Lasciamo stavolta da parte le battutacce sui governatori leghisti che non vogliono riaprire le librerie nonostante il via libera del governo, non si sa bene se perché non hanno ben chiaro a che servono oppure se lo sanno perfettamente e quindi non vogliono adunate sediziose. Guardiamo piuttosto la voce contraria di tanti librai indipendenti, che avranno fatto i loro conti e capito che riaprire adesso è solo una perdita di tempo e di fatica senza probabilmente ricavi. Io posso solo fornire evidenza aneddotica: tra i miei amici ci sono molti lettori forti, come magari immaginate, e tutti mi dicono che nonostante il lockdown non è che leggano più del solito, anzi. Io stesso faccio fatica a mantenere i miei ritmi soliti, probabilmente perché non riesco a considerare i libri come “una meritata pausa” e quindi non li prendo tra le mani (o faccio partire l’app sul tablet). Ho appena dato un’occhiata alle mie statistiche: dall’8 marzo al 10 aprile ho finito tre libri, che per me è una miseria. Insomma, a chi giova questa apertura? Forse alle grandi catene, forse ai supermercati. Secondo me quello che lo sa è Franceschini.
Ma detto questo, credo che più che parlare di librerie aperte o chiuse sia interessante leggere questa analisi di Emanuele Giammarco. Mi stupisce leggere che “il mercato è subissato di titoli che in grandissima percentuale non arrivano a 150 copie vendute”: io scrivo libri di nicchia, ma il mio libro cartaceo che ha venduto di meno era arrivato a 863 copie a fine 2018. (Beh, no, imamgino che Scimmie digitali abbia venduto molto di meno, ma non ho mai avuto i dati di vendita. A maggio torno alla riscossa). Con quei numeri, però, che senso ha spedire nelle piccole librerie? Passare dal conto vendita all’acquisto diretto può essere utile, ma questo significa che il libraio deve decidere come specializzarsi, oltre ovviamente ad acquistare i “libri comuni” che probabilmente si vendono comunque. Questo però ha un costo in termini di tempo dedicato a scegliere i libri da esporre, senza una vera certezza di guadagno… e con i vincoli dei grandi distributori. Non mi aspettavo che i distributori chiedessero l’esclusiva, per esempio.
Insomma le librerie hanno sempre più problemi, lockdown o no: e non ho idea di quale sia il modo migliore per farle uscire dall’oramai eterna crisi.
Forse semplifico troppo una questione complessa, ma la crisi dell’editoria l’aveva spiegata magistralmente Massimo Troisi anni fa:
“Io so’ uno a leggere, là so’ milioni a scrivere”
Già all’epoca della “è tutta una psicosi” ci furono i proclami “la prima cosa a riaprire deve essere la cultura, i musei, i cinema, i teatri!” Poi arrivati a 100 morti al giorno i proclami sparirono, ma si vede che l’idea piace troppo al politicante a secco di inaugurazioni e poco pratico con l’acquisto online a proprie spese.
Ho notato che alcuni giornali hanno illustrato la notizia con la foto dell’interno di una libreria di una certa catena sita in una certa città. Forse non è stato un caso.
Peccato anche per le pasticcerie. In tante città le pasticcerie sono implicitamente “da asporto” e quindi avrebbero potuto riaprire senza nessun problema, ma in una certa città le pasticcerie hanno quasi sempre qualche tavolino e quindi già due (o più) decreti ne impongono la chiusura. Forse cambiando nome in “Centro di cultura dell’arte bianca” almeno due “libretti al cioccolato” si potranno acquistare.
Io sto leggendo molto, ma della pila dei molti libri che ho comprato negli anni e mai letto. Con le librerie ho un cattivo rapporto, perché soddisfano una domanda in cui raramente mi ritrovo.
È vero però che la gente legge poco.
Qui in Inghilterra i libri hanno una seconda vita nelle charities, dove trovo testi di tutti i tipi per una sterlina.
In Italia i libri usati finiscono alla discarica.
è sottinteso che quello che sto leggendo è dalla pila di libri comprati negli anni e mai letti :-) Quello dei libri ricomprabili è in effetti una cosa che mi manca: ho testi che arrivano da biblioteche USA che li hanno dismessi, per dire. Qui in Italia è impossibile.
Periodicamente a Bz le biblioteche fanno uno “sfollamento archivi” (non chiedermi in base a che criteri) e mia mamma, che è assidua frequentatrice di quella vicina a casa, riesce sempre a trovare qualche libro da portarsi a casa.
negli Usa il criterio è “libro non chiesto in prestito negli ultimi X anni”.
Criterio pericolosissimo, a mio parere.
dal mio punto di vista è stato comodo. (Poi questo vale per le biblioteche locali, immagino)