Nel mio socialino di nicchia ieri c’è stata una discussione a proposito di questo articolo, che spiega che due ricercatori intendono modificare un algoritmo che predice il moto dei pianeti del sistema solare per controllare il plasma nei reattori sperimentali a fusione dei laboratori di ricerca. L’articolo però non entra in particolari su questo campo di ricerca, e si dilunga invece su temi filosofici, partendo dall’algoritmo “astronomico” originario: in pratica, si chiede se ha senso fare scienza senza cercare leggi scientifiche ma semplicemente ammassando dati e ricavando regole di inferenza. Per la cronaca, l’articolo originale è sul sito del PPPL, con un paio di frasi in più e riferimenti a Matrix molto minori, ma sempre con questa deriva psicologica. È vero che nell’originale l’ultima frase pare evitare l’idea di una fisica senza leggi: Palmerduca afferma infatti che “questa tecnica può anche portare allo sviluppo di una teoria fisica tradizionale. È vero che in un certo senso nega la necessità di una teoria, ma può anche essere vista come un percorso per arrivarci. Quando cerchiamo di trovare una teoria, vogliamo avere quanti più dati possibile. Se non ne abbiamo abbastanza, possiamo usare il machine learning per riempire i buchi nei dati oppure espandere il dataset”. Questo è un concetto che mi fa rabbrividire, ma lasciamo perdere.
Detto questo, la teoria scientifica (che per le orbite dei pianeti vi ricordo essere solo approssimata, visto che anche il problema dei tre corpi non è risolvibile in forma chiusa) è semplicemente un modo per impacchettare conoscenza e farle occupare meno spazio. Se hai TANTI dati puoi trovare gli stessi risultati senza conoscere le leggi scientifiche, esattamente come puoi moltiplicare due numeri di sei cifre se hai qualche terabyte di spazio dove salvi tutte le moltiplicazioni possibili e lo usi come un’enorme tabellina. Fin qui, insomma, nulla di veramente nuovo. È vero, come mi hanno fatto notare nel socialino in questione, che in questo caso l’articolo parla di “algoritmo” e non di una tabellona da consultare; ma il concetto di base resta più o meno lo stesso. Al limite, filosoficamente parlando, potremmo discettare se un impacchettamento della conoscenza ancora maggiore ma incomprensibile alle nostre menti si possa considerare un miglioramento rispetto alle leggi scientifiche; ma non credo siamo arrivati a questo punto.
Tornando all’articolo, c’è un’altra frase che manca nella traduzione: «“If we live in a simulation, our world has to be discrete,” Qin said.» Per come la vedo io, Qin (e ovviamente il dottorando Palmerduca) sono partiti dall’idea “se il mondo fosse una simulazione, allora anche noi possiamo lanciare simulazioni ancorché più grossolane e ottenere risposte”; ma naturalmente A→B non è la stessa cosa che B→A, quindi tutto questo non dice nulla su come è fatto il nostro universo. Detto tra noi, poi, non vedo nessuna ragione logica perché – pur ammesso che il nostro universo sia una simulazione – questa simulazione debba necessariamente essere digitale e non analogica. Il fatto che noi siamo diventati bravini con le simulazioni digitali non significa che siano l’unico modo teoricamente possibile di fare una simulazione.
In definitiva, è interessante l’idea che una procedura di machine learning possa forse essere adattata per un problema del tutto diverso; ma sarei molto cauto a passare alla metafisica…
Dov’era? non l’ho vista passare, avete qualche stanzetta segreta dove vi trovare a decidere i destini del mondo?
è l’utente Isola Virtuale col nuovo nome e lucchettato, per quello non l’avrai vista.
effettivamente non ero iscritto! grassie!
Grazie per l’articolo, è interessante il campo di applicazione, anche se non aggiunge niente di nuovo a quanto già viene fatto.
La Fisica (almeno quella teorica) già da tanti anni ha mandato di base all’aria il metodo scientifico in quanto tale, quindi se qualcuno mette in piedi qualcosa che produca un effetto previsionale senza capirci una beata mazza, beh, è una logica continuazione (oddio anche in matematica succede qualcosa di simile, per certi versi).
Sul discreto/analogico (o continuo) ho le idee meno chiare, lo ammetto. Alias, possiamo essere davvero sicuri che una simulazione possa essere solo ed esclusivamente discreta? Oppure semplicemente stiamo anteponendo il nostro modo di vedere le cose (che è squisitamente discreto e non continuo) a quello che è il mondo? Oppure non è che Qin pensi che in realtà il mondo è sempre discreto e non continuo, quindi la distinzione non esiste, e che potremmo essere tutti presi in giro?
da quello che ho capito io dall’articolo, Qin pensa che il mondo sia discreto. Io non ho idea se il mondo sia discreto (come sembrerebbe dire la fisica quantistica) o continuo, però credo che la mia generazione lo veda come continuo, mentre credo che quelle nuove lo vedano discreto.
Poi come dicevo io non vedo nessuna ragione a priori per cui le simulazioni debbano essere discrete.
Indubbiamente il fattore culturale è importante, e ci può essere una differenza fra generazioni (anche se penso che le differenze non dipendano tanto dall’età ma dal percorso formativo delle persone).
Una simulazione veramente continua è comunque non banale, IMHO.
Io non ho nessuna idea di come fare una simulazione analogica che non sia un giocattolino, figuriamoci. Quello che intendo dire è che il nostro punto di vista (e qui stiamo anche parlando della mia generazione, quella precedente non so) è così imbevuto delle architetture digitali che corriamo il rischio di pensare che siano l’unico modo per simulare qualcosa.