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Bisogna capirle, le banche. Non sono riuscite a lasciare in mano ai risparmiatori tutte le obbligazioni delle aziende fallite, e in qualche modo devono tornare indietro coi soldi. Poi questo è un periodo di tassi in crescita, e quindi piazzare i mutui sulle case – che sono sempre un’ottima fonte di guadagno – non è così banale. In pratica, i manifesti mostrano sempre numeri piuttosto strani. Fino a qualche tempo fa, la mania era quella di avere un tasso piuttosto basso per il primo anno o due, scritto bello in grande, salvo poi farlo salire negli anni successivi. Da un mesetto a questa parte, la nuova parola chiave è “spread”. Spread in italiano significherebbe “spargere, diffondere”; ma in economia sta a indicare quanti soldi in più rispetto a un tasso ufficiale ci vengono chiesti.
Di per sé, quando si ha un tasso d’interesse variabile, avere uno spread prefissato è una Buona Cosa: significa che si può immediatamente sapere quant’è in un qualsiasi momento, e soprattutto si ha la certezza che la banca non stia facendo la furba. Restano solo due punti da considerare. Innanzitutto il fatto che nel testo scritto in grande non c’è scritto rispetto a quale tasso si mette lo spread: c’è il tasso ufficiale di sconto e una sfilza di Euribor a 1, 3, 6, 12 mesi. Tutti questi tassi sono ottimi candidati, almeno in teoria: è chiaro che il TUS non viene usato perché è il più basso di tutti e quindi dà uno spread più alto. Ma soprattutto la gente viene fregata dal vedere un tasso inferiore all’1%, senza pensare che c’è un altro 3-4% nascosto nel tasso di riferimento. Considerando l’abilità matematica media della gente, ho qualche idea di cosa succede…

Ultimo aggiornamento: 2006-11-29 10:14