Alle elezioni comunali a Milano potevamo scegliere tra trentaquattro liste. E non ci hanno nemmeno dato il libretto di istruzioni su come piegare la scheda.
Giro d'Italia
Magari vi è capitato di sentire la polemica tra Gilberto Simoni e Ivan Basso alla fine della penultima tappa del Giro d’Italia. Il trentino ha accusato il varesino innanzitutto di avergli promesso la vittoria di tappa ma di essersene poi andato via; in un secondo tempo ha anche detto che Basso gli aveva chiesto dei soldi per lasciarlo vincere la tappa.
Avendo guardato per tv la tappa (ebbene sì, ogni tanto interrompo il mio digiuno televisivo :-) ) e conoscendo abbastanza quello che capita nel ciclismo, provo a buttare giù la mia versione dei fatti. Sicuramente nella discesa dopo il Mortirolo i due, che erano arrivati in cima insieme, si sono parlati. Basso infatti aveva iniziato la discesa in testa sbagliando tutte le curve, e dopo un minuto o due Simoni era passato in testa ma senza dannarsi. È abbastanza intuibile che Basso abbia detto a Simoni che in caso di arrivo insieme gli avrebbe lasciato la volata – facendo perdere un po’ di soldi non tanto a lui quanto alla squadra. Nella leggera salita finale verso l’Aprica, però, Simoni si è letteralmente piantato; non c’è stato nessuno scatto da parte dell’altro, che si è limitato a fare il diesel sul suo ritmo. Diciamo che Basso avrebbe fatto meglio a fare il bel gesto di rallentare un po’ almeno all’inizio, salvo poi probabilmente andarsene comunque per conto suo dopo un po’, visto che l’altro era in crisi vera. È anche vero che Simoni non è esattamente il prototipo del ciclista simpatico… Insomma, una di quelle belle liti che servono per far dimenticare almeno per un po’ i sospetti di doping che ormai accompagnano costantemente il ciclismo. Non parliamo di questo Giro, dove Basso ha dato più di nove minuti al secondo in classifica (Gutierrez Cataluña), dodici al terzo (Simoni, appunto) e diciotto a Cunego, quarto ma senza mai essere entrato in gara. Ormai a pensar male ci si porta spesso solamente avanti col lavoro.
Elezioni comunali a Milano
Domenica e lunedì si vota per il rinnovo del consiglio comunale milanese (si vota anche da tante altre parti, ma io sono residente qua e quindi parlo di qua).
La mia sensazione è che vincerà al primo turno la Moratti, diciamo con il 52% dei voti, mentre la sua coalizione beccherà un paio di punti in più. Nonostante non sia certo amata dai milanesi, resta il fatto che la città è schierata a destra, e che la candidata sindaco ha buttato nella campagna tanti, ma tanti soldi. Ferrante, nonostante tutto, è restato troppo ingessato, e ha anche fatto dei gravi errori di comunicazione, come quando ha spiegato che sua moglie “sa stare al suo posto”. Inoltre la lotta interna alla sinistra, dove non saprei dire se hanno remato più contro i Ds oppure Rifondazione, non aiuta certo. Il tutto mi spiace, perché sono convinto che “Brunetto” sarebbe un ottimo sindaco, e poi sarebbe bello avere per una volta qualcuno che non urla ma che discute.
A proposito di soldi spesi: a differenza delle politiche dove – probabilmente perché tanto non potevi mettere preferenze – di cartelloni ce n’erano ben pochi, la pubblicità per queste amministrative è stata estenuante. Striscioni sopra i viali, bus e taxi sponsorizzati, camion pubblicitari in giro per la città, gazebo piazzati dovunque ci fossero dieci metri quadrati liberi, manifesti uno sopra l’altro in tutti gli spazi, leciti e no (tanto la multa complessiva per le affissioni abusive è di cento euro…), cartaccia per terra, buca delle lettere intasata. La percentuale relativa destra/sinistra è così ad occhio di quattro a uno, come del resto quella delle spese denunciate per la campagna elettorale, ma anche gli altri candidati a sindaco hanno fatto la loro parte.
Il mio voto, per chi fosse interessato, va alla lista Ferrante, con “quell’altro” (Davide Corritore) come preferenza. L’ho visto, e secondo me ha un ottimo modo di presentarsi e di affrontare i problemi: insomma mi dà fiducia.
towel day 2006
È stato oggi. Spero che abbiate avuto un asciugamano pronto alla bisogna (io me lo sono appena portato in ufficio…) come ben sappiamo, una persona che sa dov’è il suo asciugamano è sicuramente una persona che farà strada.
macché Unione Europea!
Qualche giorno fa ho parlato dell’aumento surrettizio delle tariffe postali. Adesso ho trovato (via Valdemarin) il testo del decreto, che come si può notare è stato promulgato il 12 maggio e cioè un mese dopo le elezioni. Vabbè. Ma la cosa che ho scoperto è che è da un bel pezzo che non vale più la tariffazione per l’Unione Europea pari a quella di una lettera normale. Passi il fatto che non si poteva mandare una lettera in posta ordinaria, ma solo come posta prioritaria: probabilmente si voleva faer bella figura. Però quando nell’ultima rimodulazione delle tariffe il costo del francobollo prioritario “nazionale” era sceso da 62 a 60 centesimi, quello per la zona 1 dell’estero era rimasto invariato. Adesso poi il costo di una lettera passa a 65 centesimi.
Non sono i cinque centesimi in più che infastidiscono, anche perché ormai gli amici fuori dall’Italia si sentono via email se non per telefono o VoIP. Però ricordo quando ero ragazzo che l’equiparazione del costo per l’allora Comunità Europea mi faceva sentire parte di una grande unione sovrannazionale, e la cosa mi inorgogliva. Adesso no.
Altro che Holding Italia 1-22!
Forse qualcuno si ricorda della strana suddivisione delle azioni Mediaset, divise inizialmente tra Holding Italiana 1, Holding Italiana 2, e così via fino a Holding Italiana 22. Bene. All’estero però sono stati capaci di fare cose molto “migliori”.
Massimo Morelli riprende un articolo dell’Economist che racconta come funziona il controllo dell’IKEA, la produttrice di mobili con design svedese e fabbricazione nel sudest asiatico. In breve, si scopre che nel 1982 il controllo dell’IKEA è passato a una fondazione olandese, la Stichting Ingka Foundation (“Stichting” dovrebbe significare “fondazione” e quindi il nome è un po’ ridondante, come “deserto del Sahara”, ma la chiarezza innanzitutto). Questa fondazione ha le azioni della Ingka Holding, ed è stimata valere 28 miliardi di euro. Una fondazione di diritto olandese non deve esplicitare cosa fa dei suoi soldi, se non genericamente; la Ingka afferma che si occupa di finanziare il design di architettura e di mobili, mandando i fondi alla Stichting Ingka Foundation, altra fondazione di diritto olandese. Questa a sua volta fa donazioni e “investimenti a lungo termine, nel caso che l’IKEA abbia bisogno di capitale”. Diciamo che nel 2004 gli introiti sono stati di circa 1.6 miliardi di euro, mentre le uscite in donazioni ammontano a circa 1.5 milioni di euro. La fondazione è guidata da un board di cinque persone, tra cui il fondatore di IKEA Ingvar Kamprad, sua moglie e un avvocato svizzero; le decisioni devono essere prese a maggioranza semplice. Il bello è che nemmeno gli eredi di Kamprad potranno modificare la destinazione d’uso della fondazione, che così blinda l’IKEA.
Ma c’è una via d’uscita per avere un po’ di contante. Il marchio IKEA è infatti posseduto dalla Inter IKEA Systems, altra azienda privata olandese che non fa però parte della Ingka Holding. A sua volta quest’azienda è controllata dalal lussemburghese Inter IKEA Holding gestita a sua volta da un’azienda con lo stesso nome nelle Antille Olandesi, guidata da un trust in Curaçao. I negozi IKEA vendono bene, e il 3% dei ricavi arriva alla Inter IKEA Systems; nel 2004 la società, insieme alla I.I. Holding che sembra ricevere molti soldi da essa, avevano un patrimonio che sfiora i 12 miliardi di euro, ha distribuito 800 milioni di dividendo e fatto nonostante tutto un utile di più di mezzo miliardo. Il tutto pagando in tasse… 19 milioni.
In Italia siamo dei dilettanti.
“Il risultato deve cambiare”
A quanto pare, Silvio B. amava così tanto la carta intestata PresConsMin da usarla l’ultimo giorno del suo governo per scrivere ai cari suoi amici capi di stato piangendo l’ingiustizia perché con il 50.2% dei voti non è rimasto al potere per colpa del “particolare sistema elettorale italiano” che l’ha penalizzato.
Tralasciamo il particolare che il particolare sistema elettorale italiano l’ha voluto lui, e concentriamoci sulle cifre. Com’è possibile che in un sistema con premio di maggioranza non sia bastato il 50.2% dei voti per vincere le elezioni? Elementare. Basta scegliere i dati giusti.
Come si può leggere sul sito del Viminale, la Casa delle Libertà ha effettivamente ottenuto il 50.2% dei voti. Peccato che siano i voti del Senato, e in diciotto regioni italiane (mancano Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta, che hanno un conteggio diverso, e manca l’estero).
Lasciando pure perdere i votanti fuori dall’Italia e le due regioni a statuto speciale, il punto fondamentale è che casualmente viene considerata solo una parte dell’elettorato; infatti chi ha meno di 25 anni può votare solamente alla Camera. E lì i risultati sono naturalmente diversi: escludendo la Valle d’Aosta che comunque è andata al centrosinistra, la CdL ha ottenuto il 49.7% contro il 49.8% dell’Unione (il resto è finito a partiti minori). Come sempre, basta saper scegliere i numeri giusti…
sono parasubordinato
Martedì l’INPS mi ha scritto, comunicandomi qual è la mia posizione come lavoratore parasubordinato. Nulla di strano: mi è capitato nel 2001 di fare alcune consulenze per l’Università di Pisa che mi fece un contratto co.co.co.
Così scopro che avevo guadagnato circa 3000 euro in tre mesi, su cui c’è stato un 10% di contributi. Compresa la rivalutazione di questi anni, il mio attivo è di 360 euro; se aspetto ad andare in pensione a 65 anni, la pensione relativa sarà di circa 20 euro annui.
Fortunatamente posso sperare di avere una pensione come lavoratore dipendente, quindi non mi devo occupare di quello. Però ho fatto un po’ di conti. Se un parasubordinato lavora per trent’anni con una media di 1500 euro il mese, otterrebbe 30*4*1.5=180 volte il mio montante. Mettiamoci il fatto che la percentuale contributiva nel mio caso è minore, e un po’ di rivalutazione reale: arriviamo a 300 volte il mio montante. Quindi 6000 euro l’anno, che fa un po’ meno di 500 euro il mese (vi siete ricordati di contare anche la tredicesima?)
Ho paura a pensare cosa succederà tra trent’anni.