Come scrivo

Spinto da questo post dello Scorfano (lui parla difficile perché ha studiato letteratura, con me vi dovete accontentare di molto meno) stamattina vi racconto di come scrivo i miei post.
Innanzitutto un tuffo nel passato. Sono una persona molto pigra, e all’inizio del liceo decisi che non aveva un gran senso scrivere un tema in brutta e rifarlo in bella copia. Tanto, pensai, ogni volta che rileggo quello che ho scritto lo modifico; il lavoro sarebbe infinito e allora tanto vale lasciar perdere, scrivere una sola volta in bella calligrafia pensando un attimo prima di scrivere una frase, e non dannarsi l’anima. Il buonanima del mio professore di italiano del biennio per un po’ morse il freno: la mia non era una classe di gran letterati, i miei temi erano sempre nello scarno gruppetto dei migliori, e quindi non poteva dirmi nulla. Un giorno però diede un tema unico sui Promessi Sposi, che come al solito non avevo studiato (me li sono letti poi con calma e gusto in quarta per conto mio): annaspai il giusto, presi un cinque e mezzo, e mi venne intimato di ricominciare a scrivere la brutta. Io per principio continuai a fare i temi in bella per poi ricopiarli in brutta.
Passarono gli anni. Il tema della maturità mi venne una sbrodolata: abituato a scrivere quattro facciate (non protocollo, ma con una scrittura minuta) in un’ora e mezzo, il trovarmi ben sei ore a disposizione unito alla voglia di far vedere come sapevo tutto del 1848 mi fece sbracare. La tesi di matematica l’ho scritta per un terzo l’ultima notte prima della consegna, in sala terminali della Normale: e quando dico “scritta” intendo che non avevo nessun appunto, solo le formule alla base dei programmi che avevo scritto – per soprammercato usai un Mac SE senza hard disk e soprattutto senza tasti cursore, quindi a ogni errore di battitura dovevo spostare la mano dalla tastiera, prendere il mouse, coordinare i miei movimenti e correggere. Poi chiedetevi perché non sopporto più Apple. Quella tesi è una palla unica. La tesi di informatica l’ho scritta per un terzo l’ultima notte prima della consegna, chiuso nell’ufficio: essendo più preparato, ho terminato un’ora prima di quanto avessi previsto. Usai LaTeX su un monitor non grafico: un mezzo delirio e un paio di risme di carta sprecate, ma almeno potevo correggere un refuso usando solo la tastiera. Quella tesi è un po’ più divertente, almeno nell’introduzione e nella conclusione che erano state preparate un paio di settimane prima.
Passarono ancora alcuni anni (gli articoli per i convegni non fanno testo perché erano in inglese). Iniziai a scrivere per qualche rivista scientifica. Di nuovo testi di una palla unica: corretti, utilizzabili, ma in stile maestrino che ficca tutto in un ammasso bello ordinato ma gelido. Poi iniziò la prima incarnazione di questo blog: brevi comunicati stampa o temini per commentare qualche notizia. Solo che a furia di scrivere, e di volere essere seguito almeno dai famosi ventun lettori, il mio stile è cambiato parecchio.
Continuo a scrivere di getto. È possibile che mi rimugini in testa il contenuto di un post – con questo per esempio l’ho fatto – ma è praticamente certo che quello che ne esce non è il testo da me pensato, e spesso il post parte per una qualche tangente man mano che lo scrivo. Le parole si sussegono, e io mi limito ad osservarle. Non rileggo mai quello che ho scritto, a meno che il post non l’abbia scritto sul palmare e mi serva verificare che non sia saltata qualche lettera. Non guardo nemmeno la tastiera: le dita sanno dove andare, a meno che non mi fermi a pensare dove si trovi una certa lettera. Una scrittura lineare, insomma? per nulla. C’è sempre qualche sottoprocesso mentale che guarda quello che viene scritto e avvisa che occorre una correzione: in questo post avevo per esempio scritto «e di volere essere letto almeno dai famosi ventun lettori», alla parola “letto” ho pensato «no, farà ripetizione con “lettori”: vediamo se poi mi viene in mente un sinonimo» e due righe dopo ho trovato il termine e l’ho modificato in “seguito”. Poi l’occhio mi è caduto sulla frase «ma almeno potevo correggere», mi sono accorto che mancava qualcosa e ho aggiunto «usando solo la tastiera»; e mentre scrivevo questa frase ho deciso di aggiungere anche «un refuso». Il tutto dando un’occhiata al Frenfi e scrivendo un paio di risposte a mail che nel frattempo mi arrivavano.
Così non arriverò mai a fare letteratura: però spero mi apprezziate lo stesso :-)

Ultimo aggiornamento: 2011-12-09 07:00

15 pensieri su “Come scrivo

  1. MarcoScud

    Quante similitudini con una TRENTINA d’anni prima ed il sottoscritto. A parte la matematica, non tra i miei punti forti, quanti ricordi uguali. Tipo mettere il titolo al mattino presto al compito a casa ed accorgersi che scrivere un tema su un argomento senza controllare bene quale, si poteva purtroppo andare totalmente fuori tema. E allora via a scrivere il compito giusto direttamente in bella. Ma la mia brutta era scritta usando l’Olivetti lettera 22 (sin dalle medie). Manco fossi stato Indro Montanelli. Bei tempi. Di un secolo fa, praticamente. Prima ancora delle Olimpiadi di Roma nel 1960. :(

  2. .mau.

    ah, un’altra cosa che si evince leggendo tra le righe è che io non sono costituzionalmente capace a fare una singola cosa per volta. Persino se non trovo scuse per fermarmi un attimo mentre scrivo un post, ho sempre qualche processo mentale in sottofondo che riconsidera quello che ho scritto per cambiare parola o aggiungere incisi.

  3. MarcoScud

    Rileggere è inutile. Trovarsi un amico bastardo che leggendo becca già al primo colpo il 99% dei gravi errori che il tuo occhio non vedrà mai, è dono raro. C’è chi ha un amico così e chi è un amico così. IO E’. :)

  4. MarcoScud

    E mi è capitato in diverse lingue, Inglese soprattutto. Ma 3 anni a fare Technical Editing serve molto. Il mio miglior complimento? Quello di un Londinese che dopo che gli feci le pulci ad uno scritto tecnico pieno di inutili florilegi, mi disse: “I never met a bastard like you”. L’ho tenuto sul biglietto da visita sino alla pensione.

  5. MarcoScud

    Io ho esempi di una mia lettura veloce e casuale di un manoscritto tecnico inglese importante, rivisto sia dall’autrice che dalla sua correttrice. Dopo la seconda pagina di gravi errori e inesattezze ho telefonato alla mia collega e l’ho pregata di trovarci dopo mangiato perché avevo molto da dirle. Ovvero come passare da “c’est maudit saligot des Italiennes” a suo guru personale per i restanti 30 mesi di vita lavorativa insieme. Ho capito come fosse facile salvare il culo alla gente molto piena di se stessa.

  6. Barbara

    Io scrivo stralenta, rileggo e ricorreggo mille volte, i temi al liceo li facevo lunghi la metà di te e ci mettevo quattro ore, il tema di maturità ho dovuto farlo di argomento scientifico perché non sapevo una fava né di storia né di letteratura.
    E adesso scrivo quasi solo in inglese, con mia grande soddisfazione.
    @MarcoScud. Anch’io è.

  7. .mau.

    @Barbara: perché soddisfazione nello scrivere quasi solo in inglese? (domanda seria)

  8. MCP

    >Non guardo nemmeno la tastiera: le dita sanno dove andare, a meno che non mi fermi a pensare dove si trovi una certa lettera.
    Errori di battitura, refusi? Io ho notato che più vado veloce e “senza guardare” (cioe’ guardo solo la tastiera o solo lo schermo, senza alternare) più ne faccio: soprattutto le maledette doppie mi escono quasi sempre male (insomma = insomam, delle = delel). Oppure le spaziature: “oggi le comiche” diventa “oggi lec omiche”. E così devo perdere un sacco di tempo a rileggere e correggere il testo. Una volta non mi succedeva. O andavo più piano, o è l’età, o non sono più in sincrono con il clock delle varie tastiere che uso :)
    Per il resto, sempre un piacere leggerti.

  9. .mau.

    @MCP: se scrivo troppo in fretta di refusi ce ne sono parecchi, ma generalmente me ne accorgo immediatamente e quindi c’è solo una lettera, al più due, da cancellare. La fregatura peggiore è nella mia firma, che ovviamente scrivo MOLTO in fretta…

I commenti sono chiusi.