Quando la settimana scorsa ho raccontato perché io scrivo, c’è stato un piccolo thread al riguardo su Facebook, dove al mio commento “mi sa che scriverò un pippone sulla differenza tra postare su FB e scrivere su un blog” il mio amico Gionata ha ribattuto da un lato aggiungendo lo scrivere libri e dall’altro dicendo di essere curioso del perché io trovassi una differenza, visto che per lui era la stessa cosa. Insomma, il pippone ve lo trovate anche questa volta, con la solita avvertenza che quello che scrivo è il mio personale punto di vista e che potrebbe essere una posizione di assoluta minoranza.
Io non credo di avere mai avuto il blocco dello scrittore. In prima elementare scrivevo pensierini a raffica. Al triennio del liceo, consegnavo i temi in un’ora e mezzo: quattro paginette (non usavamo fogli protocollo) scritte direttamente in bella perché sono pigro, con risultati non eclatanti ma nemmeno disprezzabili. In realtà mi capitò una volta in prima liceo di prendere un 5 e mezzo su un tema manzoniano, per l’ottima ragione che come al solito non avevo studiato e quindi mi sono dovuto arrampicare sugli specchi; il professore – che aspettava solo una mia insufficienza – mi costrinse a scrivere in brutta e per un anno e mezzo io diligentemente copiai in brutta il tema che avevo appena scritto in bella. Attenzione, però. Non è che io scrivessi, o scriva, di getto: semplicemente ai tempi mi fermavo un attimo, componevo mentalmente la frase da scrivere, e la mettevo su carta.
Da quando poi ci sono i computer il mio modo di scrivere i post è cambiato. Solitamente ci penso un po’ su prima di cominciare a scrivere, creando qualche frase ad hoc che mi dimentico subito; poi comincio a scrivere a spizzichi e bocconi – questo post ce l’ho in bozza da due giorni – ma soprattutto mentre scrivo torno spesso indietro a correggere e migliorare delle frasi che non mi suonano tanto bene. Esatto: mantengo nella mia memoria di lavoro due o tre sezioni del testo. Non ve lo consiglio, ma per chi è abituato a lavorare così non è poi molto complicato. Alla fine non rileggo mai, visto che tanto l’ho fatto man mano: ecco perché vi trovate spesso dei tag non chiusi o chiusi in modo errato, o addirittura frasi lasciate a metà perché l’algoritmo mentale di composizione ha avuto un interrupt, magari un gemello che viene a chiedermi per l’ennesima volta qualcosa.
A parte queste mie peculiarità, un post è insomma per me un’unità logica che deve avere una sua struttura interna ben precisa, e la deve avere per quanto possibile anche nel futuro non meglio identificato. Un messaggio in un social network no. Fosse anche un pippone da venti righe, è qualcosa che butto giù tutto in un fiato, senza stare troppo attento alla struttura logica della frase se non per far sì che il testo sia comprensibile a chi mi legge. Eventuali errori di ortografia li correggo dopo, perché mi dà fastidio vederli; però il messaggio è qualcosa che per me vale solo nel qui-ed-ora. Naturalmente mi è sempre chiaro che una qualunque cosa scritta in rete è per sempre, e quindi non scrivo cose di cui potrei pentirmi in futuro; mi daranno magari del cretino, ma tanto ci sono abituato!
E scrivere libri? Non lo so, non ne ho mai scritti :-) Seriamente, i libri che ho scritto non sono saggi veri e propri, ma insiemi di capitoli che possono essere letti indipendentemente. Questo significa che da un certo punto di vista li ho scritti come se fossero dei post un po’ più lunghi del solito, e non ho mai avuto bisogno di pensare a un livello più alto, quello del fluire del testo – la struttura, se volete chiamarla così. La massima dimensione a cui sono arrivato sono le 22mila battute del librino su David Foster Wallace e la matematica e le 45mila battute di Matematica e infinito che però oggi riscriverei da capo; prima di parlare di libro ce ne vuole. Di per sé ho un paio di progetti per un libro vero e proprio, ma nessuno me li ha mai accettati e quindi se ne stanno lì fermi.
Qualcosa posso però dire sulla differenza di approccio che ho. Mentre come scrivevo sopra i post sono pensati prima e durante, ma poi partono d’improvviso, i miei libri hanno una genesi del tutto diversa. Li scrivo, in un ordine più o meno casuale; li lascio decantare; li riscrivo quasi da capo, perché non mi piace per nulla quello che ho scritto. (Detto tra noi, quello è stato il vero motivo per cui a scuola avevo smesso di scrivere la brutta: tanto poi riscrivevo da capo in modo diverso, e la cosa mi scocciava alquanto). Poi ci sono i lettori alfa che mi danno un feedback, e un’altra serie di giri di riletture e riscritture, si spera sempre di meno, fino a che il risultato non mi pare soddisfacente. La mia visione di un libro è insomma ancora diversa da quella di un post o di un messaggio. Il libro, come il post e a differenza del messaggio, è pensato per durare; ma il post nasce per la discussione immediata, mentre nel libro il polishing, la rifinitura insomma, diventa fondamentale.
Tutto questo vale ovviamente per me, che non scrivo per mestiere. Per altri le cose potrebbero essere diversissime. Voi per esempio cosa ne pensate?
Non sono fortunato come te nello scrivere, ma quello che dici non mi suona per nulla nuovo. Direi che, a parte avere un processo più faticoso e tortuoso per arrivare alla forma finale, quanto fai rispecchia il mio sentire.
Intanto grazie per il post. Io ho sempre avuto un rapporto ambivalente con la scrittura: ho poca fantasia e sono una persona che interpreta tutto in maniera letterale, ma soprattutto scrivo solo l’essenziale, in modo molto striminzito. Infatti a scuola tutti i temi “immagina di scrivere al tuo amico di penna”, “inventa una storia” e simili li ho sempre fatti male. Italiano al liceo classico (a cavallo tra gli anni 90 e 2000), dove per mia esperienza se un testo non è infiorettato e sbrodolato non è degno di attenzione, è stato il mio tallone d’Achille. Poi all’università qualcosa è cambiato: ho raggiunto uno stile ancora molto conciso, ma chiaro e corretto, che finora è stato sempre apprezzato. Hanno aiutato l’uso del computer, un po’ più di fiducia e qualche corso di scrittura accademica (in realtà in inglese). Però se mi trovo di fronte il foglio protocollo e devo scrivere a penna in un periodo limitato di tempo ho ancora grossi problemi.
Ecco, fortunatamente non ho mai avuto professori che amassero la scrittura barocca. (Ma forse non esistono, siamo noi che credevamo così perché eravamo convinti che per scrivere a sufficienza si dovesse sbrodolare). Paradossalmente uno dei miei temi peggiori fu quello della maturità, perché trovarmi con sei ore a disposizione mi fece appunto scrivere troppo…
Ciao, mi ritrovo pienamente nel tuo pensiero e nelle distinzioni che fai a proposito dei tre tipi di scrittura (anche se non ho mai scritto un libro).
Forse l’unica differenza è che fin dai tempi della scuola ho sempre curato lo stile e la forma di ciò che scrivo in maniera quasi maniacale per cui mi viene naturale farlo anche in un commento di una riga su fb.
Personalmente rileggo sempre i miei lavori, lunghi o corti che siano perche’ ho la tendenza ad avere le idee piu’ veloci della scrittura, il che implica cattiva calligrafia se scritti a mano o typo a computer. La “brutta” per me era proprio brutta con la mia zampa: ricopiavo tutto piano per renderla leggibile. Col computer e’ meglio ma rimangono i tasti “mangiati”.
Cio’ detto, ho scritto un capitolo di un romanzo a piu’ mani per un corso di scrittura creativa anni fa, ed il lavoro e’ molto differente da quello di un racconto (o di un post) non tanto per la rifinitura, ma per la struttura. Un romanzo “parte” se ha dietro una impalcatura studiata a tavolino prima. Questo lavoro non impatta direttamente lo stile del romanzo, ma ne determina l’ambientazione, la caratterizzazione dei personaggi, il contesto.
In un saggio il lavoro e’ analogo: prima l’impalcatura, poi ci si appoggia sopra il contenuto.
In entrambi come dici tu, il “decantare” puo’ occorrere, anche la scrittura a getto di post di capitoli, sempre pero’ in una cornice determinata a priori. Per quanto mi riguarda un post puo’ avere la stessa rifinitura di un capitolo di un libro.
Nei libri l’impalcatura l’ho data così per scontata che non ne ho nemmeno parlato. Per dire, i miei famosi due progetti hanno al momento l’impalcatura e un paio di capitoli ciascuno. Ma credo che l’impalcatura da sola non basti; la struttura è molto più complessa, con rimandi continui che di solito non sono nemmeno espliciti. Senza arrivare a Perec e alla sua La vita – istruzioni per l’uso, occorre una mappa concettuale non banale.
Probabilmente io riesco a tenere a mente contemporaneamente una mappa sufficiente per un post, ma non per un libro.
“Ma credo che l’impalcatura da sola non basti; “
Dipende dalla definizione di impalcatura. La mia (cosi’ come mi e’ stata insegnata) e’ piuttosto ampia, ed include una serie di cose non banali e numerose. La cosa interessante e’ che molto dell’impalcatura rimane fuori dal romanzo, ma ne aumenta la coerenza interna e, nel caso di romanzi appartenenti ad una serie, ne determina il respiro, il tono, il lungo orizzonte. Per un saggio e’ diverso, ma non molto.
“Probabilmente io riesco a tenere a mente contemporaneamente una mappa sufficiente per un post, ma non per un libro.”
La ritengo una ipotesi corretta.
Io scrivo un blog a tema sportivo (che non inserisco qui perché sennò sembra che mi faccio pubblicità). Le idee migliori mi vengono quando sono in qualunque posto tranne davanti alla tastiera. Quando scrivo, cerco di ricordare queste “idee migliori” ma sostanzialmente vado a braccio e non riesco mai a ricreare lo stesso scorrimento agile e le stesse idee brillanti che avevo in mente qualche ora prima. Inoltre sono una frana nei finali. I miei post sui social sono pochissimi e non li prendo in considerazione come paragone con i vari capitoli del blog