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Solomon Golomb

Domenica primo maggio è morto Solomon Golomb. Sono abbastanza certo che molti dei miei ventun lettori l’avevano sentito nominare, essendo stato citato molte volte nei libri di Martin Gardner. La sua idea più nota è stata quella dei pentamini, i dodici pezzi distinti che si possono formare unendo cinque quadratini per i lati. Essendo Golomb anche un oculato amministratore, il termine “Pentomino” è stato tra l’altro da lui registrato negli USA. Ma Golomb ha anche ideato i righelli di Golomb, che servono per misurare distanze intere con il minor numero di tacche disegnate su di essi – e se vi sembra una cosa inutile, provate a costruire un array di ricevitori di onde radio che testino frequenze multiple di una frequenza data, cercando di risparmiare sui ricevitori.
Trovate altre notizie su di lui sul sito della John Hopkins University.

Ultimo aggiornamento: 2016-05-06 14:50

Gianni Degli Antoni

Ho incontrato Gianni Degli Antoni (gda per tutti) una sola volta, a Crema nel 2001. Nonostante non fosse certo un giovanotto, essendo nato nel 1935, era ancora una forza della natura.
L’informatica italiana ha avuto molti padri, e Degli Antoni è stato sicuramente uno di loro, portando l’informatica a Milano e contribuendo a fondare il dipartimento di Scienze dell’Informazione. Ma quello che non è facile capire guardando semplicemente le fonti scritte è la capacità che ha avuto di formare tantissimi studenti. Insegnare è relativamente facile. Formare non lo è per nulla.

Ultimo aggiornamento: 2016-04-12 20:51

Uso privato di blog privato

Io vivo a Milano ormai da quindici anni. Ma dal 1970 al 2001 (e saltuariamente ancora per un paio d’anni) ho abitato a Torino, in Borgata Lesna. Un microcosmo – chiuso tra ferrovia ed ex caserma ora centro di espulsione – dove tutti si conoscevano tra di loro e che sento ancora come mia casa. Potete immaginare come mi sono sentito ieri quando ho saputo che erano morte due persone che ho frequentato per decenni.
Carlo Oddone è stato il maestro elementare di mio fratello: ma considerando che anche mia madre insegnava all’Ottino e – pur non essendo nello stesso anno – collaboravano spesso per varie iniziative era una figura di casa da noi. Sempre tranquillo, una persona affidabilissima e generosa.
Adriano Bulgarelli è stato il mio medico della mutua per anni, anche dopo che mi ero trasferito a Milano: e le volte in cui mi capitava di passare in settimana a Torino non mancavo comunque di fare un salto nello studio per salutarlo. Era una persona meravigliosa, sempre di ottimo umore nonostante tutte le traversie anche fisiche che gli erano capitate.
Che dire? Anche queste sono le radici che si stanno man mano seccando.

Ultimo aggiornamento: 2016-03-13 19:22

George Martin

È un po’ ironico che la notizia della morte di sir George Martin (quello senza R.R. in mezzo, tanto per essere chiari) sia stata data da Ringo Starr. Quando Martin siglò il contratto discografico con i Beatles, infatti, la formazione vedeva ancora Pete Best alla batteria, e il produttore disse a John e Paul che il loro compagno poteva andare bene per i concerti live dove tanto non si sentiva nulla, ma non per le registrazioni. Il duo probabilmente non aspettava altro, fece fuori Best (la cui idea di suonare la batteria era “facciamo casino”) e recuperarono il loro amico Ringo… che però si trovò il posto fregato dal session man Andy White per registrare Love Me Do. Vabbè, poi si sono spiegati.
George Martin aveva bisogno dei Beatles: la sua carriera come capo produttore alla Parlophone era abbastanza traballante e c’era bisogno di una spinta. Ma i Beatles avevano bisogno di George Martin. Erano bravissimi a creare melodie ed armonie, ma questo non basta per avere un disco valido. Ci sono mille minuzie a cui fare attenzione. La magia è stata trovarsi e capirsi, come si è visto per il secondo singolo: Martin spingeva per How Do You Do, scritta da altri, il quartetto contropropose Please Please Me e alla sua stroncatura “quel brano non funziona” risposero rifacendolo da capo con i risultati che poi si videro. Non sembra, ma non è affatto facile trovare un rapporto di questo tipo.
Insomma, non so se possiamo chiamarlo “il quinto Beatle”, ma sicuramente è stato un personaggio chiave, che ha avuto una lunga e interessante vita e la cui morte ha reso un po’ più tristi tutti noi fan del quartetto di Liverpool.

Ultimo aggiornamento: 2016-03-11 19:45

Umberto Eco

Per quelli della mia generazione Umberto Eco era un po’ come – absit iniuria verbis – Mike Bongiorno: una presenza continua in sottofondo, tanto che ritenevamo impossibile riuscire anche solo a pensare un mondo senza di loro.
Eco aveva una cultura incredibile, e io ho sempre considerato il suo inventarsi come romanziere come un divertissement: di strepitoso successo, ma comunque un modo per far vedere come era bravo. Da questo punto di vista, forse i Diari Minimi e le Bustine di Minerva lo dimostrano ancora di più. Come scrive il Post,

Eco voleva specializzarsi in tutte le discipline del sapere o almeno nel maggior numero possibile, non avendo paura di esprimersi sulla cultura in ogni sua forma, dalla televisione, al fumetto, dalla filosofia medievale alla letteratura contemporanea, dalle canzoni alla semiotica alla politica.

Io non ho letto chissà quanta roba di Eco, almeno per quanto riguarda la narrativa: a Il nome della rosa ci sono arrivato anni dopo la pubblicazione, poi ho saltato quasi tutto il resto della sua produzione di narrativa con un’unica eccezione. Mi è piaciuto davvero tanto La misteriosa fiamma della regina Loana, un’opera probabilmente minore e volutamente minore, visto che i veri protagonisti sono i fumetti tra le due guerre mondiali. E dite nulla.

Ma c’è un ma. Non è vero che Eco si volesse specializzare nel maggior numero di discipline possibili, e questo dovrebbe essere chiaro a tutti. No, non sto pensando alle sue invettive contro Internet, anche perché ne ho già parlato a iosa l’anno scorso. Diciamo che per quanto mi riguarda la sua analisi era ottima, ma le conclusioni no. (Ah, a proposito: lo sapevate che l’avevamo intervistato per Wikinews?) Il suo era il punto di vista dell’intellettuale che comprende perfettamente che la legge di Sturgeon è ottimista, ma non ha nessun interesse a fare in modo che le cose cambino – a meno naturalmente che non si considerino tutte le enciclopedie multimediali da lui firmate.

Il fatto è che Eco ha sempre snobbato tutta la parte della cultura scientifica. Non sto parlando della téchne: come accennavo sopra, quella per lui era un semplice strumento che usava tranquillamente, seppur con le sue idee. È proprio il resto che per lui non esisteva: in questo senso Eco è stato davvero l’ultimo crociano, con l’aggravante che proprio per la sua sterminata cultura umanistica in senso lato è stato la persona che da solo ha fatto più male di tutti all’idea che esista un’unica cultura. (No, chi parla delle due culture lo fa di solito per metterle in un ordine gerarchico. Non lasciatevi abbindolare). Ecco, questo non glielo potrò mai perdonare.

(p.s.: e se questo necrologio non vi piace, potete sempre andare da Leonardo che come ovvio prende le cose da un lato completamente diverso)

Ultimo aggiornamento: 2016-02-20 22:10

Tecla Dozio

Incontrai per la prima volta Tecla Dozio all’inizio degli anni ’90. Il Web non esisteva, Internet c’era ma solo per pochi intimi e sicuramente non per fare e-commerce, e acquistare libri che non fossero bestseller o scolastici – e magari, Dio non voglia, addirittura non in italiano! – non era mica così facile. Io e un gruppetto di amici fidonettari avevamo l’abitudine di fare un ritrovo annuale a Milano in giro per librerie: uno dei nostri passaggi obbligati era la libreria del giallo (la Sherlockiana) in piazza san Nazaro in Brolo. Non che fossimo amanti dei gialli, ma Tecla aveva un’ottima sezione di fantascienza e da ottima libraia qual era sapeva anche darci delle buone dritte.
Quando poi mi trasferii a Milano scoprii che avevamo un amico comune, Aldo Spinelli: mi capitò quindi qualche volta di trovarci negli stessi posti, oltre naturalmente che nella libreria, anche dopo il suo spostamento dietro l’Arco della Pace e fino alla chiusura anche di quella sede. Sapevo che aveva deciso di trasferirsi in Lunigiana, non sapevo che fosse malata.

Ultimo aggiornamento: 2016-02-08 12:20

Glenn Frey

Su David Bowie non avevo scritto nulla, tanto lo stava facendo tutto il mondo: per Glenn Frey però due parole le spendo volentieri.
Gli Eagles hanno avuto una grande fregatura: quella di avere composto Hotel California che è una di quelle canzoni che sono così famose da fare arricciare il naso alla gente. Oh, a me continua a piacere, ma questa è un’altra storia. Ma la cosa divertente è che avevano cominciato a comporre musica tendente al country&western, salvo poi virare quasi immediatamente sul pop-rock che negli anni ’70 andava così di moda. Poi è arrivato Joe Walsh e le cose sono precipitate: il gruppo si è sciolto, salvo qualche riunione per guadagnare un po’ di soldini dai tour e dalle raccolte, e il povero Frey è stato eclissato dal compare Don Henley :-(

Ad ogni modo, lasciate pure perdere Hotel California e fatevi un giro sulla loro discografia. Io vi lascio con un link a una canzone che a me dice molto… ricordi di quasi trent’anni fa, quando ero giovane e stupido: Wasted Time. (Ora sono anzyano e stupido, ça va sans dire)

Ultimo aggiornamento: 2016-01-19 09:41

Amir D. Aczel

Paolo Marino mi segnala che Amir Aczel, l’autore di L’enigma di Fermat, è morto a 65 anni, di cancro. Leggendo il necrologio sul Washington Post ho scoperto che Aczel era di origini israeliani e aveva scritto libri di matematica “seria” prima di scoprire la sua vena divulgativa. Peccato che il Washington Post sia statunitense e non britannico, perché l’inciso «Anche se alcuni matematici hanno ritenuto “Fermat’s Last Theorem” semplicistico» è davvero umoristico. È chiaro che le tecniche usate per dimostrare l’ultimo teorema di Fermat sono a livello superiore a quello studiato all’università, anche a matematica. Come vuoi spiegare alla gente di che si parla, senza scendere nel semplicistico? Se volete, il guaio è che c’è chi pensa che sia meglio non spiegare nulla, perché i beoti non capirebbero comunque.
Dopo il successo editoriale, Aczel si è riciclato come divulgatore scientifico: la cosa buffa – sempre scoperta dal necrologio, io sapevo solo dei libri fisico-matematici – è che ha scelto la strada opposta a quella di Piergiorgio Odifreddi, scrivendo il libro Perché la scienza non nega Dio dove rintuzza le idee di Richard Dawkins affermando che naturamente non ci sono ragioni scientifiche per affermare l’esistenza di un dio, ma nemmeno per negarla.

Ultimo aggiornamento: 2015-12-15 14:55