C’è solo una cosa che non mi è piaciuta di questo libro (John McCormick, 9 algoritmi che hanno cambiato il futuro [Nine Algorithms That Changed The Future], Apogeo 2013 [2011], pag. 256, € 18, ISBN 9788850331697, trad. Virginio B. Sala): gli esempi sono così semplificati che spesso diventa difficile riuscire a capire esattamente qual è la relazione con i sistemi reali. Usare la moltiplicazione anziché l’elevamento a potenza può lasciare perplessi, perché tutti sanno fare le divisioni e non si capisce perché invece il logaritmo discreto sarebbe così difficile da calcolare. Allo stesso modo l’insistenza sui “trucchi” per trovare mi sembra un tentativo di far pensare che l’informatica sia un coacervo di metodi ad hoc. Ma questo probabilmente è un mio problema: il libro non è certo stato scritto per chi come me è nel campo e ha anche una formazione matematica, ma per avvicinare il lettore comune ai concetti informatici. È molto rivelatrice la confessione alla fine del libro, dove McCormick ammette che la sua idea iniziale era di un testo diverso – diviso in due parti, una con gli algoritmi “facili” spiegati e l’altra con una semplice presentazione degli algoritmi “difficili” – ma poi si è accorto che tutti gli algoritmi interessanti erano anche “facili”. La traduzione di Virginio B. Sala (nome che nella versione elettronica presa in prestito da MLOL non sono riuscito a trovare indicato, e ciò non è bello) è chiara e corretta.
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_La scienza della fantascienza_ (libro)
Saggio seminale di quasi venticinque anni fa, dopo una petizione online finalmente questo saggio (Renato Giovannoli, La scienza della fantascienza, Bompiani 2015 [1991], pag. 544, € 25, ISBN 9788845278334) è stato ristampato in edizione rivista e corretta. È davvero una bella cosa, perché mentre di saggi sulla fantascienza se ne trovano in giro tanti, questo è un unicum, perché organizza i testi secondo le teorie (più o meno…) scientifiche che vi appaiono. Chiaramente questo significa eliminare per esempio tutta la fantasy, e credo che molti apprezzeranno l’idea; ma soprattutto significa anche vedere come le nuove teorie scientifiche si sono man mano fatte strada anche nella fantascienza, e di come i vari autori hanno scelto di ovviare alle impossibilità teoriche scegliendo teorie più o meno eterodosse e riciclandole in vari modi. L’altra parte interessante che appare nel libro è una storia della fantascienza: molte idee infatti appaiono in nuce già cento e più anni fa, mentre ci sono autori come Robert Sheckley che si divertono a riprendere temi mainstram – se possiamo dare a una parte della fantascienza questa definizione – e rovesciarli come dei calzini. Sempre scienza, ma coniugata in modo diverso. Anche se le scienze dure fanno da padrone, abbiamo comunque anche alcuni capitoli dedicati alle altre scienze. Caldamente consigliato a chiunque ami la scienza e/o la fantascienza.
_Il migliore dei mondi possibili_ (libro)
“Viviamo nel migliore dei mondi possibili”. Chiunque abbia letto il Candido si ricorda certamente di come Voltaire abbia messo quell’affermazione sulla bocca di Pangloss come un tormentone, per irriderla. Magari però non sa che nasceva da una polemica con lo scienziato Maupertuis. Io l’ho scoperto leggendo questo libro (Ivar Ekeland, Il migliore dei mondi possibili : Matematica e destino [Les Meilleur des mondes possibles], Bollati Boringhieri 2014 [2001, 2004], pag. 298, € 13, ISBN 978-88-339-2530-1, trad. Carlo Tatasciore) dove Ekeland parte da Galileo e Huygens per mostrare come nell’era moderna la scienza sia venuta in soccorso della filosofia antica: il principio di minima azione, definito per l’appunto da Maupertuis, porterebbe a dire che il nostro universo è fatto così perché Dio (o la Natura, o semplicemente l’autoorganizzazione delle cose) non può che scegliere la via più breve per fare le cose.
Gran parte del testo è una bellissima cavalcata tra la storia della scienza e la filosofia della scienza, e fa scoprire tantissime perle matematiche, compresi gli errori dei grandi, che non si trovano certo nei manuali scolastici. Un po’ più debole la parte finale, dove l’idea che noi viviamo nel migliore dei mondi possibili è vista attraverso la biologia (l’evoluzione delle specie), l’economia (i mercati che si regolano da soli) e l’etica (il bene comune). Ekeland risponde alla domanda in modo negativo, mostrando come i controesempi abbondano e tutt’al più possiamo immaginare di vivere in un mondo localmente migliore, il che è già meglio di nulla.
La traduzione di Carlo Tatasciore lascia alquanto a desiderare. La scelta di prendere un esperto di filosofia per la traduzione è sicuramente da apprezzare, perché altrimenti si rischiava di non riuscire a spiegare i ragionamenti dell’autore. Ma quando si trova scritto che un triangolo è isoscele sebbene i due angoli alla base sono uguali, o si confondono i poligoni coi poliedri, c’è qualcosa che non va.
_Le menzogne del web_ (libro)
Una delle tante cose che non capisco è perché la traduzione italiana di questo libro (Charles Seife, Le menzogne del web : Internet e il lato sbagliato dell’informazione [Virtual Unreality : Just Because the Internet Told You, How Do You Know It’s True?], Bollati Boringhieri “Nuovi saggi – 30” 2015 [2014], pag. 254, € 22, ISBN 978-88-339-7423-1, trad. Susanna Bourlot) non abbia potuto mantenere l’evocativo titolo originale “Irrealtà virtuale”, sostituito con un “Le menzogne del web” che è doppiamente falso: innanzitutto perché non si parla solo del web ma anche di media cartacei e aziende ben reali, e poi perché più che di bugie si parla di manipolazioni ai nostri danni. La rete è indubbiamente un importante ampllficatore, come Seife ben spiega, ma la maggior parte delle dinamiche esistevano già in passato, almeno in nuce. Quello che è cambiato è l’interconnessione tra le persone che è accresciuta in maniera incredibile e crea così fenomeni emergenti e la duplicabilità infinita e virtualmente gratuita dei dati, che porta al paradosso che non abbiamo mai avuto a disposizione tanta informazione come oggi ma allo stesso tempo è sempre più difficile conoscere qualcosa, cioè estrarre il segnale dal rumore.
Seife, che è un docente di giornalismo ma ha un background di matematico – lo conoscevo per il suo libro sulla storia dello zero – spiega nell’introduzione che lui non è un luddista ma vuole metterci in guardia dai rischi di un uso non informato della rete, anche con alcuni approfondimenti puntuali – i capitoli “e 1/2”. Le bufale sono solo la punta dell’iceberg: molto peggiori sono i modi in cui le aziende possono condizionarci senza nemmeno che ce ne accorgiamo. Evidentemente sono rimasto parecchio indietro anch’io, perché certe tecniche di SEO, i modi cioè di portare un sito in cima ai risultati di una ricerca, mi erano sconosciute. La traduzione di Susanna Bourlot è scorrevole e non pedante, anche se in qualche punto, come per esempio quando Seife parla di link canonici e delle truffe 419, ho il sospetto che non sia stata controllata da un esperto.
Ultimo aggiornamento: 2015-09-19 09:48
_The Planiverse_ (libro)
Non so se la versione pubblicata nel 2000 e ripubblicata nel 2013 di questo libro (A.K. Dewdney, The Planiverse : Computer Contact with a Two-Dimensional World, Copernicus 2013 [1983], pag. 272, ISBN 978-0387989167) sia più aggiornata rispetto all’originale del 1983 che mi sono comprato di seconda mano. Ma in fin dei conti già questa prima versione è molto interessante, perché porta alle conseguenze estreme quanto Edwin Abbott Abbott scrisse in Flatland. Quel libro era in effetti nato come una satira contro la società vittoriana, e gli abitanti bidimensionali non erano certo tratteggiati biologicamente oppure nella loro competenza tecnica. Qui invece Dewdney fa un lavoraccio, aiutato da tantissima gente che si era appassionata agli articoli sul planiverso pubblicati nella rubrica dei giochi matematici di Martin Gardner. La trama del romanzo è un po’ deboluccia, ma in realtà essa è solo un modo per mostrare, sfruttando un personaggio bidimensionale di nome Yendred, cosa si può fare in un mondo a due dimensioni. Il punto chiave è che non c’è abbastanza spazio, in tutti i sensi: un essere vivente non può per esempio avere un tubo digerente dalla bocca all’ano, perché si troverebbe diviso in due parti. Eppure l’ingegnosità degli ardeani, gli abitanti di quel mondo, permette loro di fare praticamente quello che facciamo noi, solo in modo diverso. Leggere il libro permette di capire che non sempre ciò che siamo abituati a fare è l’unica soluzione possibile, e dunque ci amplia i nostri spazi.
_Notizie che non lo erano_ (libro)
Questo libro (Luca Sofri, Notizie che non lo erano : Perché certe storie sono troppo belle per essere vere, Rizzoli 2015, pag. 247, € 16, ISBN 9788817079266) nasce da una rubrica settimanale che appariva sulla Gazzetta dello Sport e che segnalava appunto la notizie che erano state pubblicate sui quotidiani anche blasonati ma non erano mai esistite davvero, nascendo magari da un equivoco e autoalimentandosi. La parte probabilmente più interessante è sparpagliata tra le pagine del libro, con i nomi dei giornali anglosassoni che indulgono spesso in tali notizie (Daily Mail, Sun, New York Post a cui aggiungerei la tedesca Bild) e con le frasi tipiche, nei titoli ma non solo, che sono il segnale che il giornalista sa bene che quello che scrive è da predersi molto con le molle: tutti i condizionali, per esempio, oppure le pseudointerviste che iniziano con “Io (virgola)”, o ancora la formuletta “è giallo” che di solito è il modo usato per smentire quanto scritto in precedenza, fischiettando per darsi un contegno. Naturalmente non è quasi mai “colpa di Internet”, sia perché le notizie in rete sono quasi sempre tratte dai media sia perché sarebbe compito dei giornalisti verificare; ma ormai ci si gioca tutto sul filo dei minuti, questo sì per l’effetto moltiplicativo di Internet, e quindi le cose temo rimarranno così. Quello che secondo me manca nel libro è una pars construens: avrei visto con piacere un capitolo che spiegasse cosa fanno all’estero i giornali seri quando toppano una notizia (la correggono online, ma aggiungono in calce cosa c’era di errato nella versione originale).
Ultimo aggiornamento: 2015-09-12 13:29
_Andiamo a giocare_ (libro)
Eduard Estivill è il famigerato criptonazista del libro Fate la nanna, che divide i genitori come un tempo la gente si divideva tra Coppi e Bartali oppure tra Mazzola e Rivera. In questo caso (Eduard Estivill e Yolanda Sáenz de Tejada, Andiamo a giocare – Imparare le buone abitudini divertendosi [¡A jugar!], Feltrinelli “Varia” 2010 [2008], pag. 239, € 16, ISBN 978-88-07-49098-9, trad. Antonella Donazzar) è però affiancato da Yolanda Sáenz de Tejada, che ci tiene a far sapere che oltre a una quantità di altre cose è anche una mamma. Così ad occhio il libro sembra stato più che altro scritto da lei e giusto rivisto da Estivill, considerando l’approccio un po’ diverso. L’idea di base è che per insegnare ai propri figli a comportarsi bene – in senso ampio, tra i vari capitoli si parla anche di come far loro mangiare la verdura… – il mezzo migliore è quello di presentare le cose per mezzo di un gioco; ne sono così proposti quasi cinquanta. Il guaio è che nella mia esperienza personale molti di essi non funzionano affatto: ciò che può essere utile, se proprio volete, è riuscire ad adottare il modo migliore per interagire con i propri figli e qui spunta per l’appunto Estivill. Nulla vieta di provare, e in quel caso di mettercela tutta visto che i bambini si accorgono subito quando dall’altra parte non si ha davvero voglia di fare: ma probabilmente è meglio leggere i risultati previsti per i giochi e inventarsi qualcosa in proprio. Ottima la traduzione di Antonella Donazzar.
Ultimo aggiornamento: 2015-09-09 15:01
_Musica dal profondo_ (libro)
Se dovessi definire in una sola frase questo libro (Victor Grauer, Musica dal profondo : viaggio all’origine della storia e della cultura [Sounding the Depths], Codice edizioni 2015 [2011], pag. XXIX+265, € 18,90, ISBN 978-88-7578-527-7, trad. Brunella Martera e Gabriele Ferrari) direi “un pamphlet di 250 pagine”. Grauer ha una sua teoria sull’evoluzione umana: essa sarebbe molto più antica di quanto solitamente ritenuto e il modo più semplice per accorgersene è confrontare le tradizioni musicali di boscimani e pigmei occidentali e orientali (gruppi etnici non in contatto tra di loro) e ricercare quelle strutture molto complesse in giro per il mondo, integrando i dati con quelli del DNA mitocondriale e di quello del cromosoma Y. Il guaio, probabilmente legato anche alla nascita del libro come un blog, è che il testo è spesso ripetitivo e soprattutto mi ha dato l’impressione di essere partito da una testi e di avere raccolto solo le prove a sostegno della tesi. Prendiamo per esempio il suo metodo di triangolazione: se una caratteristica si trova in tre gruppi etnici non in contatto tra di loro allora si può supporre che appartenga all'”ipotetica cultura di base”. Casualmente Grauer ha solo tre gruppi a disposizione…
Anche non accettando le conclusioni di Grauer, il libro è però una fonte preziosa, sia perché fa una panoramica globale della preistoria dell’umanità che per la grande quantità di esempi audio e video che sono parte integrante del libro – come poter valutare altrimenti somiglianze e differenze? – e che molto opportunamente Codice ha raccolto. Tra i punti degni di nota, oltre alla considerazione che la polifonia nasce ben prima di quanto pensato, ci sono la considerazione che è possibile che il linguaggio stesso, che probabilmente nasce tonale, deriverebbe dall musica, e che la disastrosa eruzione del vulcano Toba potrebbe avere portato alla trasformazione delle società da comunitaria e non-violenta a gerarchica e violenta, mentre sono molto dubbioso su affermazioni come quella che le frazioni che creano i rapporti musicali non sarebbero “naturali” perché le troviamo solo tra gli uomini. Niente da eccepire infine sulla scorrevole e accurata traduzione di Brunella Martera e Gabriele Ferrari: giusto un “misura” nell’appendice che in un libro come questo sarebbe stato più che alto “battuta”.
Ultimo aggiornamento: 2015-09-09 14:56