Archivi categoria: pipponi-2017

Vai con l’agnellismo

Ha cominciato Silvio Berlusconi, uno che – dite quel che volete – sa sempre come farsi pubblicità: la scorsa settimana ha adottato cinque agnellini che non saranno macellati a Pasqua. La presidenta della Camera Laura Boldrini non ha voluto essere da meno, e ha adottato a distanza le due agnelline Gaia e Gioia, che ieri hanno fatto visita a Montecitorio accompagnate da due volontarie dell’Enpa e dalla presidentessa dell’Ente protezione animali. (Sì, tutto al femminile).

C’è solo un piccolo problema. Come mi è stato fatto notare (ebbene sì, io sono un cittadino e queste cose non mi vengono affatto in mente) il mangiare gli agnelli (maschi) è in realtà un sottoprodotto del volere avere latte e formaggio di pecora. Per tutto questo occorre evidentemente che nascano tanti agnelli: ma almeno per il momento i maschi non allattano, non ne servono nemmeno tanti per ingravidare le pecore, e quindi rimane un surplus di poco o nullo valore. Che farne? Costolette :-) Ma questo significa che con ogni probabilità Gaia e Gioia non sarebbero state comunque macellate… Peccato che il gender ormai ci pervada tutti.

Domenica delle salme

Ieri, Domenica delle Palme, in Egitto c’è stata una strage in una chiesa copta. Stamattina un quotidiano, riprendendo il titolo di una canzone di De Andrè, titola in prima pagina “Domenica delle salme” per riferirsi alla strage. Nella rassegna stampa mattutina di Radio Popolare, Luigi Ambrosio si lamenta per quel titolo.
Sarà, ma a me rimane l’idea che se il titolo fosse stato pubblicato dal Manifesto la sua reazione sarebbe stata diversa: invece stavolta è stato Libero.

Ultimo aggiornamento: 2017-04-10 10:00

Poveri bulli

Tempo di gite scolastiche, e tempo dei soliti bullismi e piagnistei, perché l’episodio «È stato uno scherzo. Forse pesante, ma uno scherzo. Lo sbaglio è una punizione tanto severa», così dice una signora, che continua «Parlo a nome di molte delle mamme, anche se non ho figli al liceo» (e questo secondo me la dice già lunga) e che quanto è successo è una di «quelle cose cameratesche che si fanno in caserma.» (dove evidentemente ci è stata. Non avendo io fatto il militare non ho idea di cosa si faccia).

Ma la cosa che mi ha davvero sconcertato è l’accusa ritorta: «E poi vi siete chiesti perché i ragazzi erano soli? Un professore all’ultimo non li ha accompagnati.» Effettivamente quello che non capisco è perché non si sia semplicemente annullata la gita…

Ultimo aggiornamento: 2017-04-07 12:09

È più importante l’autore o il lettore?

Riprendo la discussione iniziata nei commenti al post sulla “scrittura dall’oltretomba” con un esempio ancora più paradigmatico dei problemi che un traduttore coscienzioso si trova nel corso di una traduzione.
Sempre in Domare l’infinito di Ian Stewart, a pagina 199 si legge (permettetemi una resa rustica delle formule matematiche)

Per esempio, possiamo definire la funzione esponenziale come
e^z = 1 + z + 1/2 z^2 + 1/6 z^3 + 1/24 z^4 + 1/120 z^5 + …
dove i numeri 2, 4, 6 e così via sono fattoriali: prodotti di interi consecutivi (per esempio 120 = 1×2×3×4×5)

Un lettore appena un po’ attento, anche senza sapere cos’è un fattoriale, si accorge che c’è qualcosa che non va: i numeri 2, 4, 6 si trovano sì nella formula ma in posizioni logiche diverse. Quello che doveva esserci scritto era “i numeri 2, 6, 24 e così via”. Del resto il testo originale (non so quello dell’edizione 2015) scrive esattamente la stessa cosa: “where the numbers 2, 4, 6 and so on are factorials“. Cosa deve fare allora un traduttore? Lasciare pedissequamente il testo originale esprime un’idea di sciatteria: “come? non ti sei neppure accorto di un errore così marchiano?”. Lasciare il testo e aggiungere una NdT (nota del traduttore) che dica “i numeri non sono 2, 4, 6… ma 2, 6, 24” è francamente ridicolo, e dà l’idea che il traduttore voglia mostrare quanto sia figo. La mia scelta sarebbe stata correggere silenziosamente il testo, indicare al redattore italiano il fatto di aver corretto una svista, avvisare l’autore della svista in questione, e pensare amaramente che non solo in Italia la fase di redazione è ormai ridotta ai minimi termini.

Concludo come mia abitudine con due esempi personali. Quando io e Francesco Bianchini abbiamo tradotto Superfici ed essenze, ci siamo trovati svariati esempi “intraducibili” non nel senso che non sapevamo come tradurli, ma la cui traduzione letterale sarebbe stata inutile. A parte che la mia filosofia ritiene che le NdT siano sempre una sconfitta, perché un traduttore davvero bravo deve essere così trasparente da non apparire, in questo caso la soluzione è stata favorita dal fatto che il libro era uscito contemporaneamente in inglese e in francese, e le due versioni non erano affatto identiche, come spiegato del resto all’interno del libro (dei libri?). Così ci siamo permessi il lusso di usare ogni tanto la versione francese anziché quella inglese, e in alcuni casi in cui le due versioni erano diverse ci è anche capitato di creare una nuova versione, pensando a come l’avrebbero scritta Hofstadter e Sander se avessero pensato di pubblicare in italiano. Inutile dire che quei testi sono stati sottoposti agli autori per l’approvazione.
Dall’altra parte della barricata, dovete sapere che prima di consegnare il manoscritto di un libro io lo faccio sempre leggere non solo a qualche fidato lettore alfa per vedere se è abbastanza comprensibile, ma anche a un matematico per controllare che io non abbia scritto delle cazzate; il tutto proprio perché so che non posso fidarmi più di tanto della redazione editoriale. Un guaio dello scrivere di matematica, come dicevo sopra. Bene: in Matematica in pausa pranzo a pagina 22 trovate scritto

Siamo così dovuti passare all’analisi matematica, e affermare che la somma 1 + 1/2 + 1/4 + 1/8 + … deve essere 1, […]

come mi è stato fatto notare da alcuni lettori. Bene. Secondo voi, nell’improbabile caso che il libro venisse pubblicato in un’altra lingua, cosa dovrebbe fare il traduttore?

Ultimo aggiornamento: 2017-04-05 16:43

Giornalettismo e le bufale

Sabato scorso (il primo aprile) Giornalettismo ha pubblicato questo articolo in cui spiegano perché la sera prima (31 marzo) hanno fatto “morire” Ermes Maiolica. Se non sapete chi sia Ermes Maiolica potete leggere qui, per esempio.

Non seguo Ermes, ma quando mi è capitato di vedere qualcosa di suo – tipo l’intervista a Umberto Eco con tanto di foto… – mi sono sempre divertito. Però questa storia non mi è piaciuta per nulla. Non per aver fatto morire per finta qualcuno: quello dal mio punto di vista è irrilevante. Quella che non mi è per niente piaciuta è la giustificazione di Giornalettismo: «[L’abbiamo fatto] Non per una questione di credibilità ma per provocazione. Abbiamo deciso di sbufalare la sua morte proprio il giorno in cui tutto è concesso. Perfino gli scherzi più cattivi. Perché il tema delle fake news e il dibattito in rete sta diventando sempre più importante. Specialmente oggi.».

Risposta breve: cosa direste se vi diffamassero e poi il giorno dopo scrivessero “ma no, era tutto falso, volevamo far vedere che il tema della diffamazione in rete sta diventando sempre più importante”? Risposta un po’ più lunga: se per far capire che le fake news sono rilevanti devi metterne una per aprire il dibattito, lo stai facendo male. Nel mondo utopico che vorrei, le persone riescono a capire quando una notizia è falsa senza che qualcuno faccia loro pedantemente un esempio pratico. Tra l’altro, la notizia della morte di Maiolica l’ho letta il 31 sera, citata dal mio amico Gilberto, e né lui né io ci avevamo comunque creduto, giusto per dire che la cosa sarebbe possibile in teoria. Ma sapendo che in pratica non lo sarà mai, tanto vale lasciare perdere quelli che alle bufale ci crederanno sempre e costruirsi una fama di media che non insegue quella moda e cerca per quanto possibile di stare ai fatti. Proprio quello che non ha fatto Giornalettismo.

Ultimo aggiornamento: 2017-04-04 15:36

TAP e ulivi

Lunedì scorso il Consiglio di Stato ha sentenziato che la valutazione di impatto ambientale sul gasdotto TAP è stata fatta correttamente. La notizia è stata accolta con la consueta alzata di spalle da attivisti no-TAP e governatore Emiliano, e immagino che si ricomincerà la Grande Lotta Popolare per evitare l’espianto dei 231 (duecentotrentuno) ulivi secolari sul percorso del gasdotto.

Anche ammesso che gli ulivi non potranno essere ripiantati (in loco o altrove), mi pare di ricordare che quelli infestati dalla xylella siano molti, molti di più: aggià, ma quelli infatti non sono stati tolti, perché basterà eliminare le scie chimiche e risorgeranno più belli che pria. La mia impressione è però che la diatriba non sia tanto ambientalista quanto politica, esattamente come per il referendum dello scorso anno voluto dalle regioni per forzare la mano contro lo stato.

Ultimo aggiornamento: 2017-03-31 12:11

il non-costo del lavoro

L’otto marzo scorso il presidente di Tim Giuseppe Recchi è stato convocato in Parlamento per un’audizione sulle “prospettive industriali del Gruppo TIM, sulla tutela dei lavoratori del Gruppo e delle aziende dell’indotto”. A quanto pare le domande previste erano molte, quindi a parecchie di esse è stata data risposta scritta in un secondo tempo.

Una di queste domande era «Che impatti ha sul conto economico la disdetta degli accordi del 2008?»: accordi che – stante una precedente risposta di Recchi – non riguardavano né il primo né il secondo livello di contrattazione, e quindi in realtà non esistevano affatto: questo è probabilmente il motivo per cui la risposta usa il condizionale: «La disdetta degli accordi impatterebbe sul costo del lavoro (oltre 2500 mln/euro) per un max di 12 mln.» (in realtà la risposta è più articolata: secondo Recchi quei soldi sono stati rimessi in circolo come «piano di incentivazione che premierà gli apporti individuali del personale di produzione interessato dalla citata disdetta.», da cui il condizionale)

Non entro nel merito dell’affermazione, perché non ho competenze in merito: così ad occhio, l’abolizione del mancato rientro in sede per i tecnici corrisponde però a quella cifra. Non conto nemmeno i tagli ai rimborsi per i costi di trasferta, sempre perché non saprei quantificarli. Però una cosa riesco a notarla. Visto che gli accordi disdetti prevedevano due giorni di ferie e dodici ore di permesso (che come scrissi derivavano dal vecchio contratto ante 2000), in pratica lavoreremo l’1,6% di ore in più l’anno. Il costo del lavoro in Telecom nel 2015 è stato di 2,347 miliardi. Si può immaginare che la produttività aumenti della metà di quella cifra (nel senso che metà del costo del lavoro va in contributi e tasse), quindi ci sarebbero quasi venti milioni che Recchi si è dimenticato di considerare. Toh.

Un’altra vittoria per gli OTT

Non è facile riuscire a capire cosa ci sia scritto in questo articolo di Repubblica, a parte che AGCOM ha diffidato Tre e Wind (ora un’unica entità) dal fornire app di ascolto musica e chat che funzionano anche quando i gigabyte dell’offerta dati sono terminati. I riferimenti normativi sembrano scritti da qualcuno che ha preso un documento in inglese e l’ha passato a una vecchia versione di Google Translate: ad ogni modo, se volete sapere qual è il documento della “agenzia UE che si chiama Berec”, potete trovarlo partendo da qua: i punti sono quelli dal 40 in poi.
Ora, se ci pensate un attimo la portata di quella diffida è molto maggiore di quanto possa sembrare a prima vista: non ci vorrà molto a fare notare che anche prima che si raggiunga la soglia dei giga avere un’app locale zero-rated invoglierà gli utenti a usare quella e non andare a prendere le offerte degli OTT (Over The Top, le aziende che fanno servizi basati su un’infrastruttura di rete). Questo è quello che gli OTT hanno sempre voluto: per loro le aziende di telecomunicazione dovrebbero solo far passare i dati (altrui) e non rompere le palle. Concetto magari condivisibile, ma che in tal caso dovrebbe essere portato all’estremo ritornando al monopolio e riportandolo sotto lo Stato. (E comunque mentre posso capire la logica “si favorisce un servizio rispetto a un altro equivalente” per lo streaming musicale, vi voglio vedere convincere tutti i vostri amici a passare alla chat di Wind perché così voi non consumate banda dati)

Comunque la storia della net neutrality non è affatto nuova: leggete qui e qui cosa è successo con Wikipedia Zero (il progetto per cui la Wikimedia Foundation stringeva accordi con le società telefoniche nei paesi a scarso reddito per non far pagare l’uso di Wikipedia da telefonino). Anche se nessuno ci guadagnava soldi, il progetto è stato comunque attaccato perché creava un orticello chiuso…

Ultimo aggiornamento: 2017-03-23 06:56