Archivi categoria: povera_matematica

I numeri parlano chiaro

Al momento non è chiaro chi sarà il presidente austriaco: il voto alle urne dà in vantaggio il candidato di estrema destra Hofer con il 51,9% contro il 48,1% dell candidato estremamente ecologista Van der Bellen, ma ci sono ancora i voti spediti per posta, che sono molto più della differenza tra i due. (Poi diciamocelo: perché gli 800.000 voti per posta capovolgano i 144.000 voti di vantaggio, dovrebbero essere divisi 472.000 contro 324.000, cioè 59% contro 41%: improbabile, anche se non così improbabile da essere impossibile).

Repubblica però si spinge a fare raffinate analisi nel suo articolo (backup), spiegando come «Hanno pesato molto, nella crescita nelle urne dell’ultradestra, il tema migranti e la battaglia al Brennero. Nel Tirolo Hofer infatti ha ottenuto il 50,7% dei consensi». Notate nulla di strano?

Ultimo aggiornamento: 2016-05-23 16:23

Odifreddi e Wittgenstein

Ho finalmente letto il numero 1 di MATE (lo recensirò dopo avere letto il numero 2, mai dare un giudizio immediato), dove campeggiava un’intervista a Piergiorgio Odifreddi. Lasciamo perdere il virgolettato a pagina 16 in uno zoom «Abbiamo un premier e una maggioranza di governo mai eletta da nessuno», visto che la parte sulla maggioranza di governo non c’è da nessuna parte nel testo dell’intervista, e limitiamoci alla matematica.
Santino Cundari gli chiede «Eppure Wittengstein nel 1922 sosteneva che ogni qual volta ci proponiamo di quantificare il numero di gocce di pioggia che cadono durante un temporale, l’unica risposta possibile è “molte, molte gocce”. Esiste un numero esatto ma non possiamo conoscerlo?» e Odifreddi risponde «Credo si conosca già», continua dicendo che Wittgenstein si vantava di non studiare nulla di quello che avevano fatto gli altri e quindi alla fine ripeteva quello già detto dai filosofi del passato, e si lancia a spiegare che Archimede aveva calcolato il numero di granelli di sabbia che riempiono l’universo.
Ora io sono una capra in filosofia e ho sempre avuto dei votacci al liceo (dove del resto ci siamo fermati a Kierkegaard, con la scusa che erano miracolosamente uscite di nuovo scienze e fisica). Ma purtroppo o per fortuna con i decenni sono stato esposto almeno a un minimo di filosofia della scienza. Bene, Wittgenstein con quella frase intendeva che per dare una risposta numerica anche se in linea di principio a quella domanda occorre dare una definizione di “goccia” (una molecola d’acqua non è una goccia) e di “temporale” (quando inizia e quando finisce? qual è l’area dove si considera esserci o no il temporale?) Come dice un mio amico filosofo (ciao, Leo!) a cui ho chiesto qualche lume in più, «La questione è: a quali condizioni qualcosa può essere contato? e risponde: deve essere qualcosa di discreto; e deve avere una certa permanenza (deve durare nell’essere)» e Wittgenstein trova «che la cosa non è affatto semplice, appunto». Odifreddi avrebbe potuto tranquillamente rispondere dicendo appunto che basta dare delle definizioni coerenti e il numero è calcolabile, e non ci sarebbe stato nulla di male, almeno per la capra quale io sono: ha voluto invece dare una risposta formalmente corretta (si può trovare un limite superiore al numero di gocce di pioggia) ma assolutamente inutile, un po’ come nella barzelletta del duo che si è perso su un pallone aerostatico, passano vicino a un edificio, chiedono al tipo che li sta guardando dalla finestra “Dove siamo?” e si sentono rispondere “su una mongolfiera”. Il guaio è che così si perpetua l’idea del matematico che pensa solo alla matematica e vede tutto come matematica, il che non mi pare un bel biglietto da visita… ancor più in una rivista che dovrebbe incuriosire sulla matematica.

“stimati con precisione”

Stavo riguardando il post sul blog di Facebook su qual è il nostro grado di separazione con gli altri iscritti al sito. Per la cronaca il mio è 3,27, persino sotto la moda e non solo sotto la media che è 3,57, nonostante il mio numero di amici sulla piattaforma zuccherberghiana non sia così elevato. Evidentemente i miei amici hanno più amici di me :-)
Stavolta però mi sono accorto dell’ultima frase: «Calculating this number across billions of people and hundreds of billions of friendship connections is challenging; we use statistical techniques described below to precisely estimate distance based on de-identified, aggregate data.» Non mi lamento dello split infinitive (“to precisely estimate” anziché “to estimate precisely”): ci sono linguisti che affermano che la cosa si può fare, e la mia conoscenza della grammatica inglese non è certo perfetta. Non mi lamento che quel numerello sia una stima: tra l’altro spero di trovare il tempo di studiare l’algoritmo di Flajolet-Martin, che deve essere simpatico. Quello di cui mi lamento è il concetto di una stima precisa. Una stima può essere al più accurata, ma non precisa: sennò non è una stima. Non trovate?

Ultimo aggiornamento: 2016-04-15 14:31

Divisioni sul caffè

Stefano mi segnala questo post della Stampa (qui la copia di backup) a proposito del possibile ingresso di Starbucks in Italia, dove secondo la FIPE «Ogni bar, ogni giorno, serve 175 tazzine per un incasso di 184 euro, con un prezzo medio di 0,96 euro a tazzina.» Secondo Stefano hanno scambiato dividendo e divisore, oltre ad avere sbagliato l’arrotondamento (175/184 è circa 0,951). La mia sensazione è diversa. Andando a cercare la fonte originaria possiamo vedere che si parla di 175 caffè e cappuccini serviti al giorno, il che fa capire perché il costo medio supera l’euro nonostante sia raro trovare un caffè che costi più di un euro. Se devo fare un’ipotesi, Giuseppe Bottero non abbia notato “cappuccini”, si sia chiesto come mai un caffè potesse costare più di un euro, e ha fatto tornare i conti. (Non mi preoccupo nemmeno dell’arrotondamento per eccesso, fossero quelli i problemi…)

Una nota non matematica: Gianluca, davvero adesso “experience” nel senso di “fare le cose come noi pensiamo dobbiate farle” (che già non sopporto in inglese) viene usato in italiano come “esperienza”?

Ultimo aggiornamento: 2016-03-01 11:50

Medie mobili

Ho trovato questo articolo della Stampa che racconta come la pratica religiosa in Italia stia calando, e che è «più facile perdere la fede a 55 anni». (Nota: anche se non è esplicitato dall’articolo, si parla di pratica religiosa in genere, quindi non solo cattolica. Diciamo che forse i pastafariani non sono stati considerati, ma solo perché non sono ancora molti. Però per esempio gli islamici ci sono).

L’articolo segnala appunto che «L’Istat ha di recente fotografato la nostra propensione alla pratica religiosa», dimenticandosi di mettere un link ai dati Istat perché un lettore interessato possa farsi direttamente una sua idea. (Per la cronaca, se volete vederli andate a http://dati.istat.it/index.aspx?queryid=262, selezionate “tutti i temi”, cercate Partecipazione sociale → Pratica religiosa → Classe di età) e che la percentuale di persone che frequenta luoghi di culto almeno una volta la settimana è in costante calo. Fin qui nulla di male. Ma poi continua scrivendo

Ma il confronto con il 2006 ci dice che la fascia d’età più disillusa è quella tra i 55 e i 59 anni che nell’ultimo decennio ha perso il 30% dei frequentatori di luoghi di culto.

Se andate a controllare i dati, in effetti la percentuale è scesa dal 26,9% al 19,3%; viene anche riportato lo spiegone del sociologo Franco Garelli sul perché queste persone tendono a non frequentare più i luoghi di culto, spiegone che vi risparmio. Vi siete accorti di cosa c’è che non va in questa bella spiegazione? Bravi. Quelli tra i 55 e i 59 anni nel 2015 avevano tra i 46 e i 50 anni nel 2006, e le loro percentuali di frequentazione sono rimaste fondamentalmente le stesse (non è possibile fare un confronto preciso, perché la classe di età precedente è di dieci e non di cinque anni, ma un banale modello di regressione mi dà quei valori). Quindi si sta semplicemente fotografando l’invecchiamento della popolazione.

Attenzione. Ha perfettamente senso dire che la percentuale di frequentanti nella fascia di età tra i 55 e i 59 anni è scesa del 30% negli ultimi dieci anni. Quello che non ha senso è dire che quelle persone hanno smesso di frequentare in questi dieci anni. Quelle persone avevano già smesso probabilmente a quindici anni. Vedete la differenza?

Ultimo aggiornamento: 2016-02-25 11:44

dimezzamenti fasulli

adozioni Damiano mi segnala questo post del Corsera (apritelo a vostro rischio, considerando il paywall sul sito) dove si parla del calo del numero di adozioni internazionali: dalle 1410 del 2010 gli arrivi “si sono quasi dimezzati”, arrivando a 850 nel primo semestre 2015. Ma come Damiano fa notare, se in sei mesi ci sono state 850 adozioni si può in prima approssimazione immaginare che in tutto il 2015 ce ne sarà un numero intorno a 1700. Il dimezzamento è al più quello del numero di neuroni di Margherita De Bac dedicati alle operazioni aritmetiche.

Ultimo aggiornamento: 2016-02-17 15:23

La precisione del Perlone 2015

Il blog Perle Complottiste ha assegnato, come ogni anno, il suo premio Perlone 2015 per le migliori “perle” trovate su Internet. Quest’anno ha vinto Beppe Grillo con il 41,15% dei voti, seguito da Giulietto Chiesa con il 25,77%, mentre Rosario Marcianò è terzo con il 15,38% e Massimo Mazzucco e Maurizio Blondet sono appaiati all’ultimo posto con l’8,85% dei voti. Questi dati sono coerenti con un numero di votanti pari a 904, per cui il numero totale di voti sarebbe rispettivamente 372, 233, 139, 80. Il numero di voti è anche coerente con i 747 dell’edizione 2007. Bene, dov’è il problema?

Semplice. Se hai un intorno di 1000 voti, hai tre cifre significative. Il conteggio è stato fatto con quattro cifre, ma la quarta è puramente casuale. Per dire, se Grillo avesse avuto un voto in meno la percentuale sarebbe stata il 41,03%, e con un voto in più il 41,26%. Quindi sarebbe bastato usare una cifra dopo la virgola, che è l’unica sensata: la seconda è puramente casuale (in senso lato, chiaramente è il risultato di un processo deterministico). Certo, non è un errore di quelli tragici: però rappresenta comunque una scarsa attenzione, o se si preferisce una fiducia troppo fideistica sui numeri.

Percentuali e PIL

Oggi al Sole-24 Ore è stata pubblicata questa infografica, che io ho prontamente salvato. (Ora l’articolo è stato corretto, ma dalla sua URL si può ancora intuire la genesi iniziale).

Il grafico di quell’articolo mostra come è aumentato il debito pubblico dei PIGS (stranamente senza l’Irlanda) e per confronto quello di Germania e Francia a partire dal 2007, cioè prima della crisi. Si può vedere come l’Italia non ha poi fatto troppo male: risulta messa un po’ meglio della Francia e un po’ peggio della Germania, soprattutto a causa degli ultimi tre anni, ma molto meglio degli altri malati economici europei. Peccato che appunto quell’infografica mostra l’incremento del debito e non il rapporto debito/PIL, come invece era scritto nel titolo iniziale («Debito pubblico in Europa. Italia al 133,20% del Pil, peggiore la Francia con 149,38%») e corretto in corsa («Debito pubblico in Europa: la corsa di Spagna, Portogallo e Grecia.»). Addirittura nell’articolo originale si affermava che «Il debito italiano, infatti, dai 133,20 punti percentuali sul Pil del 2015», cioè il numeretto che hanno visto nel grafico (il vero valore è 12,8%). Il nostro grande problema è appunto che partiamo da un debito altissimo, e quindi anche un incremento percentuale ridotto porta gravi danni, mentre per esempio la Spagna nel 2007 aveva un rapporto deficit/PIL molto basso (il 34%) e ha potuto così permettersi una crescita percentuale enorme.

Ho due domande, una ai miei lettori e una invece retorica. Qualcuno ha copia dell’articolo apparso sulla versione cartacea del Sole-24 Ore, per capire chi è stato a fare quello svarione? E come è possibile che il maggior quotidiano economico italiano riesca a pubblicare qualcosa del genere, proprio sul loro campo? Non hanno nessuno che legga quello che viene scritto?

Aggiornamento: nel corpo dell’articolo avevo erroneamente scritto “deficit” al posto di “debito”.

Ultimo aggiornamento: 2016-02-10 18:34