Il mio amico Marco Renzi, giornalista da una vita attento al mondo del digitale, qualche giorno fa mi ha mandato questo suo testo riguardo alla conoscenza del digitale, che (parole sue) non è il «falso presente digitale che ci raccontano – meglio dire spacciano – le holding tecnologiche multimiliardarie interessate solo a detenere il controllo», ma «il passaggio epocale che ha reso il mondo un posto “calcolabile”.» Io concordo con quanto (anche se un po’ apocalittico) ha scritto Marco, soprattutto sulla parte delle “due conoscenze” che ripropone in chiave contemporanea il famigerato concetto delle due culture. Aggiungo però qualche mia considerazione personale.
Per prima cosa comincio col notare che non è che i nativi digitali siano poi così bravi anche nella conoscenza digitale: lo vedo con miei figli (ok, io sono un pioniere digitale quindi le cose le ho viste nascere e crescere, sono avvantaggiato). Loro sanno semplicemente usare le cose nel modo standard, e una qualunque deviazione li manda in tilt… più o meno come quello che succede a me se l’auto si pianta mentre sto guidando. In effetti la conoscenza (mia nel caso del funzionamento dell’automobile, dei nativi digitali per le app digitali) è puramente procedurale, e quindi di bassa qualità: serve una conoscenza almeno in parte metafisica ed epistemologica, e quindi sul perché e su come le cose funzionano.
Maurizio Codogno, [02/06/2025 13:25]
rileggendo il tuo post mi sono accorto che la prima volta avevo capito male la frase “ogni deviazione da questo percorso di conoscenza” e che tu intendevi “conoscenza del digitale” e non “il digitale ha un unico percorso dal quale non si può sgarrare” (il che è falso).
La difficoltà che io vedo nel dare una conoscenza del digitale è che essa non è “fare informatica”, cosa che comunque è utile di per sé, non foss’altro che perché se impari i rudimenti di programmazione hai a tua disposizione un percorso logico che ti aiuta anche altrove (forse anche più della matematica, almeno per i ragazzi). Secondo me conoscere il digitale significa capire come il digitale è diverso dall’analogico. La prima cosa che mi viene in mente è che nell’analogico tu hai automaticamente delle tolleranze, proprio perché hai un movimento continuo e non discreto; nel digitale invece lo sviluppatore deve prevedere a priori delle tolleranze. Esempio cretino: quando inserisci in un form il numero di carta di credito, il sistema, e quindi lo sviluppatore, deve fare in modo che se io digito degli spazi tra i gruppi di cifre è il software che deve toglierli, e non lamentarsi perché hai finito i 16 caratteri a disposizione. Peggio ancora con il codice fiscale: anche lì la conversione minuscolo-maiuscolo dev’essere qualcosa che fa il software, e in compenso non bisogna esagerare con il controllo sintattico di cifre e lettere, perché si rischia di non accettare codici modificati per omocodia. Ribadisco: per me la grande differenza tra analogico e digitale è che in quest’ultimo non puoi permetterti il minimo sbaglio. Insomma, per me la conoscenza del digitale è sapere che tu puoi simulare quanto vuoi il risultato ma devi essere certo che la simulazione sia corretta; spostandoci dallo sviluppatore all’utente, è sapere che la logica interna a un software è quella, e se non corrisponde a quello che vuoi fare tu allora devi cercare un modo per fregare il software. Questa è un’altra cosa che per noi pionieri digitali è una seconda natura, tra l’altro.
Il guaio è che non ho idea di come insegnare queste cose. Io le ho imparate sul campo, ma 40 anni fa la situazione era molto diversa. (E comunque io sono probabilmente borderline Asperger, quindi con il digitale ero favorito, proprio perché non dovevo preoccuparmi del non detto: tutto quello che serviva ce l’avevo davanti a me…) Voi avete qualche idea su come si possa farlo, sia per gli studenti che per gli adulti?