È vero. Da settembre a gennaio ho fatto un giorno la settimana in ufficio (in una sede diversa dalla mia, ma il punto non è quello). Però le cose erano molto diverse: l’accesso era volontario, il che significava che me ne stavo da solo in un pezzo di open space ed era molto meglio che stare a casa con i gemelli. Stavolta invece siamo tutti obbligati ad andare in ufficio, e a questo punto abbiamo cercato di radunarci più o meno in due gruppi per fare cose assieme.
Solo che non siamo più abituati a trovarci tutti insieme, soprattutto perché siamo in un open space e le call le dobbiamo fare comunque… non so che succederà a partire da maggio quando saremo in ufficio tre giorni la settimana.
Mi ha stupito vedere che un’organizzazione datoriale raccomanda di proseguire con le misure “anti-covid” già concordate, nonostante quello che sostiene la scienza neoliberista, perché c’è rischio di focolai e, quindi, di bloccare la produzione a lungo.
Certo però che i pregi di lavorare in un openspace causano un aumento della produttività tale che qualsiasi “indisponibilità” temporanea dei lavoratori viene superata di slancio!
Ora che i contagi sono cresciuti.
Ora che i costi di trasporto sono aumentati.
Dopo che era stato dimostrato che in SW la gente lavorava ed era più produttiva che in presenza.
Quando le riunioni con presenza fisica non le facevi da prima del lockdown perché troppo sparpagliati fra sedi e città diverse, ma intanto la percentuale di lavoro che si fa in call è enormemente aumentata.
Io la chiamo sindrome da PA o sindrome di Brunetta.
(Che se prima c’era gente che lavorava più a lungo delle ore obbligatorie – senza corresponsione di straordinario, ça va sans dire – perché poi non aveva tempi di pendolarismo, magari solo quella mezz’ora in più, ora se ne guarderà bene…).