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Tre sorelle (teatro)

Ieri sera siamo stati allo Strehler per vedere questo dramma di Anton Cechov per la regia di Massimo Castri. Non che la pagina sul sito dica molto: tanto per dire, per sapere chi sono i vari personaggi occorre prendere il PDF della locandina.
Risultato? Avrei fatto molto meglio ad evitare. Innanzitutto, sono tre ore e mezza di spettacolo (ed è ancora accorciato rispetto alle quattro ore dell’esordio!), ma non tanto perché l’opera sia così lunga di suo: no, è proprio la regia che ha voluto cercare di convincere il – non eccessivamente folto, a dire il vero – pubblico che Cechov era in realtà un antesignano del teatro della seconda metà del XX secolo. Peccato che a questo punto me ne potevo andare a vedere Beckett, Pinter e Ionesco.
La scena è vuota, se non per un grosso tavolo in mezzo con relative sedie, e … le valigie, che tutti i personaggi hanno con sé, non so se per indicare le miserie della vita, la volontà di andarsene via – anche se poi le uniche che lo vorrebbero davvero rimarranno nella sperduta città di provincia russa – o chissà cos’altro. I personaggi ripetono le loro battute più volte, ma sembra più che altro che nessuno ascolti cosa dicono gli altri. Alla fine arriva anche una carrozzina stile Corazzata Potemkin, ma per fortuna non ci sono scalinate ma solo un pavimento un po’ sconnesso in pietra e quindi non ci sono danni al pupo.
Sul testo? Beh, sicuramente tutti i personaggi sono dei perdenti, non c’è nemmeno quel raggio di speranza che ha Il giardino dei ciliegi. Non solo tutti sono chiusi nelle loro piccinerie, ma non riescono nemmeno ad accorgersi che i loro sogni, se venissero realizzati, diventerebbero degli incubi: da un certo punto di vista, il sognare è l’unica cosa che li fa ancora vivere, per quanto male. Lancinante, ma non troppo diverso da quello che ci capita al giorno d’oggi.

Ultimo aggiornamento: 2007-12-02 17:18

Di cotte e di crude (ristorante)

Ieri sera Anna ed io siamo andati a mangiare in questa “asticeria”. Il locale è in via Porro Lambertenghi 25 a Milano (telefono 02-6688455), e se non si sa che c’è si fa fatica a trovarlo: è un’unica vetrina, con dodici coperti in tutto. Anche la gestione è molto minimalista: Paolo Arrigoni fa tutto, dal cameriere al cuoco, oltre naturalmente ad andare a comprare tutte le derrate.
Come avrete probabilmente immaginato, il ristorante ha relativamente poche proposte, e l’astice la fa da padrona. Astice che vedete lì nell’acquario, roba che non è per deboli di cuore insomma. Naturalmente tutto questo ha il suo costo, e non pensate di cavarvela con meno di cinquanta euro a testa. Però il posto è grandioso se uno deve fare bella figura con una donna: il menu “per lei” è rigorosamente senza prezzi. Ah, tra i dolci il cannolo “aperto” è semplicemente spaziale.
Il più grande errore del proprietario? far fare il proprio sito Web a tale “milanocommunication s.n.c.”, col risultato che il sito non può essere visitato con Firefox.

Ultimo aggiornamento: 2007-12-01 17:56

I conigli di Schrödinger (libro)

[copertina] (se vuoi una mia recensione più seria di questo libro, va’ su Galileo!)
Diciamocela tutta: in questi ultimi anni sembra che nessuno si possa dichiarare felice se non scrive un libro sulla meccanica quantistica. Anche Colin Bruce, di cui Cortina aveva già tradotto un paio di libri, si è dedicato al tema (Colin Bruce, I conigli di Schrödinger [Schrödinger’s Rabbits: The Many Worlds of Quantum], Raffaello Cortina 2006 [2004], pag. 337, € 24.80, ISBN 978-88-6030-050-8, trad. Luca Guzzardi). Bisogna dire che Bruce è un ottimo divulgatore, e il libro si fa leggere molto bene; inoltre uno dei punti a favore dell’opera è che finalmente non si leggono soltanto i resoconti “classici” della meccanica quantistica, quelli insomma che hanno ormai tre quarti di secolo, ma anche quelli dei fisici di oggi. Resta un unico problema: anche Bruce è comunque un evangelista, e quindi fa di tutto e di più per dimostrare che l’interpretazione da lui preferita, quella dei molti mondi, è quella “reale”. A suo onore va detto che – anche se ogni tanto mischia un po’ le carte in tavola – non nasconde le altre posizioni; però bisogna stare attenti a non farsi prendere dall’entusiasmo mentre lo si legge.
Un’ultima nota sulla traduzione. Luca Guzzardi è stato molto bravo sia a mantenere lo stile vivace di Bruce nella traduzione che ad aggiungere delle utili note a piè di pagina; ho così scoperto ad esempio che il vero nome di Monty Hall era Maurice Halprin. Però ogni tanto, come del resto il buon Omero, sonnecchiava; ci sono così degli errori di traduzione. A pagina 54, il treno si contrae a (non di) una piccola frazione; a pagina 60, la cancellazione perfetta delle onde è in realtà una correlazione; a pagina 106, se il gatto è morto l’astronauta è triste; a pagina 239, la probabilità è bassa; infine a pagina 309 “Alpha Proximi” mi sembra tanto un minestrone tra Alpha e Proxima Centauri.

Ultimo aggiornamento: 2007-11-29 08:01

Metro MAG (free press)

Andare al lavoro in bicicletta, come ho già scritto, mi impedisce di continuare a parlare della stampa gratuita. Però la scorsa settimana pioveva, e mi sono trovato sulle scale della metro quello che è già il quarto numero del mensile (gratuito) di Metro. “MAG”, anche se è stato scelto per ricordare “magazine”, è in realtà un acronimo: starebbe infatti per Metropolitan Active Generation, che non vuol dire assolutamente nulla però riempie bene la bocca.
Commento generale? Mah. Ovviamente tanta pubblicità (da segnalare quella della profumeria Douglas di via Roma… segnalare perché non è specificato da nessuna parte la città in cui si trova questa profumeria, città che non può essere Milano che notoriamente non ha una via Roma), ma quello uno se lo aspetta. Troppi redazionali travestiti da articoli: quello sulla fitness, quello sull’Ikea e l'”intervista” a Roberto Cavalli. Ma soprattutto c’è una cosa che non mi convince: la lunghezza degli articoli, che arrivano anche alle due pagine tabloid. Dal mio punto di vista, la free press è qualcosa di precotto e premasticato proprio perché la sua fruizione è immediata: finito il viaggio in metro la si butta via – purtroppo spesso non nei contenitori della carta – e quindi non deve richiedere un grosso sforzo, non tanto mentale quanto proprio di tempo. Non riesco invece a vedere il senso di un periodico che si posiziona esattamente nella stessa nicchia ma vuole essere più “di tendenza”. Voi che ne pensate?

Ultimo aggiornamento: 2007-11-28 12:54

_Milano per Giorgio Gaber_ (spettacolo)

Dopo neanche cinque anni dalla morte del signor G, Milano ha pensato bene di rendere omaggio a quel grande con una rassegna sponsorizzata da Telecom Progetto Italia. La sponsorizzazione è significata che un mesetto fa c’è stato un concorso interno che metteva in palio cinquanta biglietti per la serata finale della rassegna. Ho preso santa Wikipedia, ho risposto alle domandine e ho vinto due biglietti… grande vincita, visto che tanto l’accesso era gratuito :-)
Solo che ieri Anna non stava ancora troppo bene, e quindi ha preferito restare a casa… così sono andato alla serata insieme a un’altra leggiadra fanciulla. Recuperati i biglietti e aspettato che i fotografi smettessero di scattare flash addosso all’Ombretta Colli dal viso più che liscissimo – no, non ho scattato nulla, anche perché prima di capire che era l’Ombretta ci ho perso mezzo minuto – siamo saliti su in piccionaia, dove Telecom ci aveva premurosamente dato il posto. Effettivamente devo dire che, anche se lassù in alto, i posti erano centrali. Molto centrali. Estremamente centrali. Erano formalmente consecutivi, ma in mezzo c’era il corridoio! (posti 26D e 27S, per la cronaca). Il guaio è che il teatro era al completo: il foyer in effetti era pieno di gente che stava più o meno tranquillamente aspettando che chi aveva prenotato il biglietto non si presentasse, per avvoltoiarsi sopra i posti liberi. L’unico lato positivo è che Anna non può ingelosirsi troppo, vista la distanza che la ria sorte ci ha riservato.
Lo spettacolo? Beh, l'”elemento di raccordo”, come ha tenuto a precisare, è stata Rossana Casale, che dopo avere iniziato lo spettacolo cantando un pezzo di Gaber – che avrebbe fatto meglio a cantare abbassato di un tono, così ad orecchio – ha preso in mano la cartelletta, spiegando che il presentatore designato, Enzino Iachetti, non aveva potuto presenziare. Diciamo che ha fatto bene a non definirsi “presentatrice”, anche perché io avrei fatto probabilmente meglio. A parte il suo preludio, lo spettacolo è stato aperto e chiuso da due vecchi sodali di Gaber: Dario Fo ed Enzo Jannacci. Entrambi hanno scelto di fare pezzi loro e non proporre materiale gaberiano, il che da loro può essere accettato. Fo come sempre straborda che è un piacere: a parte il vecchio cavallo di battaglia della risurrezione di Lazzaro, ho apprezzato molto l’inizio, dove ha raccontato della notizia della bimba rapita e subito ritrovata ieri: il rapimento era stato strillato come prima notizia nei TG del pomeriggio, ma il ritrovamento era solo la settima notizia nel sommario; Fo ha terminato con la triste ma vera constatazione che “La notizia vale solo quando è tragedia”. Jannacci? Sono sempre più convinto che abbia un principio di Alzheimer, e la cosa mi dispiace. Gli unici momenti in cui non ha biascicato sono stati quando cantava, e quando raccontava del “partito della libertà del popolo”: dopo avere detto che non capiva bene la cosa, visto che aveva girato per Milano e non aveva visto tedeschi che la occupassero, ha terminato con “un popolo libero? DA TE!” urlando il “da te” e facendo scoppiare il Piccolo (il Piccolo, sì) in un fragoroso applauso. Non sono riuscito a vedere la faccia di Ombretta, giù in prima fila.
In realtà non sono stati solo Fo e Jannacci a fare pezzi loro. In mezzo c’è anche stato Giovanni Allevi, arrivato in felpa jeans e scarpe da tennis – ma sul look del nostro è molto meglio andare a leggere la descrizione che ne fa Betty – e sentito con le mie orecchie dire che “per umiltà” non avrebbe fatto nulla di Gaber, ma una sua composizione ottenuta con un “procedimento matematico” a partire da nome e cognome di Gaber (la classica sostituzione alfabetica… che non si sa perché ha definito “cromatica”). Sì, anche Jannacci (Paolo) nel suo medley ha fatto pezzi più jazzistici, ma almeno non suoi. E comunque non è un caso che non appena ha iniziato a suonare le prime note di Com’è bella la città la platea è scoppiata in un applauso. Gli altri? Morgan per me è stata una bellissima sorpresa: arrivato col suo Mac (per leggere le parole?) è anche stato l’unico ad osare fare qualcosa fuori dal Teatro-Canzone, con una Non arrossire venuta davvero bene. Buffo tra l’altro come in tanti avessero un timbro di voce simile a quello di Gaber: oltre a Morgan anche Flavio Oreglio e Gioele Dix ogni tanto mi ricordavano il nostro. Eugenio Finardi no, lui è lui e non ci si può confondere.
Le presentazioni degli sponsorre sono state fortunatamente brevi, limitandosi a Escobar, Ombretta e il responsabile Telecom di cui non sono riuscito a capire il cognome; fortunatamente l’assessore alla cultura del comune di milano (tutto minuscolo) non ha pensato che l’evento meritasse la sua presenza. Nonostante questa rapidità, la serata, che è iniziata alle 21:25, è terminata ben dopo mezzanotte: alle 0:10, mentre veniva proiettato il video finale con Gaber che cantava La libertà, siamo scappati via per prendere la metropolitana verso casa. Una sola assenza mi è sembrata assordante: come mai non c’era Sandro Luporini?

Ultimo aggiornamento: 2016-10-29 18:59

Il giovane sbirro (libro)

[copertina] Premessa necessaria: io sono prevenuto. Di Biondillo leggerei anche la lista della spesa, perché il suo stile mi piace alla follia. Che dire allora di questa sua ultima opera? (Gianni Biondillo, Il giovane sbirro, Guanda 2007, pag. 343, € 16, ISBN 9788860880567) Secondo me, la formula dei vari racconti uniti da un filo logico è sicuramente vincente, e si vede che il risultato è migliore di Per sempre giovane che come scrissi era fondamentalmente un unico racconto allungato a formato di libro. E soprattutto abbiamo la possibilità di conoscere il passato dell’ispettore Ferraro, il che – per un autore che ha come programma quello di fare un affresco della periferia milanese – è sacrosanto.
L’analisi battistiana nelle pagine iniziali e finali è un bonus che ho apprezzato come chicca più o meno solo per me, e mi ha reso così felice da non imputare a Biondillo l’erroraccio che ha fatto affermando che le sabbiere sono dei tram della serie Peter Witt (sono precedenti ad esse – le vetture 1928 sono più lunghe di quelle che c’erano prima).

Ultimo aggiornamento: 2007-11-05 10:37

Giorni e nuvole (film)

[locandina] Beh, lo sapevo già prima di vederlo, dopo aver letto la recensione del mio critico cinematografico preferito. Però ero in debito di molti punti-moglie, quindi ieri sera mi sono accodato a vedere Giorni e nuvole. Siamo arrivati all’Anteo esattamente all’orario del presunto inizio e c’era una coda infinita al botteghino, ma fortunatamente per Anna aveva letto l’orario sbagliato e quindi non ci sono stati problemi, almeno per entrare :-)
Il vero guaio è che il film è una palla. Centosedici minuti di palla. Immagino che l’idea dovrebbe essere quella di raccontare la depressione di uno che rimane senza lavoro: beh, sicuramente è riuscito a deprimermi, anche se dopo i primi venti minuti mi sono fatto forza e sono rimasto bello tranquillo per non perdere tutti quei punti-moglie faticosamente accumulati. Non c’è un filo logico vero e proprio, ci sono delle scene (ad esempio quella con l’architetto Claudio) messe lì giusto per allungare il tempo ma senza un nesso con la storia, le crisi d’ira di Albanese sono assolutamente in momenti casuali… e poi come fa una coppia che si suppone genovese, e che sicuramente è sempre vissuta a Genova, ad avere una figlia come Alba Rohrwacher che parla in romanesco, manco dovesse recitare in CaraBBinieri o Distretto di PoliZZia? Ma doppiatela, almeno! L’unica parte relativamente interessante è stata quella dei lavoretti che Michele (il protagonista) faceva con i due suoi ex operai Vito e Luciano: davvero un po’ poco.
Note positive? Ad Anna è piaciuto :-)

Ultimo aggiornamento: 2007-11-03 15:21

_I misteri dei numeri_ (libro)

[copertina] Marc-Alain Ouaknin è un rabbino, che ha scritto libri davvero di tutti i tipi: da La lettura infinita: introduzione alla meditazione ebraica a Così giovane e già ebreo: umorismo yiddish. Non c’è insomma da stupirsi più di tanto se se n’è uscito con questo libro (Marc-Alain Ouaknin, I misteri dei numeri [Mystères des chiffres], Atlante 2005 [2005], pag. 383, € 28, ISBN 978-88-7455-014-2, trad. Francesca Scala). A me personalmente non è che sia piaciuto più di tanto; il testo è troppo spezzettato per i miei gusti, ed è pieno di ripetizioni anche a distanza di un paio di pagine. Quello che lo salva sono le illustrazioni, davvero piacevoli soprattutto nella parte storica dove racconta dell’evoluzione delle cifre, e tutto l’excursus sulla qabbalah – ve l’avevo detto che Ouaknin è un rabbino, vero? Il libro non richiede conoscenze matematiche, se non per accorgersi che alle pagine 252 e 253 il correttore di bozze si era addormentato e gli esponenti sono stati abbassati a volgari cifre, e può essere piacevole per storici e mistici. Ah: nell’elenco finale di matematici, le matematiche hanno un posto preminente.

Ultimo aggiornamento: 2007-10-31 09:21