Alain Badiou è un filosofo (e altro…) francese che, rifacendosi a una tradizione millenaria, ritiene che la matematica sia un’ottima base per la filosofia e quindi si lamenta dei “nuovi filosofi” che passano più che altro il tempo a parlare nei talk show: malvezzo che a quanto pare non è solo italiano. In questo libretto, pungolato da Gilles Haéri che gli ha fatto una lunga intervista, racconta perché a suo parere la matematica è importante: in due parole perché lo sviluppo della filosofia scaturisce da un insieme di “verità” in quatto aree distinte (scienza, arte, politica e amore) e la matematica permette di avere queste “verità” autonomamente. Così, dopo altre due interviste sull’elogio dell’amore e del teatro, Badiou ha calorosamente acconsentito a parlare anche della matematica.
Premesso che io e la filosofia non siamo mai andati troppo d’accordo, ho trovato davvero pesante la traduzione di Marcello Losito (che ha anche aggiunto un saggio finale), a partire dal titolo con quel plurale (“Elogio delle matematiche“) che in italiano non ha nessun senso, a differenza dell’inglese e appunto del francese che recuperano la tradizione greca. È un peccato, perché i temi trattati sono interessanti, proprio perché visti da qualcuno che matematica l’ha studiata ma matematico non è. (Ah, a pagina 39 c’è scritto “Il successore di n si può scrivere n+1/1″. Scritto così è tecnicamente corretto ma logicamente sbagliato nel contesto: sono andato a cercare l’originale francese dove era ovviamente scritto in modo che si capisse che era (n+1)/1…)
(Alain Badiou, Elogio delle matematiche [Éloge des mathématiques], Mimesis 2017 [2015], pag. 86, € 10, ISBN 9788857539683, trad. Marcello Losito – se acquistate il libro dal link qualche centesimo va a me)
Voto: 3/5

Comincio subito con un disclaimer: conosco Alberto da tanti anni, e prima di lui conoscevo suo padre, visto che lavoravamo entrambi in Cselt (oltre che essere entrambi matematici in un posto dove gli ingegneri la facevano da padroni). Ma indipendentemente da questo, non ho nessuna remora a consigliarvi di leggere questo libro, soprattutto se siete rimasti scioccati dall’esistenza delle geometrie non euclidee. Il bello è che la spiegazione di come sono nate queste geometrie è solo l’inizio di un viaggio che ci porta a capire come il concetto di geometria per un matematico moderno e contemporaneo è molto diverso da quello che abbiamo studiato a scuola. Per esempio, non è solo il quinto postulato di Euclide che è caduto, ma proprio il concetto stesso di geometria, che con il progreamma di Erlangen diventa lo studio delle trasformazioni che rendono equivalenti alcuni tipi di figure, e la stessa definizione assiomatica di Euclide. David Hilbert si è accorto che i cinque postulati di Euclide, anche aggiungendo quelle che lui chiamò nozioni comuni perché non erano solamente legate alla geometria, non bastavano, e creò un sistema di ben 21 assiomi, che per esempio permette di capire come sia possibile costruire una geometria che rispetti i cinque postulati euclidei ma non il postulato di Playfair che afferma che per un punto esterno a una retta passa una e una sola parallela a quella retta. (No, non vi spiego il trucco; in compenso posso dirvi che il libro di testo di mia figlia in prima liceo artistico enuncia tutti gli assiomi di Hilbert anziché quelli euclidei, ma in un modo incomprensibile per chi non sa già di che cosa si parli. Le cose non sono mai così facili come sembra). Ma ci sono anche altri modelli di assiomi, come quello di Birkhoff, che sono più spartani perché sfruttano le proprietà dei numeri reali.
Sono andato a recuperare in biblioteca questo vecchio testo di Giuseppe O. Longo, dopo aver scoperto che non c’è molto materiale in italiano sulla teoria dell’informazione. (Non ce n’è moltissimo nemmeno in inglese, a dire il vero… peccato). Devo dire che si sente l’approccio pesante di un testo che ha più di quarant’anni: ma nonostante tutto credo che il libro potrebbe ancora dire qualcosa, ammesso che lo si trovi. Ogni tanto Longo spiega il perché delle cose che sta facendo, e questo è bello; la trattazione non è solo manualistica, ma ci sono anche temi che all’epoca erano di frontiera, visto che Longo si occupava proprio di quello; infine, la bibliografia ragionata alla fine di ogni capitolo aiuta ad avere uno sguardo più generale su come si è sviluppato il tema. Può insomma valere la pena di darci almeno una scorsa.
Sono contento che Codice abbia deciso di tradurre questo saggio di Paul Lockart (e sono contento che l’abbia fatto tradurre a Daniele Gewurz, di cui mi fido ad occhi chiusi). Il libro parla davvero dell’aritmetica di base, nulla di più. Però Lockhart è uno di quei rari insegnanti a cui non importa nulla che gli studenti imparino a memoria le tabelline e magari facciano le gare di rapidità: sa benissimo che toglie tutto il divertimento, a meno che non ci sia qualcuno di fissato (e secondo me lui un po’ fissato lo è anche: ragione di più per apprezzare che non lo chieda agli altri). A lui interessa più vedere cosa succede giocando con l’aritmetica: il testo è ogni tanto interrotto da domande che dovrebbero aiutare il lettore a capire cosa sta facendo.