Anche stavolta non sono d’accordo con Massimo Mantellini e la sua analisi della “caccia a Elena Ferrante”.
Intendiamoci. Su una cosa io e Massimo siamo sulla stessa linea: non ho mai letto un libro di Ferrante. (Devo aver letto una sua lettera, mi pare a proposito di una sua candidatura allo Strega, quindi non posso dire di non avere letto nulla di lei). Questo non per snobismo, ma semplicemente perché “ars longa, vita brevis” e ci sono troppi libri che mi interessa leggere: la narrativa non è tra le mie passioni. Devo però dire che tra i miei contatti un tiepido interesse sull’identità segreta della scrittrice c’è stato: è vero che parliamo di una bolla filtrante, ma è anche vero che chi legge libri e giornali ormai è una minoranza così sparuta che probabilmente ha una buona correlazione con le persone che conosco.
Anche il secondo punto portato da Mantellini, quello dei rapporti fra privacy e creatività, mi pare un po’ debole. Proprio perché Ferrante ha venduto tanto, in Italia e all’estero, senza che si sapesse chi sia non capisco cosa ci si guadagnerebbe o perderebbe dal vedere svelata la sua identità. Per un singolo libro l’anonimato potrebbe aiutare le vendite, ma già dal secondo prevale l’interesse per il testo (o il battage pubblicitario per le tante vendite del primo). Mettiamola così: per quanto mi riguarda, al più definirei il lavoro di Claudio Gatti “giornalismo inutile”, ma non mi preoccuperei più di tanto. E voi che ne pensate?
Ultimo aggiornamento: 2016-12-11 09:20