Un allora giovanissimo Bruno D’Amore aveva inaugurato la collana “Lineamenti propedeutici di matematica” di Zanichelli con questo volumetto sull’algebra che comincia praticamente in medias res, con la definizione di un monomio. Devo dire che mi sono molto divertito a vedere come D’Amore aveva preso per le corna definizioni e teoremi, con una particolare attenzione agli esempi fuori norma che naturalmente sono quelli che permettono meglio di farsi una vera idea di quello che succede in pratica. Le uniche sezioni che ho trovato un po’ pesanti sono le ultime della seconda parte, sui sistemi di equazioni e la loro risoluzione: non ci ho visto nulla di diverso da quanto si trovava sui libri di testo liceali del periodo, come lo Zwirner. Il libretto resta però in genere godibile, e dà un’idea di come poi lo stile di D’Amore si sia evoluto con gli anni.
(Bruno D’Amore, Algebra, Zanichelli 1976, pag. 139)
Visto il successo che la collana Matematica Moderna ebbe negli anni ’60 del XX secolo, e anche all’inizio degli anni ’70, Zanichelli commissionò ad alcuni giovani autori italiani testi che nelle intenzioni dell’editore sarebbero dovuti servire ai giovani universitari che si ritrovavano a studiare cose non solo mai viste ma anche spiegate in modo completamente diverso. La collana, “Lineamenti propedeutici di matematica”, era diretta dall’allora giovanissimo Bruno D’Amore e doveva appunto fare da ponte per questi studenti e tutti i curiosi della materia. Beh, con questo libretto direi che non ci sono riusciti. Nonostante i tanti esempi, la parte iniziale del testo di Alberta De Flora risulterà del tutto incomprensibile a chiunque non sappia già ciò di cui si sta parlando; la seconda parte, quella sulle nozioni di base di analisi, è un po’ migliore: ma anche in questo caso mi sembra più che altro di leggere un testo universitario del prim’anno, solo senza buona parte delle dimostrazioni. Non faccio fatica a capire perché la collana pare essersi estinta con i primi tre libri.
Questo libretto ha la mia età, e lo si sente anche nella traduzione piuttosto arcaica di Luigi Maracchini. Quello che ho trovato interessante è stato il tipo di approccio di Ore, che presenta la teoria e i suoi sviluppi in modo molto più legato agli esempi pratici di quanto si faccia al giorno d’oggi. Il lettore insomma può vedere che alcuni teoremi fondamentali non nascono per caso ma arrivano in modo naturale. Il capitolo 7 sulla dualità della teoria dei grafi con quella sulle relazioni è stato per me illuminante; molto interessante, pur se piuttosto compressa, la dimostrazione che cinque colori bastano per colorare una mappa, unita al motivo per cui un approccio di quel tipo non è sufficiente per dimostrare il teorema dei quattro colori (che all’epoca della pubblicazione del libro non era ancora stato dimostrato).
Leggendo questo libretto si vede facilmente il passare del tempo: sia nella traduzione di Maria Spoglianti che risente dei quasi sessant’anni – chi scriverebbe ancora “dicesi” per cominciare una definizione? – sia per la gestione dei vari insiemi di numeri, che stranamente lascia da parte le costruzioni di Dedekind e accenna ai risultati di Cantor solo in modo per così dire quantitativo. Dal punto di vista prettamente matematico, direi che la parte migliore è quella dove viene dimostrata l’esistenza di numeri trascendenti con i teoremi sulle approssimazioni sfruttati da Liouville, anche se a questo punto mi sarei aspettato qualcosa sulle frazioni continue.
Che dire di questo estratto dalle “Memorie dalla casa dei morti”, parte di una collana (“Nativitas”) di libriccini appunto natalizi e che non esiste nemmeno più in edizione cartacea? Mah. La prosa di Dostoevskij è indubbiamente favolosa, e ben resa dalla traduzione di Alessandro Niero: sembra proprio di essere lì in quella “prigione” – il termine è piuttosto diverso da quello che pensiamo – e osservare i detenuti nei loro preparativi per la festa di Natale e nel rapido ritorno allo stato abituale. Però mi resta il sospetto che l’operazione non abbia molto senso: si direbbe più un testo da antologia che un libro vero e proprio.
Riedizione digitale del Corso di sopravvivenza del 1998, questo libro è probabilmente un po’ datato ma secondo me ancora valido per due ragioni principali. La prima è che, anche se i numeri in esso presenti sarebbero da aggiornare, i concetti restano gli stessi e comprenderli serve ad accorgersi meglio di quello che facciamo tutti i giorni; la seconda è che l’ultima parte. quella sui giochi di azzardo, è fondamentale per aprirci gli occhi anche su giochi di cui non si sente mai parlare in opere come questa. Diciamocelo: manuali sul poker se ne trovano a bizzeffe. Ma avete mai visto un’analisi del sette e mezzo? La coppia Bersani-Peres è come sempre affiatata, anche se non è difficile intuire quali sono gli incisi del primo e del secondo.
Vi è mai venuto in mente cosa può fare un professore di ginnastica se è costretto a fare didattica a distanza? Beh, in realtà sono decenni che non si parla né di “ginnastica” né di “educazione fisica” ma di scienze motorie, e nel programma ci sono anche parti di teoria; quindi non è proprio necessario fare esercizi a corpo libero su Zoom. Se poi il professore in questione non solo è bravo a raccontare le cose ma è anche impegnato per i diritti umani, tanto che è stato anche presidente di Amnesty International Italia, il risultato è questo bellisimo libro, che racconta storie – liete e tristi, come del resto tutta la vita – di atleti che non solo hanno scritto pagine nella storia dello sport ma soprattutto hanno mostrato come non si può assolutamente pensare che lo sport sia separato da tutto ciò che ci circonda, e anzi può aiutare a cambiare il mondo. Tanto per dire, finché De Coubertin fu a capo del Comitato Olimpico Internazionale si oppose fermamente a che le donne potessero gareggiare alle Olimpiadi, e ci vollero ancora tanti altri decenni perché certe gare fossero anche fatte fare a loro.