[Disclaimer: Ho ricevuto il libro grazie al programma Early Reviewer di LibraryThing]
Come forse sapete, Writers of the Future è un concorso sotto il nome di Ron Hubbard (che prima di fondare Scientology era uno scrittore di fantascienza…) per i migliori racconti SF e fantasy che ormai ha quasi quarant’anni di storia. Come sempre, trovo i racconti di livello molto diverso: ecco due righe per ciascuno di essi. Non giudico gli illustratori (che hanno vinto anch’essi un concorso)
◆ Kitsune, di Devon Bohm – la storia sembra una scusa per parlare di altro. Citando dall’introduzione del racconto, «What this story really is,” Bohm says, “is a feminist text that’s using an extended and surreal metaphor to help the reader reflect on particular experiences within the human condition.» 2/5
◆ Moonlight and Funk, di Marianne Connolly – racconto carino e poetico su un tipo di amore non proprio standard. 5/5
◆ Death and the Taxman, di David Hankins – nella parte centrale l’autore vuole essere divertente a tutti i costi e non ci riesce; ma in generale è un buon racconto. 4/5
◆ Under My Cypresses, di Jason Palmatier – credo di aver capito il punto del racconto, ma molto a fatica perché non è ben sviluppato. 3/5
◆ Circulate, di Ron Hubbard – Un suggerimento (buono, tra l’altro) di Hubbard per quando si ha il blocco dello scrittore. 4/5
◆ The Unwilling Hero, di Ron Hubbard – Leggendolo, a un certo punto si capisce cosa sarebbe diventato Hubbard. 4/5
◆ White Elephant, di David K. Henrickson – Umoristico, ben costruito, e con un finale inaspettato. 5/5
◆ Piracy for Beginners, di Jennifer Johnson – Una buona vecchia space opera. 4/5
◆ Prioritize to Increase Your Writing, di Kristine Kathryn Rusch – Non capisco perché tra i racconti debbano trovarsi questi interludi (a parte ovviamente quelli di Hubbard…) – n/a
◆ Fire in the Hole, di WordFire, Inc. – troppi cliché per essere interessante. 3/5
◆ A Trickle in History, di Elaine Cohen – come far sì che gli ultimi ebrei non siano gli ultimi, quando ammazzare Hitler sembra essere vietato dalle leggi temporali. Idea e realizzazione carine. 5/5
◆ The Withering Sky, di Harry Manners – buon ritmo, ma la trama non funziona. Finito di leggerlo, ti chiedi “e perché è capitato tutto questo?” 3/5
◆ The Fall of Crodendra M, di Dustin Adams – la parte centrale è interessante, ma inizio e fine sono deboli e non riescono a tenere la storia in piedi. Mischiare i wormhole e l’onnipresente copertura mediatica non è stata una grande idea. 3/5
◆ Constant Never, di S. M. Stirling – Il finale è interessante, ma la storia non mi ha detto nulla. 2/5
◆ The Children of Desolation, di Spencer Sekulin – racconto postapocalittico, parte lento ma si riprende bene. 4/5
◆ Timelines and Bloodlines, di Laurance Davis – buon modo, anche un po’ umoristico, per gestire i paradossi temporali. 5/5
◆ The Last History, di Samuel Parr – In genere non amo il fantasy, ma questo mondo che ricorda un po’ l’impero cinese è raffigurato molto bene. 4/5
(AA.VV., Writers of the Future Volume 39], Galaxy Press 2023, pag. 513, € 6.54, ISBN 9781619867659 )
Voto: 4/5
Una cosa bisogna dirla subito: Kitazawa è un creatore di giochi sopraffino. Tipicamente questi libri riciclano materiale composto da altri, al più riproponendolo in una forma un po’ diversa: i giochi di questo libro sono invece tutti creati da lui. Anzi, le tipologie stesse di giochi, qui raccolte per capitoli, sono spesso sue ideazioni!
Il mio amore per i Beatles nasce il giorno di Capodanno 1972, quando Yellow Submarine venne trasmesso per la prima volta in Rai. Più precisamente, nasce alla visione (e all’ascolto) di Eleanor Rigby. Lo so, i Beatles c’entrano poco con i disegni del film: ma non importa. Questo volume ridisegna sulla carta il film. Il mezzo è diverso, e quindi anche le scelte grafiche lo sono, senza contare che la colonna sonora manca; ma la magia resta, e sono tornato bambino nel gustarmi le tavole… oltre ad aver finalmente capito qualche gioco di parole che mi ero perso anche quando da adulto avevo rivisto il film in lingua originale. Consigliatissimo.
Il Medioevo in Europa è stato un periodo buio soprattutto per la matematica. Già non è che i romani fossero così interessati, a differenza di greci ed ellenisti; ma poi quel poco di cultura che si era conservata nei monasteri prediligeva le arti liberali, nonostante il quadrivio comprendesse aritmetica, astronomia, geometria e musica. In questo libro Ausiello traccia la storia di quasi un millennio, con il lento riapparire prima delle scuole religiose e poi dell’insegnamento privato dei maestri d’abaco, a partire naturalmente da Fibonacci. La prima parte, quella degli algoritmi, è forse la più debole del libro, anche per la difficoltà di trovare materiale sufficiente; molto più completa la trattazione di quanto fecero i monaci prima e i mercanti poi, prima che si arrivasse all’Umanesimo e al Rinascimento e la cultura prendesse tutta un’altra strada… ma questa è appunto una storia diversa.
Il titolo italiano del libro non va bene: meglio quello originale, The Clock Mirage, ma forse sarebbe stato meglio ancora meglio qualcosa tipo “appunti sparsi sul tempo”. Una delle cose che almeno a mio parere manca nel testo è appunto un fil rouge che ci guidi nel vedere le varie sfaccettature del concetto di tempo nella storia. Né aiutano gli intermezzi personali (anche poesie!) di Mazur: io almeno sono rimasto piuttosto spiazzato. Diciamo che il testo si può leggere, ma poteva essere meglio. La traduzione di Giovanni Malafarina è standard.
In questi mesi si può visitare al Museo del Novecento (oltre a una parte gratuita a Palazzo Morando più legata alla moda) la
Andrea Monti è un amico della generazione di internettari della prima ora, quando a usare la rete eravamo pochissimi – non c’erano ancora i grandi provider – e pensavamo che sazrebbe stata una cosa bellissima e utilissima. Sono passati trent’anni e le speranze di allora sono tristemente morte: ma forse non potevamo aspettarci che un’isola elitaria come quella di un tempo sarebbe sopravvissuta all’arrivo in massa di chi voleva fare i soldi, le Big Tech.
A giudicare dalle recensioni in rete, il fatto che con questo libro Joshua Cohen ha vinto il Pulitzer 2022 ha fatto rosicare tanta gente. Non c’è dubbio, è un testo politicamente molto pesante e decisamente schierato. Sì, come spiegato nel capitolo finale il libro è liberamente (molto liberamente, mi sa…) ispirato a un aneddoto che Harold Bloom raccontò a Cohen poco tempo prima di morire. Sì, la famiglia Netanyahu non ci fa certo una bella figura: non tanto Bibi quanto padre madre e fratello maggiore, l’eroe ucciso a Entebbe. Ma la storia reggerebbe anche se la famiglia in questione si fosse chiamata chessò Friedman. Come sempre, Cohen mette tanta, tanta roba nel suo libro, dalle scenette di una famiglia ebrea anche se non molto osservante ai discorsi politici sulla diaspora e la nascita dello stato di Israele visti dall’estrema destra, dalla vita nel 1950 in una cittadina universitaria di Upstate New York ai primi segni del consumismo che sarebbe arrivato. Rispetto alle sue opere precedenti però il testo scorre molto più omogeneo, e il lettore non fa fatica a passare dalle risate amare sul direttore di dipartimento ai tentativi della figlia Judy di convincere i genitori a farle rifare il naso. Io mi sono divertito a leggerlo, nella come al solito ottima traduzione di Claudia Durastant, e ho imparato un po’ di cose nuove, che in un’opera di narrativa non è certo scontato.