Archivi categoria: recensioni

Platone e l’ornitorinco (libro)

[copertina] Il sottotitolo di questo libro (Thomas Cathcart e Daniel Klein, Platone e l’ornitorinco [Plato and a Platypus Walk Into a Bar], Rizzoli 2007 [2007], pag. 192, € 12, ISBN 978-88-17-01954-5, trad. Chicca Galli) è “Le barzellette che spiegano la filosofia”. Anzi, le barzellete, come scrive la pagina interna dove si riprende il titolo – e penso che l’editor Rizzoli stia ancora battendo la tesa contro il muro. A parte il refuso, l’idea del libro è davvero azzeccata: fare un bignami della filosofia accompagnandolo con barzellette che riprendono i temi trattati dai grandi pensatori. Non è affatto un’idea peregrina come potrebbe sembrare a prima vista: tutt’altro. In fin dei conti la barzelletta – a meno che non sia “sporca” e voglia solleticare l’ipocrisia dell’ascoltatore – nasce dallo stravolgimento di quello che dovrebbe essere il “modo normale” di vedere le cose, e quindi è un ottimo banco di prova per rivedere i vari temi. Al limite uno si potrebbe lamentare che molte delle barzellette sono ben note: ma visto che questo è un libro di filosofia, il problema non si pone. Ottima anche la traduzione, che ha mantenuto lo stile scoppiettante che immagino l’originale abbia.
(ah, il libro è un regalo suo per il mio compleanno)

Ultimo aggiornamento: 2008-06-02 07:58

Storia linguistica dell’Italia unita (libro)

[copertina] Premetto che io ho letto la quarta edizione del libro (Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Laterza “Manuali – 16” 19914, pag. 573, €32, ISBN 978-88-420-3742-2), datata 1991, e non la quinta del 2005 che potrebbe essere diversa, anche se il fatto che sia stato usato lo stesso ISBN mi fa pensare al più all’aggiunta di un’appendice. Nonostante il tema mi interessasse, ho fatto molta fatica a terminare il libro. La prima edizione del libro è del 1963, immagino un ampliamento della tesi di laurea del De Mauro, e lo si sente. La prosa è infatti pesante, e troppo accademica, dando per scontate una serie di nozioni linguistiche che non sono proprio da tutti, a parte i vezzi come usare l’abbreviazione “scil.” che non è nemmeno presente nel Dizionario De Mauro (per i curiosoni, sta per scilicet, “vale a dire”, “cioè”). È un peccato, perché le idee presentate sono interessanti e spesso opposte a quello che si pensa: ad esempio, già nei primi anni ’60 ci si lamentava per la barbarizzazione dell’italiano (a opera del francese soprattutto, che al tempo era conosciuto quasi dal triplo di persone rispetto all’inglese), e le interazioni tra italiano e dialetti sono molto maggiori di quelle tra italiano e fiorentino dell’Ottocento, nonostante gli sforzi del Manzoni in proposito. Un’ultima nota storica. Nel 1963 la linguistica computazionale era in fasce; per avere un’idea delle modifiche nello stile e nell’uso, non si poteva dare in pasto a un elaboratore tutto il testo di un libro; allora si pigliavano le prime frasi a pagina 1, 11, 21, 31… sperando fossero sufficientemente rappresentative. Non so voi, ma io ho avuto un moto di simpatia al pensiero della fatica necessaria!

Ultimo aggiornamento: 2008-05-19 11:49

La musica del vuoto (libro)

[copertina] Frank Wilczek sicuramente non è l’ultimo arrivato, visto che nel 2004 è stato uno degli assegnatari del Nobel per la fisica, per la teoria della “libertà asintotica nella cromodinamica quantistica”. Scopo di questo libro-chiacchierata (Frank Wilczek, La musica del vuoto, Di Renzo “I dialoghi – Scienza” 2007, pag. 89, €12, ISBN 9788883231643) dovrebbe appunto essere la spiegazione in termini relativamente comprensibili di questa teoria, che spiega l’impossibilità di vedere un quark isolato e unifica la gravità con le altre forze fondamentali (elettromagnetismo e interazione forte e debole). Purtroppo il libro mi è sembrato un po’ confuso, e in pratica richiede conoscenze di base non affatto banali per riuscire a seguirlo; un po’ un controsenso, dato lo scopo professato dalla collana (cito: “l’autore che, stimolato dalle nostre domande […] sviluppa chiaramente la materia oggetto della sua ricerca”). L’altra cosa che non mi è piaciuta molto è il modo in cui Wilczek ha una fiducia assoluta nella sua teoria della libertà asintotica che è un po’ l’equivalente di creare un modello di dinosauro partendo da un frammento di un osso trovato a migliaia di chilometri dall’habitat presunto del dinosauro.
Direi che la parte più “amarcord” del libro bilancia almeno in parte questi difetti, e lo rende una lettura interessante anche per chi ha paura non solo delle formule ma anche del concetto stesso di “spiegazione scientifica”.

Ultimo aggiornamento: 2008-05-14 11:12

L’orizzonte verticale (libro)

[copertina] Penso che siano ben poche le persone che non abbiano mai risolto un cruciverba. Molti hanno anche provato a crearlo, un cruciverba. Ma se uno avesse dovuto parlare del cruciverba, si sarebbe trovato a mal partito, almeno prima che Stefano Bartezzaghi pubblicasse questa sua opera monumentale (Stefano Bartezzaghi, L’orizzonte verticale, Einaudi “Saggi – 891” 2007, pag. 382, €24, ISBN 9788806153830). La prima sezione, “orizzontale”, del libro narra la storia delle parole crociate, e la sua diversificazione negli USA, in Gran Bretagna, in Francia e in Italia, con la Settimana Enigmistica che naturalmente fa la parte del leone. Nella seconda parte “verticale” il cruciverba viene messo in relazione agli altri giochi con le parole, nella migliore tradizione di Bartezzaghi. Nell’appendice al libro c’è anche un ricordo, forse troppo limitato, del “P.”: Piero Bartezzaghi, il padre di Stefano, la persona che per le generazioni fino alla mia è il sinonimo di “empireo del cruciverba”. Occhei, se volete Stefano aveva un vantaggio competitivo su questo tema, ma garantisco che l’ha svolto superlativamente!

Ultimo aggiornamento: 2008-05-13 07:10

_Breve storia di (quasi) tutto_ (libro)

[copertina] Bisogna sempre darsi degli orizzonti ampi. E non si può dire che il giornalista Bill Bryson non se li sia dati. Una volta che decise di voler sapere (quasi) tutto sul nostro pianeta, si è imbarcato in una ricerca che l’ha portato a scrivere questo librone (Bill Bryson, Breve storia di (quasi) tutto [A Short History of Nearly Everything], Tea 2008 [2003], pag. 589, € 9, ISBN 9788850215492, trad. Mario Fillioley) che spazia dalla fisica alla cosmologia alla geologia all’evoluzione per vedere come siamo potuti arrivare ad esistere. Lo stile è forse un po’ troppo americano per i miei gusti, quando ad esempio comincia a dire degli esperti che ha incontrato descrivendoli fisicamente, e soprattutto verso il fondo mi pare che l’editing non sia stato dei migliori, con frasi riscritte quasi uguali a distanza di alcune righe: il traduttore ha opportunamente consultato molti esperti ma si è poi dimenticato di spiegare che i trilioni e quadrilioni sono da intendersi all’americana. Ma complessivamente il libro è scritto in maniera davvero accattivante, e i pettegolezzi su come sono state fatte le varie scoperte scientifiche – comprese quelle che oggi crediamo vere ma non lo sono affatto – permettono di capire come le scoperte scientifiche sono sempre frutto di più idee e come non sia detto che il nome che noi associamo a una scoperta sia quello della persona che l’ha fatta davvero. Una lettura che vale la pena.

Ultimo aggiornamento: 2017-01-14 12:45

Torno sui miei passi (canzone)

Scheda:
autori: Beretta-Del Prete – Celentano
anno: 1967
edizione: Clan Celentano
tonalità: la maggiore
tempo: 4/4
struttura: Intro – Ritornello – Strofa – Strofa – Middle8 – Strofa – Ritornello – Strum. – Middle8 – Strofa – Ritornello
Non penserete mica che Adriano Celentano abbia iniziato a fare il predicatore con gli show televisivi del terzo millennio, vero? Macché! Già a metà degli anni ’60 alcuni dei suoi brani erano già contro quello che non gli piaceva, che in genere era tutto cio che non era fatto come lui avrebbe voluto. Torno sui miei passi è del 1967, ed uscì come lato B di La coppia più bella del mondo. Il testo è dei fidi Luciano Beretta e Miki Del Prete; la musica è del nostro Molleggiato, e in effetti si vede la differenza nella varietà – meglio, nella mancanza di varietà – degli accordi rispetto a quanto Paolo Conte aveva composto per l’altra faccia del 45 giri. D’altra parte, il brano è divertente sia nel testo che nella melodia, con il suo rifiuto di accettare il beat e la scelta di ” tornare sui suoi passi”, vale a dire fare rock. Peccato che poi abbia smesso…
Struttura armonica
Intro

      |La  |   |   |   |Mi7  |   |   |   |
La:    I                V

A dirla tutta, l’introduzione, più che un rock, a me ricorda i brani orchestrali dei primi anni ’50, probabilmente a causa dello stile orchestrale con una frase molto breve. Le otto battute dell’introduzione terminano con una cadenza che secondo me non c’entra un tubo con l’arrangiamento orchestrale dietro, né con il prosieguo del pezzo… ma tant’è. In effetti anche al termine del brano, dopo l’ultima ripetizione del ritornello, viene suonato un accordo di la6/9 che è una classica chiusa rock, ma di nuovo stona con il resto dell’arrangiamento. Chissà come mai c’è stata una scelta simile
Ritornello

      |La  |    |    |    |Mi  |    |(La)  |    |
La:    I                   V         (I)

Il ritornello è cantato da un coro, e la ripetizione della parola iniziale di ogni strofa (“Passano, passano… Cambiano, cambiano… Nascono, nascono…”) dà come l’idea che i nostri coristi siano lì a minacciare con il dito puntato il nostro Molleggiato. Sono anche disposto a perdonare l’evidente affronto alle leggi della musicalità perpetrato sballando tutti gli accenti tonici, per la risposta seguente di Celentano (“Come farò a stare a galla non so”), cantata mentre tutti gli strumenti tacciono di colpo. Musicalmente, le otto battute rafforzano ancora più la tonalità, con un passaggio I-V-I (quest’ultima solo teorica, visto che gli strumenti appunto non suonano). Notate come fino a questo momento gli accordi usati nella canzone sono solamente due.
Strofa

       |La  |    |    |    |Re7  |    |La   |    |Mi7 |    |(La)  |    |
La:     I                   IV          I          V          (I)

La strofa, dove Celentano esprime il suo manifesto rocchettaro, musicalmente è un classico twelve-bar blues. Presente Rock Around the Clock? Ecco, è esattamente la stessa cosa. Quattro battute sulla tonica, due sulla sottodominante (nella variante con l’accordo di settima minore, quello che dà una dissonanza blues: nel nostro caso il do naturale del re7 cozza con il do diesis nella tonalità di la maggiore), due di nuovo sulla tonica, due sulla dominante e le ultime due sulla tonica. A dire il vero, queste ultime due battute sono cantate senza accompagnamento, come le ultime due del ritornello, e in effetti c’è la stessa frase musicale che così fa da collante al brano. L’altro collante, se si vuole, è dato dall’accentazione musicale sempre separata da quella tonica: fortunatamente “rock’n’roll” e “beat” sono parole tronche, ma pas-SI e stra-DA sono indubbiamente accentate sull’ultima sillaba. L’intermezzo strumentale è simile alla strofa, ma rimane fermo sull’accordo di mi7 nelle ultime quattro battute; d’altra parte, essendo un intermezzo non c’è nulla di male a non farlo terminare sulla tonica.
Middle8

       |Do#7  |    |Fa#7    |    |Si7  |    |Mi7  |    |
La:     III          VI           II          V

Sempre per restare in tema di assoluta aderenza agli schemi classici, il Middle8 è composto di… otto battute. Esse formano un’unica frase, con un continuo giro di quinte discendenti; in pratica il classico concetto di cadenza V-I è portato all’estremo, visto che partiamo dalla “quinta della quinta della quinta della quinta della tonica” e man mano togliamo una matrioska. Questo trucchetto non è certo nato con Celentano: per fare un esempio beatlesiano, Cry for a Shadow usa lo stesso giochetto (come? non conoscete Cry for a Shadow? Beh, non è così strano visto che è stata incisa nel 1961 mentre i Beatles suonavano come session men del famosissimo Tony Sheridan). In Italia posso ad esempio citare la parte finale della strofa di Sotto questo sole di Francesco Baccini (“prendi la bici, andiamo, dai, si va…”) oppure il middle 8 di Bimba se sapessi di Sergio Caputo (“È sempre più difficile tirare avanti questo show…”).
Una struttura di questo tipo crea inevitabilmente un’aspettativa, che è poi rinforzata dal testo con le triplici ripetizioni delle parole chiavi (guardati, levati: sempre con doppio accento musicale sulla prima e sull’ultima sillaba), e soprattutto dal terzinato finale, un altro vecchio trucco per creare un’aria di attesa al termine di una struttura musicale.
Due parole finali
Come avete visto da questa analisi, non possiamo certo dire che la canzone fosse una novità rivoluzionaria nemmeno quarant’anni fa quando è stata incisa: rigidamente ancorata ai cliché del rock, e con un testo che faceva già presagire in nuce la svolta predicamentale di Celentano. Però non mi vergogno a dire che a me piace. Fosse per me, cambierei un po’ introduzione e chiusura, ma per il resto me la tengo stretta: forse perché a differenza del nostro, io la sento quasi come una presa in giro.

Ultimo aggiornamento: 2008-05-04 12:30

L’algoritmo del parcheggio (libro)

[copertina] (se vuoi una mia recensione più seria di questo libro, va’ su Galileo!) Un aneddoto. Nel 1982, quando ero una matricola a matematica, un dottorando faceva le esercitazioni di Analisi 1: noi gli appioppammo un tormentone a partire da una frase che pronunciò una volta, “ma sotto sotto… c’è una sottosottosuccessione”. Il dottorando di allora, dopo essere stato Rettore dell’Università di Udine, anzi “Magnifico” come lo chiamava la Littizzetto durante Chetempochefa, oggi di Udine è il sindaco. Parlo naturalmente di Furio Honsell, che ha pensato bene di scrivere un libro (Furio Honsell, L’algoritmo del parcheggio, Mondadori 2007, pag. 199, € 15, ISBN 9788804567257) pensato per i tanti signori Io Che Sononegatoperlamatematica, in breve I.C.S.
L’idea è ottima, il titolo perfetto, e anche il testo ha degli spunti interessanti, sia come leggibilità o per meglio dire lievità che da un punto di vista didattico. Ad esempio trovo molto chiara la spiegazione di come prima di dare una risposta occorra fare la domanda giusta: nell’algoritmo del parcheggio che dà il titolo al libro si può chiedere se l’algoritmo migliore sia quello che massimizzi la probabilità di trovare il parcheggio migliore (ma ci faccia rischiare di trovarne uno proprio pessimo) o quello che ci faccia parcheggiare meglio in media, rinunciando a puntare alla perfezione. D’altra parte ci sono anche molte pecche, guardandolo dal punto di vista del signor I.C.S. (il libro non è né vuole essere per chi la matematica l’ama già!). Molte volte i risultati sono solamente indicati senza non dico una dimostrazione ma nemmeno un’idea di come arrivarci, e potrebbero portare l’ignaro lettore a credere che la matematica funzioni più che altro per magia. Inoltre la scelta di non mettere formule è accettabile, ma quella di evitare le figure un po’ meno. I disegni di Bruno Bozzetto sono carini, ma sono ovviamente umoristici e non aiutano a capire…
In definitiva, può comunque essere un libro utile per avvicinare un po’ di persone e fare in modo che non abbiano più tutta quella paura per la matematica, ma forse è un’occasione un po’ sprecata.

Ultimo aggiornamento: 2008-04-29 08:30

Dizionarietto di parole del futuro (libro)

[copertina] Questo libretto (Tullio De Mauro, Dizionarietto di parole del futuro, Laterza (Universale 867) 2006, pag. 127, € 10, ISBN 978-88-420-8141-8) è la raccolta della rubrica tenuta da De Mauro su Internazionale che ogni settimana presenta in circa mille caratteri (meno di mezza cartella, meno di questa recensione) una parola “incipiente”: un termine cioè che non è ancora un neologismo, perché nei vocabolari non risulta ancora. Le parole non sono necessariamente italiane, e De Mauro ne traccia generalmente l’uso nelle principali lingue europee proprio per vedere la storia della loro diffusione. Alcune sono probabilmente note a chi mi sta leggendo, per esempio internettaro o sudoku; altre erano a me completamente ignote, come oseltamivir (un farmaco antinfluenzale, o meglio la molecola del principio attivo). Nonostante lo spazio ridotto dedicato a ogni lemma, cosa tra l’altro ideale per chi vuole centellinarsi il libro, De Mauro trova spesso il modo di fare un commento anche politico – in senso lato – relativo al termine. Quello che mi ha stupito di più sta in una nota nell’appendice, Dove nascono i neologismi?, appendice che dopo un bell’inizio mi ha però un po’ deluso finendo con una lista tassonomica. La parola latina “omissis” è usata praticamente solo in Italia, il che la dice lunga su come le parole abbiano bisogno di un humus specifico per prosperare. In generale, comunque, la lettura è piacevole.

Ultimo aggiornamento: 2008-04-27 10:32