Sabato scorso Repubblica aveva un articolo a tutta pagina, con richiamo in prima, dal titolo “Lo studente, l’ingegnere – Nuovo colpo alla rete dei ladri di giornali”. Purtroppo non l’ho trovato in rete, evidentemente i ladri non sono riusciti a rubarlo. (Ci sarebbe anche l’elzeviro di Bonini che ricorda al colto e all’inclita che gli editori stanno ancora aspettando il recepimento della direttiva europea per farsi dare i soldi da Google, ma per stavolta soprassediamo). Poi uno legge l’articolo e scopre che delle otto persone che si sono viste arrivare la Guardia di Finanza che ha loro sequestrato tutto, al momento a essere accusati di violazione di copyright sono solo in due, e l’unico di cui è certa l’occupazione fa il pescivendolo. Capisco che in effetti dire “un pescivendolo ladro di giornali” farebbe immediatamente venire in mente una sfilza di battute e quindi qualcuno ha pensato bene di glissare.
Detto che – almeno secondo quanto scritto – il pescivendolo in questione chiedeva proprio degli abbonamenti e quindi non ha nessun tipo di scusante, mi chiedo esattamente cosa pensava Chiara Spagnolo quando ha scritto che “un altro modo per conseguire profitti illeciti potrebbe esere il collegamento ad Amazon”: libri e giornali erano usati “come esche” per mandare i malcapitati utenti sul sito della multinazionale, “che per ogni acquisto effettuato passando da quel link riconosceva commissioni fino al 10%”. Immagino che anch’io mi troverò insomma una visita degli uomini in grigio: è chiaro che le recensioni dei libri che ho letto, e che hanno anch’esse un link ad Amazon con il mio referrer, sono delle esche. Ancora poco tempo e potrò ritirarmi alle Bahamas… Ma è ovvio che GEDI e Caltagirone sono entrati in guerra, e la propaganda non si ferma certo di fronte alle idiozie.
Credevo che pescivendoli e lavavetri fossero gli unici ad avere ottime ragioni professionali per rubare i giornali cartacei, eppure qui pare trattarsi di pdf. Umm, la trama criminale è sempre più oscura.