sopra ho usato il termine “invariante” non a caso: ci sono molti problemi matematici, specialmente di classificazione ma non solo, per la cui soluzione si cerca un invariante, cioè una proprietà che non cambia facendo una serie di operazioni. Il classico problema di coprire con trentun rettangoli 1×2 una scacchiera 8×8 dove sono state tolte due caselle agli angoli opposti si risolve con un invariante (il numero di caselle bianche e nere); nella teoria dei nodi sono stati proposti molti invarianti per dire se due nodi apparentemente distinti sono in realtà equivalenti, ma non c’è ancora un risultato completo. La situazione si direbbe equivalente a quella della fisica; per me non lo è affatto, perché qua mi limito a cercare delle formule che facciano da invarianti, e non parto per la tangente a fare una caccia al tesoro… pardon, alla proprietà non meglio identificata che può essere di qualsivoglia tipo.
Occhei, rileggendomi vedo che non mi sono affatto spiegato, il che non è poi così strano visto che io e la filosofia abbiamo sempre avuto dei franchi scambi di opinione. Voi ci avete capito qualcosa?

Ultimo aggiornamento: 2009-01-15 12:44

Carnevale della Matematica #9

Number nine, number nine, number nine…
Scusate, ma un beatlesiano puro e duro come me non può esimersi dal citare Revolution #9 in occasione di questa nona edizione del Carnevale della Matematica, la prima a tenersi nell’anno 2009. Ah, vi serve un calendario? Giovanna ne ha preparato uno in Excel valido fino al 9999! O volete imparare a memoria il calendario? I Rudi Matematici hanno spiegato come Conway lo fa. Conway e i RM sono stati poi messi insieme in un pot-pourri di Zar che parte addirittura dal Manuale delle Giovani Marmotte… ma non è ancora davvero ora dei link, prima dovete cuccarvi il mio sproloquio introduttivo.
Che dire d’altro su questo numero? Beh, è un quadrato, il che non fa mai male nella vita; poi è un numero primo-per-gli-ingegneri (per i fisici è solo un errore sperimentale); un numero intero è sempre esprimibile come somma di nove cubi di interi (al limite usando un po’ di zeri che non fanno mai male); la prova del nove dovrebbe essere nota a tutti (e sennò ripassatevela); nove è un numero palindromo in base 2, 4, e 8; il nove è anche usato in probabilità per indicare la scarsa probabilità di un evento. Quando sentite “l’affidabilità del sistema è di cinque 9” significa che sta su per il 99,999% del tempo e cioè non funziona una volta su 100mila; quella che ovviamente vi serve davvero, ma la legge di Murphy impera sempre.
Ma il nove è anche usato da un punto di vista simbolico, come indice di qualcosa di completo. Se ci pensate un attimo, ci sono nove muse; mi ostino a dire che ci sono nove pianeti (povero Plutone, pianeta per poco, poi “plutino”… peccato!); nove sono i gironi dell’Inferno e i cerchi del Paradiso danteschi; e nove sono i mesi di una gravidanza (e il numero che la Smorfia associa alla figliolanza).
Dopo questa doverosa acculturazione, passiamo a vedere quale matematica si è fatta tra gli italici blog. Un po’ meno del solito, in effetti; si vede che le festività natalizie hanno permesso al più di contare i giorni del calendario dell’Avvento, aggiungere calorie alla propria dieta, e dividere il proprio tempo tra la famiglia, moltiplicando i saluti e i messaggi ma sottraendolo alla scrittura. Anche i quotidiani però hanno toppato più del solito. Chi vuole rabbrividire nel leggere i casi di “innumeracy” può vedere quello che ho raccolto nel mese; dalla densità di casellanti in Sicilia all’uso personalizzato del “più” nelle percentuali; dalla crescita a tasso logaritmico, che arriva sì all’infinito ma con moooolta calma ai metri quadri lineari che, come fatto notare da Daniele A. Gewurz, servono per progettare i depositi di Paperon de’ Paperoni, quelli che contengono i “quattro ettari cubici” di denaro.
Parlando di mangiare, e considerando che a mia conoscenza non esiste un Carnevale della Fisica, segnalo il mistero dei tortellini proposto da Zar, con relativa soluzione. Più matematico, anche se sempre gastronomico, il quesito sui cocomeri disidratati, sempre da Zar.
L’angolo del lettore matematico presenta varie mie recensioni: qualche ilbro della collana RBA Italia (Giochi d’ingegno e divertimenti matematici: mah; In cerca della soluzione: pollice verso; Il labirinto: sì, se reggete la traduzione), e un vecchio classico ristampato da Dover, Taxicab Geometry. Ma naturalmente un vero lettore matematico non può che essere un metalettore, e quindi è d’uopo segnalare che i Rudi Matematici, oltre che aver fatto uscire (un po’ in ritardo…) il numero 120 della Prestigiosa Rivista, hanno anche pubblicato nel loro blog la “biografia” di Charles Babbage. Annarita presenta poi l’incipit di un giallo matematico di Pier Luigi Zanata e quello di un saggio (esoterico e matematico) sul Cenacolo di Gaetano Barbella, oltre che la traduzione di un articolo sulle Dieci Eccellenze Matematiche al femminile.
A mio personale giudizio, però, il miglior saggio metamatematico è quello sulla borgesiana Biblioteca di Babele, preparato per la notte di San Silvestro da Mauro Boffardi (a proposito, Zar si chiedeva se avete contato giusto e nell’ordine giusto…)
Se vi piace giocare con i numeri, Maurizio ha parlato del problema 3n+1, uno di quei giochini che sembrano tanto semplici, si possono anche programmare al computer, ma di cui nessuno sa dare la risposta definitiva; se l’algebretta non vi spaventa troppo potete invece buttarvi sulle terne pitagoriche descritte da me (prima e seconda parte), e scoprire come le si possano descrivere tutte. Il matematico dialogico Zar (ma è stato anche filosofo laconico) presenta il problema dei soldati (prima, seconda, terza parte, più un ponte verso una futura seconda dimostrazione), che ha una soluzione assolutamente inaspettata sia nel risultato che nel tipo di attacco. Non vi tolgo il piacere di andare a vedere la dimostrazione.
Chi vuol vedere la matematica in azione può andare su Gravità Zero, dove Walter Caputo usa la statistica, e per la precisione il test chi-quadro, per valutare se il numero di morti in un ospedale era stato indipendente dalla presenza o meno di un’infermiera. La didattica è come sempre ottimamente rappresentata da Giovanna e Annarita. Giovanna ci mostra come usare GeoGebra per suddividere un segmento in n parti uguali e moltiplicare così tra loro due frazioni. Altri post di Giovanna su GeoGebra sfidano i lettori a dividere un triangolo equilatero in tre quadrilateri congruenti e mostrano la proporzionalità diretta e inversa. Annarita presenta un lavoro di alcuni suoi studenti sulle frazioni decimali non periodiche, e un suo minicorso (prima, seconda, terza e quarta parte) su come usare l’algebra per risolvere i problemi geometrici. Sempre sulla didattica, Walter Caputo fa alcune considerazioni su come si può insegnare la matematica in modo tale che venga imparata.
Giovanna ci parla poi anche della storia della matematica, riprendendo un intervento di Paolo Ardizzoni sui sistemi di numerazione (prima, seconda e terza parte). Ma anche le formule matematiche sono storia, e Giovanna ce ne mostra una di Ramanujan e la Top Ten assoluta delle equazioni.
Spero di non aver dimenticato nulla… La prossima edizione del Carnevale, il giorno di san Valentino, sarà ospitata da Zar. Inviate i contributi a lui, e ricordatevi della cosa fondamentale: qui ci si vuole divertire, non c’è nessun problema se uno non ha voglia o tempo di scrivere qualcosa. Né c’è problema se volete scrivere qualcosa ma non avete un blog: potete sempre usare il povero “matematti” che è lì a languire…

Ultimo aggiornamento: 2009-01-14 00:00

sta arrivando il Carnevale della Matematica

Tanto vi conosco, nelle feste avete sbafato e basta. Però entro domenica (via, facciamo lunedì 12) mi inviate i vostri contributi per il nono carnevale della Matematica?
Come potete vedere, la lista degli ospitanti si è rimpolpata, ma potete sempre aggiungervi :-)
Aggiornamento: (io le cose me le dimentico sempre…) Mi sapete consigliare qualche software freeware per fare disegnini su carta quadrettata? C.a.R. fa fare costruzioni e permette di creare un foglio quadrettato, ma per quello che mi serve non va bene.

Ultimo aggiornamento: 2009-01-06 08:00

Terne pitagoriche/2

Dove eravamo rimasti con le nostre terne pitagoriche? Ah sì: dimostrare che in ogni “triangolo pitagorico”, rettangolo con i tre lati di lunghezza pari a un numero intero, c’è un cateto multiplo di tre, un cateto (non necessariamente distinto dal primo) multiplo di 4, e un lato (cateto o ipotenusa) multiplo di 5. Vediamo come fare, in modo diverso da quanto fatto da Giovanna nei commenti al post precedente: anche in questo caso consideriamo (in genere) le terne pitagoriche base, dove i tre numeri non hanno alcun fattor comune.
Iniziamo con il caso del multiplo di 3. L’idea è considerare le lunghezze dei lati modulo 3, cioè i resti che si ottengono dividendo per tre le varie lunghezze. I resti possibili sono 0, 1 e 2; e i quadrati dei resti sono 0, 1 e 1. (2*2=4, e il resto della divisione 4/3 è 1). Ma allora se né il cateto a né il cateto b fossero multipli di 3 allora il quadrato dell’ipotenusa modulo 3 varrebbe 1+1=2, il che è assurdo. Quindi almeno un cateto è multiplo di 3. Come corollario, si vede che se entrambi i cateti sono multipli di 3 anche l’ipotenusa lo è e la terna non è base; questo è l’unico caso in cui l’ipotenusa è multiplo di 3.
Il caso del multiplo di 5 si dimostra sfruttando la stessa idea: stavolta si prendono le lunghezze dei lati modulo 5. Quando tali lunghezze sono rispettivamente 0,1,2,3 e 4 i loro quadrati sono 0,1,4 (che possiamo leggere come -1), 4 (di nuovo, -1) e 1. Gli unici modi in cui si possono combinare tre di questi valori in modo che la somma dei primi due (sempre modulo 5) sia il terzo sono 0+0=0, 0+1=1, 0+(-1)=-1, 1+(-1)=0. Nel primo caso non abbiamo una terna pitagorica base, ma comunque tutti e tre i valori sono multipli di 5; nel secondo e nel terzo abbiamo un cateto multiplo di 5; nell’ultimo caso ad essere multipla di 5 è l’ipotenusa.
Per il caso del multiplo di 4 dobbiamo tirare fuori dal cilindro – inteso come cappello – un coniglio di tipo diverso. Ricordate le formule per ricavare le terne pitagoriche base a partire da due numeri dispri coprimi m e n? Il cateto di lunghezza pari era dato dall’espressione b = (m2 – n2)/2. Ora, m e n sono dispari, e quindi della forma 4k+1 oppure 4k+3. Nel primo caso, m2 = 8(2k2+k)+1; nel secondo, m2 = 8(2k3+k)+9. Entrambi i numeri sono uguali a 1 modulo 8: quindi per ogni scelta di m e n la loro differenza è multipla di 8, e la metà della differenza, cioè il nostro cateto b, sarà un multiplo di 4, come volevasi dimostrare.
Che dire? Le dimostrazioni richiedono conoscenze di aritmetica modulare che in genere non si fanno a scuola, ma non sono di per sé complicate: nei casi di 3 e 5 probabilmente non serve nemmeno una grande fantasia per riuscire a scoprire la strada giusta, mentre nel caso del 4 magari c’è bisogno di una spintarella per sapere quale strada prendere. Detto questo, io di didattica non ne so molto: ma mi chiedo se una ragazza delle medie, seguita e aiutata dalla sua professoressa, può arrivare non dico a dimostrare ma almeno a seguire il procedimento (Giovanna?) e se uno studente delle superiori ce la potrebbe fare da solo, sia pure con qualche aiutino di base (Zar?). Sono però certo che problemi come questo ce li avrebbero potuti dare dopo il primo mese di lezione all’università.

Ultimo aggiornamento: 2008-12-21 12:07

Terne pitagoriche

[un triangolo pitagorico]Non so se a voi sia mai capitata la stessa cosa, ma il pensiero che se costruiamo un triangolo di lati 3, 4 e 5 unità tale triangolo è rettangolo è sempre sembrato qualcosa di magico. Nulla farebbe immaginare a priori una relazione così semplice, e si può perfettamente capire come per più di due millenni si sia stati convinti che la geometria euclidea fosse quella “vera”, visto che dava un risultato così bello e semplice. (Nelle geometrie di Lobacevskij e Riemann le cose non sono così semplici, perché c’è sempre un fattore correttivo… ma questa è un’altra storia). Il teorema di Pitagora è stato dimostrato in centinaia di modi diversi, persino da un futuro presidente degli Stati Uniti d’America: Garfield, che però fu assassinato pochi mesi dopo l’elezione il che potrebbe dare ragione a chi pensa che la matematica faccia male. Il triangolo di lati 3, 4 e 5 era però già noto agli egizi, e forse è il primo esempio pratico di geometria noto all’umanità.
Quasi la stessa magia, almeno per me, è stato scoprire che ce n’erano infiniti, di triangoli rettangoli con i lati interi: a parte quelli ovvi di lati multipli della terna (3,4,5) ci sono ad esempio quelli definiti da (5,12,13), (7,24,25), (8,15,17). La cosa è abbastanza inverosimile, se si pensa che l’ultimo teorema di Fermat afferma che con i cubi o le potenze di ordine maggiore non si riesce mai ad avere una cosa del genere, a meno di scrivere 0n + 1n = 1n. Da buon matematico, a questo punto, la prima domanda che mi faccio è “Ma c’è una formula per ricavare tutte le terne pitagoriche, come vengono detti i numeri che formano i lati di un triangolo rettangolo?” Per le prime tre terne è abbastanza facile ricavare una formula generale che le rappresenti: il cateto più corto è un numero dispari, diciamo 2n+1; il cateto più lungo è n(2n+1)+n; l’ipotenusa è uno in più del cateto piu lungo. Ma il quarto triangolo è fuori da questo schema, e ci vuole una formula diversa; e chissà quanti altri triangoli “sostanzialmente diversi” ci sono!
A dire il vero, esiste una formula che permette di ottenere tutte le terne pitagoriche, e tale formula è nota da secoli, e sapevo dell’esistenza di tale formula. Quello che non sapevo è che per ricavarla non occorre affatto chissà quale abilità matematica; se uno sa qual è il trucco giusto, ci arriva con le conoscenze della terza media. Rubo così la dimostrazione da Algebra ricreativa di Yakov Perelman (libro che consiglio, tra l’altro), sperando che vi possa interessare.
Iniziamo a dire che a noi interessa trovare le terne pitagoriche “base”, cioè di numeri senza alcun fattor comune: a partire da quelle non ci sono problemi a moltiplicare i tre valori per un qualsiasi intero e ottenerne un’altra. Questo significa che se (a,b,c) è la nostra terna, dove a e b sono i cateti e c l’ipotenusa, allora possiamo assumere che i tre numeri non sono tutti pari. Limitandoci ad a e b, non possono essere entrambi pari, visto che in questo caso lo sarebbe anche c; ma non possono nemmeno essere entrambi dispari. Se infatti a=2h+1 e b=2k+1, allora c2 = a2+b2 = 4(h2 + k2 + hk) + 2. Peccato che questo valore non sia multiplo di 4, mentre il quadrato di un numero pari lo è. Insomma, in una terna pitagorica base ipotenusa e un cateto sono dispari, mentre l’altro cateto è pari: per fissare le idee, supponiamo che quest’ultimo cateto sia b.
Adesso arriva il colpo di genio. Invece che scrivere a2 + b2 = c2, scriviamo a2 = c2 – b2 = (c+b)(c-b). I due numeri c+b e c-b sono necessariamente primi tra loro! Se infatti avessero un fattore comune k, questo sarebbe un fattore comune alla loro somma 2c, alla loro differenza 2b e al loro prodotto a2. Però k non può essere multiplo di 2 (ricordo che a è dispari) e non può essere nessun altro valore, perché altrimenti potremmo dividere a, b e c per k contro l’ipotesi di avere una terna pitagorica base.
Ma se (c+b)(c-b) è un quadrato e (c+b) e (c-b) sono dispari e primi tra loro, devono essere entrambi dei quadrati di numeri dispari. Diciamo che (c+b)=m2 e (c-b)=n2. Risolvendo per b, c ed a otteniamo
a = mn
b = (m2 – n2)/2
c = (m2 + n2)/2
Fine del nostro lavoro. Ciascuna terna così ottenuta è pitagorica; e scegliendo a nostro piacere i valori di m ed n (purché entrambi dispari, primi tra loro e con m>n) possiamo ottenere tutte le terne pitagoriche base. Per la cronaca, la mia formula iniziale si ottiene da quella generica quando n=1.
Un’ultima cosa. Dopo questa bella dimostrazione, Perelman afferma – senza provarlo – che nelle terne pitagoriche c’è sempre un cateto multiplo di 3, uno multiplo di 4, e un lato (cateto o ipotenusa) multiplo di 5. Le dimostrazioni non sono difficili: almeno io le ho fatte a mente mentre sollevavo pesi in palestra, il che la dice lunga su quanto mi alleni con scrupolo e coscienza. Se qualcuno di voi vuole cimentarsi per conto proprio, ha una settimana di tempo prima che posti le dimostrazioni relative: non rovini però la vita agli altri scrivendo la soluzione, ma al limite metta un aiutino. Posso solo dire che anche in questo caso le conoscenze necessarie non superano quelle della scuola media, e che un liceale dovrebbe farcela a trovarle. Buon divertimento :-)

Ultimo aggiornamento: 2008-12-16 13:11