l’aggressione sul bus a Genova

Immagino che la settimana scorsa abbiate letto o visto sui giornali la storia del genovese finito in coma dopo essere stato pestato da un gruppo di persone. La storia non è bella: c’è un uomo ridotto in fin di vita. Eppure di punti strani ce ne sono più di uno.

Non è necessariamente strano il fatto che l’aggressione sia stata il 14 luglio e Luca sia andato in ospedale solo una settimana dopo quando le sua condizioni si sono aggravate. È un po’ più strano che la notizia, arrivata il 23 luglio ai carabinieri, sia stata pubblicata solo il 4 agosto: ma supponiamo che sia stato chiesto ai media di tacere per condurre le indagini. Ma da qui le cose si complicano. Il giorno dopo l’autista del bus afferma di non aver visto l’aggressione, e aggiunge la frase sibillina «Maresciallo: mio nonno sa cosa mi ha insegnato? Che nella vita è meglio farsi i fatti propri»: manco volesse dare uno spunto a Gramellini. Suvvia, ci sono modi molto più semplici di negare di aver visto qualcosa, e una frase così dà tanto l’aria di essere un messaggio trasversale agli aggressori. (Che l’avvocato dell’autista affermi ora che la frase è stata «pronunciata fuori dal verbale di sommarie informazioni ed estrapolata dal contesto originario» è irrilevante, come potete immaginare: significa semplicemente che è stata detta mentre non si stava scrivendo il verbale, e ci mancherebbe altro)

E in effetti cosa succede il giorno dopo ancora? Toh: spunta un video. Dovrebbe essere assolutamente impossibile recuperare un video di più di tre settimane prima, in barba a tutte le leggi sulla privacy che impongono la cancellazione dei dati dopo pochi giorni: ma guarda la fortuna, «Il server d’una videocamera del Comune, posizionata su piazza Caricamento, 36 ore dopo l’aggressione si è inceppato ed è andato in tilt. Ha arrestato così la procedura di cancellazione prevista ogni 120 ore, avvenuta regolarmente per tutti gli altri sistemi della zona.» Pensate: si è andati a cercare le immagini dopo tre settimane! Ma anche l’avessero fatto dopo nove giorni, quando la notizia era arrivata ai carabinieri, logica avrebbe voluto che le immagini ormai erano state sovrascritte, e sicuramente nessuno terrebbe i video per un mese rischiando le ire del Garante. Ah: se fosse davvero successo, i miei più vivi complimenti a un sistema che non ha modo di avvisare di aver riempito l’hard disk con le immagini: o quelle macchine hanno decine di terabyte di memoria inutile, visto che lo spazio necessario può essere tranquillamente stimato e lasciare il doppio del necessario è già tanto? Addirittura si viene a sapere che «uno dei ragazzi ha un tatuaggio tribale sul collo, piuttosto evidente.» Il classico tipo di dettaglio che si dà per dimostrare che si sa già di chi si sta parlando e si cerca di fargli fare qualche errore, anche perché immagino che quel filmato non potrà essere prodotto come prova e abbiamo appena letto che l’autista del bus non ha visto nulla, ma proprio nulla.

Ma la caccia all’uomo non dà frutti, e due giorni dopo arrivano nuove notizie. Si trova finalmente l’inglese che quella notte era assieme a Luca, e si scopre che costui aveva detto alla compagna di Luca che «il pestaggio sarebbe stato compiuto da ragazzi sudamericani pericolosi». Fin qua la cosa ci potrebbe anche stare, pur se rimango stupito al pensiero che non si fosse partiti subito col “dagli allo straniero”. Ma addirittura Luca, prima di entrare in coma, avrebbe detto alla compagna che «l’aggressione sarebbe stata effettuata da ragazzi ecuadoriani». Per me sarebbe impossibile distinguere un ecuadoregno da un colombiano, per dire: eppure qui sembra la cosa più naturale di questo mondo.

Poi il silenzio. Nessuna notizia nemmeno sul Secolo XIX, almeno fino a ieri sera. Posso dire che ho come il sospetto che ci sia molto più di quanto si può leggere sui giornali?

Ultimo aggiornamento: 2015-09-21 17:46

4 pensieri su “l’aggressione sul bus a Genova

  1. Mauro

    Sul discorso “ecuadoriano” la spiegazione te la do io da genovese: la comunità ecuadoriana è la più vasta a Genova (almeno tra quelle sudamericane, ma forse oggi anche in assoluto) e quella che negli ultimi anni sembra aver dato più problemi di ordine pubblico.
    Oggi per i genovesi, un sudamericano – soprattutto un sudamericano che porta problemi – è automaticamente un ecuadoriano. Il resto del Sudamerica nella mente del popolino (e di chi su razzismo e paura ci campa) non esiste.
    Per il resto d’accordo coi tuoi dubbi e le tue domande, ma il discorso “ecuadoriano” si spiega semplicemente così.

    1. .mau. Autore articolo

      un po’ come a Torino, dove tutti i magrebini sono “marocchini”, insomma?
      (grazie!)

      1. Mauro

        Esattamente.
        Piccola digressione storica: a Genova “marocchini” negli anni ’70-’90 erano tutti i vu’ cumprà sulle spiagge. Indipendentemente da dove veramente venissero.

        1. S.

          In Romagna i vu’ cumprà sono ancora tutti marocchini. Anche quelli che vendono artigianato indiano.

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