Occhei, il papa domani alla Sapienza non ci sarà, ma ormai il suo discorso l’aveva scritto, e quindi ha pensato bene di pubblicarlo, addirittura in anticipo in modo che potesse essere stampato e distribuito. Rep.it, apprezzabilmente, l’ha presentato integralmente. Ho come il sospetto che non saranno in tanti a parlare, quindi tanto vale lo faccia io, anche se per forza di cose (mie) un po’ rapidamente.
Il punto chiave di tutto il discorso è quasi all’inizio: «Nell’università “Sapienza”, l’antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale». Non posso dargli torto: il problema non è suo, ma del rettore Guarini che appunto non solo decide di invitare all’inaugurazione dell’anno accademico il vescovo locale (nulla di male), ma vuole anche che faccia una lectio magistrali.
Proseguendo, Ratzinger, seguendo John Rawls di cui io ovviamente non avevo mai sentito parlare, afferma che «Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale – la sapienza delle grandi tradizioni religiose – è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee». È un discorso un po’ sul filo del rasoio, anche se non ha affermato che la sapienza delle grandi tradizioni religiose è ipso facto una vera sapienza, ma semplicemente che bisogna tenerne conto. Notate che non ha parlato specificatamente della religione cristiana e della confessione cattolica :-)
Da qui passa, attraverso una citazione di Socrate che a me sembra piuttosto fuori tema, ad affermare che già i primi cristiani erano convinti che per la loro fede serviva anche la ragione, per potersi interrogare su Dio: direi un tema a lui caro. Personalmente però non sono affatto d’accordo con la successiva citazione di Agostino, che «ha affermato una reciprocità tra “scientia” e “tristitia”: il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste.». Si può discutere se la scienza fatta per sé stessa non sia una manifestazione di misantropia, ma da qua ad arrivare a dire che “è triste” ce ne va parecchio.
La lectio magistralis continua parlando della divisione quadripartita dell’università medievale, partendo dalla Medicina che pur essendo vista quasi come un’arte era però considerata avere della “ratio” al suo interno, e continuando con Giurisprudenza. Qui fa un lungo inciso, tornando al giorno d’oggi e parlando delle teorie sulla democrazia di Jurgen Habermas (lui almeno l’avevo già sentito nominare). L’accenno alla spiegazione della «forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti» secondo Habermas – non bastano le maggioranze aritmetiche, ma ci vorrebbe un purtroppo ben difficile da ottenere «processo di argomentazione sensibile alla verità» – è a mio parere molto bello, assolutamente generale, e quindi verrà accuratamente evitato da tutti i nostri politici.
Parlando di verità, ritorna poi all’università medievale e alle altre due facoltà, Filosofia e Teologia, che considera come «una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità.», ricordando come già san Tommaso d’Aquino [nota: Agostino non aveva il “san” davanti, Tommaso sì. Si vede subito a chi vanno le sue preferenze] affermasse l’autonomia della filosofia dalla teologia.
Il Papa reitera il suo punto: anche se «Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono.», comunque rivendica per la teologia il diritto di dare degli input alla filosofia, proprio perché parte da una conoscenza comune dell’umanità. Da qua in poi c’è il punto più debole di tutta la lectio, almeno a mio parere. Infatti, va bene dire che «Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi.» (notare il condizionale…) ma avrei qualche dubbio sul «il messaggio della fede cristiana [è] una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa». Questo implica infatti che non può esistere ragione senza fede (sì, lo so, un altro punto fermo del pensiero ratzingeriano), però mi sembra un’affermazione assolutamente indimostrabile.
Anche l’accenno successivo all’università moderna, dove le “nuove dimensioni del sapere” sono valorizzate soprattutto «nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia» e «nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso» fa molto arrabbiare il matematico che è in me e che si trova messo fuori gioco. Seriamente, la matematica (pura) non può proprio entrare nello schema indicato da Benedetto XVI, perché lo studio delle relazioni matematiche di per sé, e non quindi come modelli per quelle che lui chiama “scienze naturali”, richiede la ragione ma non ha assolutamente bisogno della sapienza delle religioni, grandi o piccole che siano. D’altra parte questa parte del discorso finisce con un’implicita ammissione di accerchiamento: «Detto dal punto di vista della struttura dell’università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande.».
Fortunatamente nella parte finale, dove ricorda che il papa «Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà», è più tranquillizzante. Non rompiamo lamentandoci per l’invito alla ragione «a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.». Come dicevo all’inizio, il rettore ha chiesto la lectio magistralis al Papa: è come lamentarsi per avere invitato Luca Cordero di Montezemolo alla riunione annuale di Ciclobby, e sentirlo terminare dicendo “la bicicletta è bellissima, e messa sul tetto della vostra automobile quando andrete in vacanza vi farà sentire più liberi”.
Occhei. Penso che ormai lo sappiate che io preferisco di gran lunga le discussioni filosofiche di Ratzinger al misticismo di Wojtyla, e so benissimo che i veri motivi per le contestazioni da parte di studenti e professori romani rimangono intatti: però devo dire che – pur non concordando in vari punti con quanto da lui detto nella sua lectio magistralis – l’ho trovata una lettura interessante.
Ultimo aggiornamento: 2008-01-16 23:51