Archivi categoria: pipponi

Opere derivate

«La nostra legge sul diritto d’autore non permette di fare una trascrizione di un film protetto da copyright senza il permesso del titolare, e sicuramente non permette di renderla pubblica.»
No, non è il presidente della SIAE ad averlo detto, ma Paul Pinter, coordinatore nazionale della divisione che si occupa di reati contro la proprietà intellettuale nella polizia svedese. Come potete leggere sulla BBC, la polizia del paese scandinavo ha chiuso il sito undertexter.se, dove per l’appunto si preparavano e ci si scambiavano i sottotitoli (i “subs”) di film e telefilm, che poi si potevano aggiungere alle immagini originali per capire che diavolo dicevano i protagonisti.
C’è qualcosa di profondamente errato in tutto questo. I sottotitoli di un film, senza il film stesso, non servono a nulla. Se qualcuno si prende la briga di trascrivere un film e sottotitolarlo, significa che nessuno dei famigerati “titolari di copyright” ha pensato di poterci fare dei soldi su fornendoli lui questi benedetti sottotitoli, visto che prepararli è una faticaccia. Epperò non si ha il permesso di farlo :-(

Ultimo aggiornamento: 2013-07-10 19:59

Le grandi notizie

Ho letto (sul Post, non nella versione originale su Libero) questo articolo di Filippo Facci. Nulla di strano che la redazione dia dei caldi suggerimenti sui temi da trattare. Stiamo comunque parlando di editoriali, cioè di fuffa: se preferite, di come chi scrive decide di parlare a proposito di un tema. Non mi stupisco nemmeno degli argomenti suggeriti dalla redazione: ogni quotidiano ha la sua linea editoriale, e quella di Libero è molto nazionalpopolare. Diciamo che sono molto felice di non sapere assolutamente a cosa ci si riferisca con «La Melandri nel container» e «Brunetta contro Busi per le mutande della Ravetto», e anzi non sapere neppure chi sia la signora o signorina Ravetto. E no, non venitemelo a spiegare, grazie.
Però mi resta il dubbio, tra le notizie “commentabili” proposte dal Facci, dell’utilità di parlare della «benzina mai così cara» e di «un orso ucciso a fucilate in Molise»; una notizia ricorrente tutti gli anni come le tasse, e una notizia che ci fa al più ricordare che le montagne del centro-sud si stanno ripopolando di fauna. Davvero, però, parlare di Pd e gnocca o parlare del prezzo della benzina per me pari è. Faccio insomma mio a più alto livello il dubbio di Facci: «Bisogna privilegiare ciò che il pubblico deve leggere o ciò che il pubblico vuole leggere? Quanta informazione e quanto infotainment?». Ecco. Se ci fosse una vera separazione, con due sottositi per un giornale online e la colonna infame e i boxini morbosi che si trovano tutti su un sottosito (la home page principale può restare così com’è, ma i due sottositi avrebbero ciascuno la propria home), io sarei molto contento. Almeno a seconda del momento potrei scegliere l’uno o l’altro sottosito. Voi invece?

Ultimo aggiornamento: 2013-07-10 10:14

autostrade, benzina e tabelloni

L’Italia è una nazione che ha sempre idee molto creative per gestire le emergenze. C’è stato il periodo dei sassi dai cavalcavia: risposta? numerare i ponti sulle autostrade per poter dire da dove sei stato colpito. (Nota per chi odia la matematica: negli anni si è magari costruito qualche nuovo ponte, e non si è pensato nulla di meglio che dargli il numero “42bis” come se fosse una casa infilata tra altre due. Ma i “numeri dei ponti” sono solamente indicatori, come le linee dei bus, e non c’è nessuna necessità pratica di mantenerli in ordine: per quello c’è il chilometraggio…)
L’esempio che mi interessa in questo caso è però un altro. La benzina costa troppo? Beh, la risposta è semplice:

1. Al fine di favorire la concorrenza e la trasparenza dei prezzi nel settore della distribuzione dei carburanti, di garantire ai consumatori un adeguato livello di conoscenza sugli effettivi costi del servizio, nonche’ di facilitare il confronto tra le offerte presenti sul mercato, il gestore della rete stradale di interesse nazionale e autostradale deve utilizzare i dispositivi di informazione di pubblica utilita’ esistenti lungo la rete e le convenzioni con emittenti radiofoniche, nonche’ gli strumenti di informazione di cui al comma 3 per informare gli utenti, anche in forma comparata, dei prezzi di vendita dei carburanti praticati negli impianti di distribuzione dei carburanti presenti lungo le singole tratte della rete autostradale e delle strade statali extraurbane principali, con conseguente onere informativo dei gestori degli impianti ai concessionari circa i prezzi praticati. La violazione di tale obbligo comporta l’applicazione delle sanzioni previste dalla disciplina del commercio per la mancata esposizione dei prezzi.

Non l’avete riconosciuto? è l’articolo 2, comma 1, della Lenzuolata Bersani del 2007.
Il comma 3 ivi citato specifica che il ministero dei Trasporti preparerà una proposta, senza oneri per lo Stato, per disciplinare «l’installazione di strumenti di informazione di pubblica utilità»: i famigerati cartelloni che dovrebbero indicare qual è il prezzo della benzina e del gasolio nei distributori che si trovano in autostrada. Il tutto serve a qualcosa? probabilmente no. Ma sicuramente non serve se i cartelloni scrivono N.P., come ho visto fare sia la settimana scorsa che questo weekend sulla Milano-Venezia (sull’Autobrennero non mi pare nemmeno di averli visti, i cartelloni, ma magari ero distratto). E a quanto pare la cosa non è di oggi, visto che ho trovato questa segnalazione di Altroconsumo dello scorso dicembre.
Qualcuno mi sa spiegare perché dobbiamo sorbirci quegli inutili cartelloni?

Ultimo aggiornamento: 2013-07-09 07:00

Free versus Open

Oblomov ha scritto una postessa (ci potrà ben essere un equivalente di “articolessa”, no?) sulle differenze tra Google Maps e OpenStreetMap. Considerando che il commento di molti, soprattutto vedendo che il post è in inglese, sarà “tl;dr” (cioè “too long; don’t read”) spero di fare cosa gradita segnalando un paio di punti che in genere non mi pare siano molto trattati. Insomma, diciamo che il concetto di “free as a beer / free as in speech” forse è chiaro, ma su altre cose non ci si sta a pensare molto.
Innanzitutto, c’è il concetto che in questi ultimi mesi ha preso l’hashtag #ovviamentegratis – il punto che cioè Google sfrutta le nostre informazioni per aggiungere per esempio a Maps foto e recensioni di posti, e naturalmente non ci paga per questo. Cosa che di per sé non sarebbe nemmeno così preoccupante, se non fosse che nessuno ci garantisce che Google continuerà a fornirci il servizio: lasciando perdere Google Reader, anche nel caso di Maps Google un paio d’anni fa ha tolto il servizio di geolocalizzazione che sfruttava i router wifi, lasciandolo solo in una versione molto nascosta da usare per Android. Quindi è molto meglio se possibile contribuire a un progetto open, che sicuramente non sparirà.
Il secondo concetto importante è che perché un “crowdsourcing” (cioè l’informazione fornita dal basso) funzioni, a parte tutti i guai legati alla verifica dei dati, occorrono altre due cose: una massa critica e un’interfaccia semplice per inserire dati. La massa critica serve perché se i dati presenti sono pochi, allora solo i più sfegatati avranno voglia di contribuire, mentre se ce ne sono tanti c’è più gente disposta ad aggiungere il proprio piccolo contributo alla cattedrale (no, non “al bazar”: Eric Raymond scelse la metafora sbagliata). L’interfaccia serve ovviamente per semplificare la vita alla gente. Non per nulla Wikipedia ha una massa critica e sta disperatamente cercando di avere un’interfaccia semplice (Visual Editor e Lua magari non vi dicono nulla, ma sono i tentativi attuali), e gli altri progetti Wikimedia soffrono perché mancano anche della massa critica.
Il terzo (e quarto) punto è che per fare servizi interessanti occorre riuscire a correlare tanti dati, e di tutti i tipi. E molti dati interessanti non sono facilmente recuperabili. Oblomov fa l’esempio degli orari realtime dei mezzi pubblici: questo tipo di dati esiste, ma non è aperto, e ovviamente non può essere ricreato dal basso. Sarebbe però bello avere un’accesso codificato a tali dati, per poterli appunto sfruttare per altri sistemi. Sarebbe un bel tema per l’agenda digitale, no? Peccato che non si vedano sponsor politici, che sono tutti a cercare sponsor paganti :-(
Per tutto il resto vi lascio a Oblomov :-)

Ultimo aggiornamento: 2013-07-08 12:46

Kal dos Santos e le notizie che non si leggono

Domani (venerdì 28 giugno) alle 18:30 si terrà in largo Fratelli Cervi a Milano un presidio di sostegno sensibilizzazione promosso dall’Associazione Culturale Arci Mitoka Samba dopo l’aggressione subita il 19 giugno scorso dal percussionista brasiliano Kal dos Santos: potete leggere un resoconto dei fatti sul sito del Mitoka Samba.
Dos Santos non lo conosco, ma la zona sì, visto che ci passo in bicicletta tutti i giorni per andare in ufficio. Ma ci sono altre due cose che dal comunicato non traspaiono e mi paiono preoccupanti allo stesso modo. La prima è che – anche nel caso che dos Santos avesse in effetti dato uno schiaffo a quel bambino – continui a sembrare una cosa normale andare “a farsi giustizia da soli”. La seconda è che di tutta questa storia non si è letto nulla sulle pagine locali dei giornali. Io sono un tipo che pensa sempre male, ma ho come il sospetto che se gli aggressori non fossero stati italiani se ne sarebbe parlato eccome: e questo non mi pare affatto bello.

Ultimo aggiornamento: 2013-06-27 11:16

Europeana e fondi

Europeana ha pubblicato un appello (in inglese, francese e tedesco, chissà come mai non in italiano) perché si tenga conto di loro nel budget complessivo dell’Unione Europa per gli e-progetti, che a quanto pare a partire dal 2015 sarà tagliato da 9 miliardi a uno (e dovrebbe ottenere fondi via le “Telecom Guidelines of the Connecting Europe Facility”… già il nome mi preoccupa).
Europeana, se non lo sapete, è una specie di aggregatore di contenuti culturali europei. Le petizioni non servono a molto, e non sono nemmeno certo che il semplice modello di Europeana (che non spinge le istituzioni a rendere disponibile il loro materiale per tutti gli usi) sia quello migliore. Però ho ancora dei dubbi sulla capacità degli strumenti puramente automatici (leggi Google) a indicizzare questo tipo di contenuto in maniera intelligente: qui abbiamo l’opposto del SEO. In definitiva, fate quello che volete, ma almeno siate informati.

Ultimo aggiornamento: 2013-06-26 10:51

Se fossimo in un paese serio

Giovedì scorso Giovanna Cosenza scrive questo post, su cosa è capitato a due suoi studenti che hanno avuto la disavventura di cercare di chiedere informazioni (per un esame universitario) a Tim. Cosenza racconta giustamente cosa i due studenti le hanno riferito, e fa giustamente notare che sarebbe meglio che una grande azienda fosse molto più attenta al suo comportamento – che è una cosa diversa dal fornire o no i dati – verso questo tipo di richieste.
Giovedì sera mi capita di vedere quel post. Telecom Italia è un’azienda molto grande, tanto per dire persino l’ufficio stampa non è monolitico: faccio presente la cosa alle mie conoscenze aziendali, e venerdì mattina so per certo che Cosenza è stata contattata. Non so ovviamente cosa sia poi successo, quello non è il mio lavoro ed è giusto che non abbia visibilità al riguardo. Quello che so è che ad ora il post non ha alcuna indicazione che la situazione è in movimento (movimento che può anche essere negativo, intendiamoci), tanto che un commento di stamattina sul blog ha come testo

L’ho postato sulla pagina FB della Tim – Vediamo se ce lo lasciano. E…se rispondono!

(e giustamente chi ha commentato non può sapere che hanno già risposto venerdì mattina, a meno che non abbia doti divinatorie)
Il post di Cosenza termina con un classico artificio retorico:

«Se fossimo in un paese serio un’azienda telefonica importante accoglierebbe la richiesta di due studenti con attenzione e curiosità, ne siamo convinti. E di sicuro nel giro di pochi giorni fornirebbe le statistiche richieste, o almeno parte di queste nel caso fossero in ballo dati sensibili. 
Ma siamo in Italia, e qui le cose vanno così.»

Anch’io voglio fare il piccolo retore: Se fossimo in un paese serio, un professore universitario che segnala un pessimo comportamento di un’azienda dovrebbe anche aggiungere cosa è successo in seguito. Non certo cancellare il post se le cose poi finiscono bene: le cose sono partite male, e il diritto all’oblio per quanto mi riguarda è una idiozia. Ma far sapere che anche se con le cattive le cose sono cambiate dopo la segnalazione questo sì: il lettore ha diritto ad avere un’informazione completa (e notate che non sto chiedendo nemmeno di sentire l’altra campana). Ma siamo in Italia, e qui le cose vanno così.
Aggiornamento (1. luglio) dopo dieci giorni è stato pubblicato un aggiornamento su come la vicenda è proseguita. Tutto bene – dal punto di vista della comunicazione del blog, intendo: per quanto riguarda la comunicazione Telecom/Tim non mi sembra il caso di esprimere giudizi – allora? No. Chi per caso facesse una ricerca e capitasse sul post originario non saprà mai che è successo dell’altro. Eppure non ci vuole molto: lo sto facendo io adesso con questo aggiornamento, che chiaramente è separato dal testo originario ma permette al lettore di farsi un’idea completa. Cosenza ritiene meglio avere un post separato? Ne ha pieno diritto e direi che abbia anche perfettamente ragione, ma se la piattaforma WordPress non aggiunge automaticamente i trackback ribadisco che una riga di aggiornamento con il link al nuovo post non è così complicata.

Ultimo aggiornamento: 2013-06-24 10:27

“sicurezza” PayPal

PayPal ha una strana usanza per accettare una carta di credito: ti fa un piccolo prelievo, tu aspetti che arrivi la transazione, copi la sigla vicino, e tutto è a posto (compresa la restituzione dei soldi). Tutto questo “per maggiore sicurezza”.
Ieri mi è arrivato il messaggio che dice che la carta di credito sta per scadere, e quindi dovevo aggiornare i dati. Anzi, che le carte stanno per scadere, perché c’era anche quella che avevo bloccato a fine novembre quando sono venuti i ladri a casa nostra. Bene, dico, già che ci sono elimino quella carta. Peccato che fosse quella “accettata”, e quindi ora debba rifare la procedura da capo.
Ma come, direte voi: gli acquisti PayPal venivano pagati su una carta di credito bloccata? Mannò, andavano sulla nuova, anche se non era stata accettata. Insomma, una volta che uno ha fatto accettare una carta, può aggiungere quelle che vuole. Bella sicurezza, vero?
Aggiornamento: (13 giugno) in realtà, nonostante tutto, PayPal ha continuato allegramente a prendere i soldi dalla carta di credito nuova anche prima che io la accettassi, il che di per sé ha anche senso. Quello che non ha senso a questo punto è associare la sicurezza a una singola carta, no?

Ultimo aggiornamento: 2013-06-12 07:00