Archivi annuali: 2015

_9 algoritmi che hanno cambiato il futuro_ (libro)

9788850331697C’è solo una cosa che non mi è piaciuta di questo libro (John McCormick, 9 algoritmi che hanno cambiato il futuro [Nine Algorithms That Changed The Future], Apogeo 2013 [2011], pag. 256, € 18, ISBN 9788850331697, trad. Virginio B. Sala): gli esempi sono così semplificati che spesso diventa difficile riuscire a capire esattamente qual è la relazione con i sistemi reali. Usare la moltiplicazione anziché l’elevamento a potenza può lasciare perplessi, perché tutti sanno fare le divisioni e non si capisce perché invece il logaritmo discreto sarebbe così difficile da calcolare. Allo stesso modo l’insistenza sui “trucchi” per trovare mi sembra un tentativo di far pensare che l’informatica sia un coacervo di metodi ad hoc. Ma questo probabilmente è un mio problema: il libro non è certo stato scritto per chi come me è nel campo e ha anche una formazione matematica, ma per avvicinare il lettore comune ai concetti informatici. È molto rivelatrice la confessione alla fine del libro, dove McCormick ammette che la sua idea iniziale era di un testo diverso – diviso in due parti, una con gli algoritmi “facili” spiegati e l’altra con una semplice presentazione degli algoritmi “difficili” – ma poi si è accorto che tutti gli algoritmi interessanti erano anche “facili”. La traduzione di Virginio B. Sala (nome che nella versione elettronica presa in prestito da MLOL non sono riuscito a trovare indicato, e ciò non è bello) è chiara e corretta.

Una cosa che ho imparato oggi

(sì, il titolo è scopiazzato dal Mucaria, ma tanto lui ha smesso di fare questi post, e io non so quante cose “da blog” imparerò)

A me non è mai piaciuta la musica operistica. Apprezzo Händel, ma poi mi fermo, per l’ottima ragione che non capisco quello che dicono i cantanti. Non mi importa che i libretti d’opera abbiano testi stupidi: io li voglio capire. Bene, in una pausa delle prove per il Requiem di Verdi – che tecnicamente non è un’opera, ma il periodo è quello – Davide Rocca ci ha spiegato che nella musica romantica si sceglie una tessitura più alta (si cantano gli acuti), che la nostra voce tende a cambiare di timbro sugli acuti, e che quindi bisogna emettere le vocali in modo diverso perché all’udito il suono sembri simile: quindi tutte le vocali tendono verso la “u” e si sacrificano le parole per migliorare il suono.
La musica operistica continua a non piacermi, ma almeno ora capisco il perché.

Ultimo aggiornamento: 2015-10-09 23:37

Verdi e la Messa di Requiem

Se non mi scoccio prima di fare prove e soprattutto se riuscirò a imparare la parte da basso, a fine gennaio canterò la Messa di Requiem di Giuseppe Verdi (“di”, non “da”, mi raccomando), col Forum Corale Europeo. In questa settimana di prove tutte le sere (argh) mi sono fatto una cultura sulla genesi di quest’opera, genesi 69, non è avvolta dal mistero come nel caso del Requiem di Mozart ma che ho comunque trovato molto interessante.

Tutto nasce nel 1868, alla morte di Gioachino Rossini. Peppino, che in quel periodo più che il compositore operistico stava facendo il proprietario terreno in quel di Busseto, pianse colui che a suo parere era insieme a Manzoni il più illustre connazionale, e lanciò l’idea di un U.S.A for Africa ante litteram: una messa da requiem da eseguirsi a San Petronio a Bologna nell’anniversario della morte del compositore pesarese. I vari brani musicali sarebbero stati composti dai maggiori compositori italiani e il progetto doveva essere addirittura autofinanziato. Com’è, come non è (c’è chi dice che Verdi, che pure aveva espressamente rifiutato di far parte del comitato organizzatore per non influenzarlo, avesse comunque remato contro) non se ne fece nulla: la prima esecuzione della Messa per Rossini avvenne nel 1988 (no, non è un refuso) e non c’è nemmeno una voce a riguardo nella Wikipedia in lingua italiana. Verdi aveva preparato e inviato a Ricordi il Libera me Domine con la clausola che se la messa non fosse stata suonata l’editore avrebbe dovuto ritornargli il manoscritto.

Passiamo al 1873. Muore anche don Lisander, e Verdi – che era ritornato alla grande sulla scena musicale con l’Aida decide che questa volta farà tutto da solo e comporrà lui la messa. Si era appena fatto rimandare il manoscritto del Libera me Domine e da lì partì per comporre tutta la messa. Solo che non basta musicare i brani: ci sono tutte le condizioni al contorno. Per esempio, la scelta dei solisti, anzi delle soliste (per tenore e basso non aveva posto condizioni particolari): Verdi voleva assolutamente Teresa Stolz come soprano e Maria Waldmann come mezzosoprano, e litigò con gli impresari fiorentini che in quel periodo stavano mettendo in scena l’Aida e non volevano lasciare abbastanza tempo per far imparare la parte. Poi c’era il problema del coro: Verdi voleva assolutamente che fosse misto, e non con voci bianche come era obbligatorio al tempo nelle chiese, e sapeva che Pio IX non avrebbe mai dato il permesso, soprattutto dopo Porta Pia: la scelta di San Marco come chiesa in cui fare l’esecuzione, oltre che perché aveva un’acustica migliore, fu facilitata dal fatto che il canonico da buon ambrosiano fece finta di nulla e chiese solo che le cantanti fossero vestite di nero e velate, non essendo ancora conosciuto il burka. Ma il rito ambrosiano della messa era diverso da quello romano (tanto per dare un’idea, nel rito ambrosiano non esiste l’Agnus Dei…) e la messa sarebbe appunto stata una messa, con le parti cantate che intervallavano il rito: anche lì si trovò un compromesso e si ebbe una specie di messa con “rito misto” (e senza consacrazione, ma quello immagino non fosse così strano nella liturgia preconciliare).

Il successo dell’opera portò a varie rappresentazioni in Italia e all’estero, compreso in una nazione che non riconosceva il diritto d’autore e non aveva nessun accordo con alcuno stato estero. Sì, avete indovinato: erano gli Stati Uniti d’America. Sono state conservate le lettere dell’incaricato statunitense di Ricordi che si lamentava perché una copia della partitura era stata fraudolentemente introdotta in quella nazione. In breve però il Requiem fu dimenticato quasi del tutto, perché non era né carne né pesce, e dovette passare più di mezzo secolo perché ritornasse in auge. Aspettiamo qualcosa di simile per gli One Direction :-)

Ultimo aggiornamento: 2015-10-08 15:27

Editori attenti ai lettori

Ho preso in prestito elettronico via MLOL l’ultimo libro di Gabriele Lolli, Numeri. (Molto bello, tra l’altro: a breve la mia recensione). Convertire un testo in epub è una faticaccia, e lo è ancora di più se il testo contiene formule matematiche: ho insomma trovato qualche errorino nella conversione, e ho deciso di provare a scrivere all’editore, Bollati Boringhieri, per segnalarglieli. Ho inviato la mail poco dopo le 13, e prima delle 15 ho avuto risposta (nel merito, non automatica).

Sapete bene che qui sul blog sono spesso incazzoso: per par condicio, mi sembra il minimo segnalare i comportamenti virtuosi. È bello sapere che ci sono editori che sono attenti a quanto viene loro scritto!

Ultimo aggiornamento: 2015-10-07 15:09

test: dimmi come parli e ti dirò quanti anni hai

Pungolato dall’illustre professor Beccaria, ho provato a fare il test “Can We Guess Your Age By Your Vocabulary?”, nel quale ti fanno alcune domande (in inglese) e a seconda delle risposte ti dicono quanti anni hai. Io (come il Beccaria o l’altro illustre professore) sono risultato essere un sessantottenne (no, non sessantottino!) con questa didascalia:

«You’ve studied many languages, providing you with plenty of ways to express yourself. You are storyteller and people love to listen to you. Your voice is full of wisdom and your vocabulary is old-fashioned and immaculate.»

Ma probabilmente ha ragione Serena, che ha commentato «è l’età delle nostre maestre d’inglese». (La buonanima del mio professore di inglese avrebbe novant’anni, ma l’idea è quella)

multa o non multa

avviso-multa Venerdì, mentre riportavo i bambini a casa da scuola, ho fatto una strada diversa dal solito e sono passato in via Pavoni. Nel punto indicato qui su Google Maps ho notato che c’era un foglietto attaccato alle macchine in sosta dove non dovrebbero essere (tipo l’Audi bianca). Curioso come una biscia, ho dato un’occhiata al testo e ho visto che c’era lo stemma del comune di Milano e un testo che diceva qualcosa tipo “Gentile signore, la sua auto è in divieto di sosta ed è stata pertanto multata: le arriverà il relativo verbale a casa”.

Essendoché piovicchiava, me ne sono semplicemente tornato a casa: poi, pungolato da una discussione su Facebook, oggi rientrando ho allungato il giro per vedere se trovavo ancora uno dei foglietti, che ho recuperato e prontamente scansionato (ovviamente non è visibile per chi non legge il post sul mio sito, visto che non ho ancora capito come spiegare a Zapier di mettere i link). A un’occhiata più attenta credo proprio un fake e anche malfatto: a parte la carta mal strappata, se io avessi fatto una cosa del genere avrei almeno aggiunto qualche supercazzola su un articolo del regolamento – non che esista un regolamento comunale con articoli, almeno guardando il sito del Comune, ma basta già un riferimento all’articolo 201, comma 1, del Codice della Strada. Se qualcuno ha ulteriori notizie è come sempre il benvenuto!

Ultimo aggiornamento: 2015-10-05 19:08

_La scienza della fantascienza_ (libro)

9788845278334 Saggio seminale di quasi venticinque anni fa, dopo una petizione online finalmente questo saggio (Renato Giovannoli, La scienza della fantascienza, Bompiani 2015 [1991], pag. 544, € 25, ISBN 9788845278334) è stato ristampato in edizione rivista e corretta. È davvero una bella cosa, perché mentre di saggi sulla fantascienza se ne trovano in giro tanti, questo è un unicum, perché organizza i testi secondo le teorie (più o meno…) scientifiche che vi appaiono. Chiaramente questo significa eliminare per esempio tutta la fantasy, e credo che molti apprezzeranno l’idea; ma soprattutto significa anche vedere come le nuove teorie scientifiche si sono man mano fatte strada anche nella fantascienza, e di come i vari autori hanno scelto di ovviare alle impossibilità teoriche scegliendo teorie più o meno eterodosse e riciclandole in vari modi. L’altra parte interessante che appare nel libro è una storia della fantascienza: molte idee infatti appaiono in nuce già cento e più anni fa, mentre ci sono autori come Robert Sheckley che si divertono a riprendere temi mainstram – se possiamo dare a una parte della fantascienza questa definizione – e rovesciarli come dei calzini. Sempre scienza, ma coniugata in modo diverso. Anche se le scienze dure fanno da padrone, abbiamo comunque anche alcuni capitoli dedicati alle altre scienze. Caldamente consigliato a chiunque ami la scienza e/o la fantascienza.

Forse dovrei chiudere il sito

Ho scoperto per caso che la mia pagina album era stata craccata in un momento non meglio definito tra aprile e oggi. Tanto la pagina era vecchia di due anni e mezzo e metà dei link mi sa non funzionino più.
Diciamolo: non è che mi preoccupi molto del mio sito.

Ultimo aggiornamento: 2015-10-01 19:49