Premessa: ci possono essere tantissimi motivi, legali oppure pratici, per cui la mia proposta sia insensata. Non mi offendo se me li spiegate nei commenti.
In queste settimane molti negozi fisici sono chiusi per semilockdown. In altri i reparti non alimentari sono transennati per non far comprare: sabato scorso, mentre ero all’Esselunga, ho scoperto per esempio che non si potevano comprare gli aghi da cucito. Poi sono abbastanza convinto che se proprio li avessi voluti e fossi passato a una cassa automatica me li avrebbe passati, ma il principio è chiaro. Meno chiaro il principio per cui io non possa comprare le candele per l’avvento in un negozio, ma possa comprarle online da Amazon. (Ah, non c’entra nulla, ma ho scoperto che esistono persino le candele per l’avvento “tre viola, una rosa”, e non tutte rosse come quelle usuali. Credo che siano ben pochi anche i cattolici che sappiano il motivo della candela rosa).
Da qui nasce la mia idea meravigliosa. Se i negozi fisici non possono tenere aperto e quelli (grandi) online hanno fatto un boom, perché non sfruttare l’occasione per implementare finalmente una web tax? Sì, mi è chiaro che colpirebbe anche il negozietto che ha messo su il suo sito (o si è appoggiato al marketplace Amazon). Ma non dovrebbe essere una cosa impossibile da gestire, e si può anche immaginare un’esenzione sotto un certo fatturato annuo. O no?
In ispecie i cattolici ambrosiani
i cattolici ambrosiani risparmiano sui colori, nonostante la recente reintroduzione del nero.
Quando facevo il chierichetto mi ricordo sempre la trepidazione di una delle due domeniche dell’anno in cui andavano i paramenti rosacei (e non rosa, ci teneva virilmente a sottolineare il parroco).
anche il viola sarebbe “violaceo”, a dire il vero :-)
il viola è paonazzo o morello, secondo il rito
Le manifestazioni di ricchezza (=acquistare qualcosa) sono tassate, tra l’altro, a mezzo IVA. Se compro da Amazon IT pago il 22% di tassa. Quindi? Cosa manca? Anche perché i grossi del web sono un canale di distribuzione valido, cioè permettono allo stato di prelevare l’IVA con basso rischio ed alta velocità. In una situazione come quella attuale lo stato ha un grande bisogno di incassare con certezza, prima che un banale suicidio, fallimento o mancanza di beni pignorabili di fatto limitino gli incassi attesi.
Secondo me quello che manca è usare bene i soldi che lo stato ha già, non certo incrementare una pressione fiscale che è oggi al 42%.
Questa trollata becera merita una risposta precisa e puntuale.
a) Amazon paga di tasse allo stato italiano, se va bene, le tasse sugli immobili, le trattenute INPS sui dipendenti, e qualche altra pinzillacchera.
b) Amazon paga all’Irlanda una trattenuta sconosciuta perché frutto di accordi bilaterali ma che si stima sul 4-5% del fatturato di tutta Amazon SARL EU
c) Ti sei mai chiesto come mai in tutti i paesi del mondo, USA inclusi, esista oltre al concetto di IVA (che NON è una tassa) anche la tassazione vera e propria? Per fare incrementare i suicidi, anche nel paese più liberista al mondo? Nel paese che sostanzialmente non ha un apparato pubblico (se fai le proporzioni, gli USA hanno circa 1/10 dei dipendenti pubblici italici come ordine di grandezza) si azzardano a chiedere le tasse? Mah, che mistero…
d) Amazon oggi, di fatto, sostiene indirettamente l’INPS dato che inizia ad avere un numero di dipendenti schiavi sufficientemente alto da essere significativo al pagamento delle pensioni di diversi contribuenti. Che poi è il motivo per cui si “regalano” le location dei magazzini. Lavoro per famiglie, indotto per il comune che le ospita, tassazione indiretta per la regione. Ti posso assicurare che in certe zone fa la differenza.
Per concludere degnamente, ti replicherei alla tua frase “se non hai soldi da spendere, beh è facile utilizzare quelli che hai già”.
Proprio per questo che in sede UE più d’uno ne ha proposto l’istituzione (no, non siamo gli unici) della web tax. Il problema è che dall’altra parte ci sono mazzette poderose per lasciare tutto come sta, fin che il sistema regge, beninteso.
E’ vero che gira la questione della web tax, da tempo e in tutte le sedi (anche negli USA). Il conflitto internet (nativamente trasnazionale) e stati (definiti solo se hanno confini) è parte del ns. tempo e si manifesta in tanti ambiti. Però francamente oggi è difficile capire quale sia il bilancio stimoli/regali/incentivi e quello tasse/imposte. Una volta bastava vedere l’inflazione ma oggi è ben diverso. In sede UE hanno ben chiaro che i consumi vanno sostenuti (nella loro ottica, ovviamente), infatti oggi per gli stati poveri si parla di *riduzioni* dell’IVA mentre prima il massimo che poteva ottenere un governo amico era un rinvio degli aumenti.
Al momento l’Italia fa… tutto: tassa e incentiva, punisce e premia, si accorda per far pagare poche tasse a chi non le ha mai pagate e bastona con sanzioni esagerate chi le ha già pagate, ramazza con sconti quello che può e rateizza per tempi lunghi, premia chi usa i mezzi tracciabili e bersaglia chi li usa.
In definitiva in questa massa di provvedimenti senza senso logico trovo solo che:
– chiunque è favorevole all’introduzione di tasse che ipotizza non lo riguardino;
– lo stato ha da tempo imparato che le tasse sono associate ad una probabilità di riscossione e quindi si comporta come un buon cravattaro che stringe ma senza strozzare. Ma quando sbaglia finisce per non incassare.
> c) Ti sei mai chiesto come mai in tutti i paesi del mondo, USA inclusi, esista oltre al concetto di IVA (che NON è una tassa) anche la tassazione vera e propria?
Negli USA non c’è l’IVA [1].
Alcuni stati hanno una “sales tax”, che è una tassa vera e propria e non si “gira” come l’IVA. È praticamente un IRAP (in quanto imposta sul fatturato), versata però alla *provincia* destinataria della vendita e non a quella d’origine. Un bel casino, fomentato da Amazon,[3] che le aziende più piccole (giustamente) odiano [3].
[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Value-added_tax#United_States
[2] https://en.wikipedia.org/wiki/Sales_taxes_in_the_United_States
[3] https://en.wikipedia.org/wiki/Marketplace_Fairness_Act « Walmart and Amazon.com have teamed up in a massive lobbying effort in support of this legislation.» «NetChoice has warned that MFA would impede new startups and help the big-box stores crush main street.»
Amazon paga (o meglio, gira) l’IVA ma non l’IRPEF e tutte le altre tasse varie che un negozio deve pagare. Ecco cosa manca.
> Amazon paga (o meglio, gira) l’IVA ma non l’IRPEF e tutte le altre tasse varie che un negozio deve pagare. Ecco cosa manca.
Nessuna attività commerciale paga l’IRPEF (imposta reddito PErsone Fisiche).
Amazon EU Sarl pagherà tutte le tasse del caso in Lussemburgo perché lì è registrata. Così come il negozio di Cuneo paga l’IRAP in Italia se spedisce in Francia.
Già, riassumendo:
– lo stato regala soldi ad Amazon affinché metta i magazzini in Italia (attraverso i comuni/regioni che fanno a botte per averne uno e che quindi agevolano gli insediamenti anche perché tanto tartassano l’indotto)
– lo stato regala soldi perchè Amazon incrementa l’occupazione
– lo stato risparmia in spese mediche se c’è meno gente a spasso (consumatori che vanno nei negozi fisici compresi)
– lo stato vuole che i consumi siano pagati con mezzi tracciabili (come in tutte le attività online) contro l’evasione e il riciclaggio (dei consumatori e dei negozianti)
Forse se lo stato non regalasse soldi, non volesse incrementare i consumi a scapito della salute (di persone e ambiente) e riducesse le imposte… forse sarebbe non solo meglio, ma anche uguale!
Vabbè, ho parlato di IRPEF perché si confrontava (indirettamente) con il piccolo negozio. Parliamo di IRES e IRAP, allora, ma il discorso non cambia di una virgola.