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la matematica dei permessi lavorativi

Il nostro contratto collettivo di lavoro prevederebbe che i permessi annui non fruiti siano messi in una banca ore, e nel caso non vengano fatti entro due anni vengano pagati. La mia azienda non ha voglia di pagare quei pochi soldi, e quindi qualche anno fa ha cominciato a imporci di non avere ore di permesso vecchie di due anni. Fin qui tutto bene. Poi dopo un lungo tiraemolla è riuscita a firmare un accordo con i sindacati: in cambio del reintegro di alcune ore di permesso che ci aveva unilateralmente tolto tre anni fa siamo costretti a terminare tutti i permessi nell’anno solare. Altrimenti niente bonus permessi e niente fruizione libera dei permessi avanzati, che saranno posizionati dal capo. Già un po’ meno bene, ma tant’è. In pratica dal pomeriggio di mercoledì prossimo sarò a casa, e lunedì sarò pure in ferie.

Il problema è che mi rimaneva un’ora e venti minuti di permesso da prendere. Il vero problema è che i permessi, almeno per i quadri come me, possono essere presi solo nelle ore formali di compresenza, quindi dalle 9:30 alle 12:30 e dalle 14:30 alle 16:38 (sì, il nostro orario giornaliero è di 7 ore e 38 minuti, non chiedetemi il perché non si sia fatto 7:40 e dato un giorno di permesso in più). Questo significa che devo stare attento a quando prendo i permessi, perché entrando verso le 9 devo anche uscire dopo l’orario minimo possibile. Il problema davvero vero è che il nostro sistema calcola i permessi con ore centesimali, nel senso che un quarto d’ora sono 0,25 ore e un minuto sono 0,02 ore (arrotondato per eccesso) mentre due minuti sono 0,03 ore (arrotondati per difetto). La mia ora e venti equivaleva quindi a 1,34 ore centesimali, il che significava che mi era impossibile azzerare i permessi, tenendo conto che mercoledì sarei dovuto uscire un po’ prima delle 12:30. In pratica, o restavo con 0,01 ore oppure non avevo monte ore sufficiente. Ieri in pausa pranzo mi è poi venuta l’illuminazione, e giocando astutamente con i minuti sono finalmente riuscito a trovare una combinazione di due permessi distinti che mi ha lasciato a zero ore senza dover fare uscite troppo inutili. Che io abbia perso una certa quantità di tempo per tirare fuori questo notevole risultato è probabilmente considerato irrilevante…

Ah, in tutto questo almeno in teoria io dovrei timbrare una sola volta al giorno, e quindi prendere i permessi solo a semiturno (mattina o pomeriggio) oppure a giornata intera: ma il contratto aziendale dice una cosa e il suo opposto, in perfetto doublespeak.

Piazza Fontana

Il dodici dicembre del 1969 ero un bimbetto torinese di sei anni e mezzo, che aveva appena cominciato ad andare a scuola. Milano, nonostante lì abitassero i miei zii, era un posto praticamente sconosciuto. Leggevo i giornali, trovavo i titoloni “Strage di piazza Fontana”, sapevo cosa significava la parola strage ma non avevo idea di dove fosse piazza Fontana: probabilmente un equivalente della casa dove abitavo allora (in corso Bramante, dall’altra parte delle Molinette rispetto alla ferrovia), cioè in quella zona che non è né centro né periferia. Vi lascio immaginare la mia faccia quando una decina d’anni dopo in una gita milanese mi trovai a passare dietro il duomo e vidi la facciata della Banca dell’Agricoltura.

Come dicevo, io ricavavo le informazioni di cronaca dai giornali, e più precisamente dalla Stampa che entrava tutti i giorni nella nostra come in tante altre case di immigrati che cercavano di integrarsi. Il guaio è che sarò anche stato un bambino che ha imparato a leggere a tre anni non ancora compiuti e quindi a sei anni poteva comprendere cosa veniva scritto, ma ovviamente non avevo ancora la capacità di esercitare senso critico. Quindi se leggevo scritto “Arrestato Pietro Valpreda: ha messo lui la bomba”, per me quella era la verità incontestabile. Perché racconto tutto questo? Semplice. Oggi siamo tutti a commemorare la strage e in tanti a parlare del terrorismo fascista protetto da settori dello Stato che volevano una svolta se non proprio dittatoriale almeno autoritaria; ma siamo in pochi a ricordare che magari non è che ne uccida più la penna che la spada, ma è tristemente vero che la penna può essere bravissima a orientare il pensiero della gente, e ciascuno di noi deve fare la sua parte e azionare il cervello, tanto più in un periodo in cui siamo bombardati dalla parola scritta e rischiamo di appiattirci su chi grida più forte o chi ci piace per tutt’altri motivi. Credo che questa sia una lezione che dobbiamo imparare.

Ultimo aggiornamento: 2019-12-12 10:01

sono arrivato ultimo

Nelle elezioni per il consiglio di istituto nella scuola dei gemelli che si sono tenute domenica e lunedì sono arrivato assolutamente ultimo. Insomma, anche se non ci fosse stata la lista che si era presentata senza che i proponenti avessero firmato (cosa che non hanno fatto perché “frutto di incompetenza”, l’hanno detto loro stessi) non ci sarei comunque stato.

Non so come dirvelo, ma la cosa non mi riempie esattamente di lacrime…

Ultimo aggiornamento: 2019-11-26 12:25

Votare è pericoloso

[foto dei VVF, http://www.vigilfuoco.it/sitiVVF/milano/]

Oggi si votava per il rinnovo del Consiglio d’Istituto nella scuola dei bambini. Verso le 11:25 Anna e io siamo usciti, abbiamo preso al volo un tram che passava – la domenica mattina ce n’è uno ogni quarto d’ora – siamo arrivati in piazzale Maciachini e svoltato verso l’ingresso laterale della scuola, mentre mi lamentavo di come avessero fatto da cane il marciapiede davanti alla scuola quando la metropolitana arrivò a Maciachini. votato e scambiato due chiacchiere con gli scrutatori, visto che tanto non c’era nessuno. Usciti verso le 11:45, abbiamo guardato dopo quanto tempo sarebbe passato il tram. La palina indicava quattro minuti di attesa: visto che era un momento in cui non pioveva, non valeva la pena di aspettarlo per fare una fermata, massimo due e poi scendere. Direi che abbiamo fatto bene, visto cosa è successo cinque minuti dopo.

(per la cronaca, noi avremmo preso il tram nell’altra direzione, e probabilmente saremmo partiti un minuto prima della caduta dell’albero, quindi non preoccupatevi)

Ultimo aggiornamento: 2019-11-24 16:49

È ufficiale: non so l’inglese

La mia grande azienda ci invita molto caldamente – “obiettivo di fruizione”, per la precisione – a fare almeno 15 ore di corso d’inglese entro fine anno. Lo fa con una piattaforma che a quanto pare non va d’accordo con Firefox, quindi da casa non posso accederci e dall’ufficio sono costretto ad aprire Internet Explorer. Vabbè, stamattina ho fatto il test di livello, attività che secondo la mail “ti impegnerà non più di un’ora”. Ci ho messo un’ora e quattro minuti, nonostante terminassi le varie pagine ben prima del timeout: lo sapete, sono uno che si scoccia a fare sempre le stesse cose.

Bene: mi è stato consigliato un corso C1, il che significa che il mio livello percepito è B2… nonostante il test non mi chiedesse di parlare, cosa che per me (e per chi mi ascolta…) è notoriamente tragica. Vado a nascondermi.

Ultimo aggiornamento: 2019-11-11 12:36

non sono proprio un influencer

L’altro giorno il signor Amazon mi ha mandato una mail dal titolo “Iscriviti ora: Influencer Program di Amazon” che magnificava il programma per gli influencer di Amazon e mi invitava a iscrivermi.

Ho provato a iscrivermi con i miei account Twitter, YouTube e Facebook – con Instagram non mi ci sono nemmeno messo – e come immaginavo ho sempre avuto la risposta “Ti ringraziamo per l’interesse mostrato nel programma Amazon Influencer. Purtroppo, in questo momento il tuo account non soddisfa i requisiti di idoneità.” Intendiamoci, non avevo alcun dubbio al riguardo. Chi diavolo volete che io influenzi? La mia domanda è però diversa. Ammettiamo pure che Bezos sia pescando a strascico, e quindi mandi quella mail iniziale a cani e porci. Ma non farebbe più in fretta a dire subito quali sono i limiti minimi che stabilisce perché la persona sia da lui considerata un influencer? I dati che controlla sono pubblici, quindi non gli ho detto praticamente nulla…

Borracce

Sabato scorso ero a Genova, a parlare di “numeri da sballo” (poteva andare meglio. Anna comunque ha preso tre pagine di appunti su cosa avrei dovuto fare, il debriefing sarà lungo). Ma non è di questo di cui voglio parlarvi, bensì della “borsa del relatore”, o per la precisione di un gadget: la borraccia marcata con il logo del festival.
Qual è il problema? che la borraccia è di plastica. Ormai si è passati in massa all’alluminio: cinque anni fa era roba da pochi, adesso persino il sindaco Sala qui a Milano ha dato le borracce in alluminio ai bambini delle elementari, e il mese scorso a Pavia c’erano pure quelle stesse borracce, naturalmente con lo sponsor diverso. Premesso che non mi cambia certo la vita avere o no i gadget, probabilmente spendere un euro in più per persona e lasciare una borraccia in alluminio avrebbe fatto un effetto migliore…

Io al Festival della scienza 2019

Quest’anno ce l’ho fatta! Sabato 26 alle 15 parlo di Numeri da sballo al Festival della Scienza, a Genova nell’auditorium dell’Acquario. Come i miei ventun lettori avranno intuito, mi baserò fondamentalmente su Numeralia, ma immagino che farò divagazioni varie. Se siete da quelle parti, è un’occasione per vedermi dal vivo :-)

Ultimo aggiornamento: 2019-10-11 18:30