Leggo su BusinessInsider un’intervista al professor Carlo La Vecchia, professore di statistica medica ed epidemiologia alla Statale di Milano. A parte il titolo dell’articolo, su cui sono abituato a fare la tara, ho trovato preoccupanti alcune delle sue affermazioni.
Il problema non è tanto la frase “Qualsiasi modello per una epidemia così nuova non è in grado di cogliere quando cambia la curva dei contagi”, che è più o meno quello che ho detto nelle scorse settimane ai miei amici – soprattutto fisici, chissà perché – che erano lì belli pronti a trovare il miglior fit esponenziale ai dati che arrivavano. Trovo molto peggiori frasi come “I modelli per l’evoluzione dei tumori sbagliano pochissimo perché abbiamo tantissime informazioni”, mentre in questo caso i modelli di diffusione del contagio “sono modelli basati su quello che è già successo e che non sono in grado di prevedere cosa succederà”. Rileggete quest’ultima frase, e pensate un attimo a quello che succede con le epidemie annuali di influenza. La situazione è esattamente la stessa, quindi possiamo tranquillamente dire che non siamo in grado di prevedere cosa succederà ogni anno con l’influenza.
In effetti un fondo di verità c’è: per esempio quest’anno l’influenza è stata meno virulenta del previsto (bella consolazione, direte voi). Ma questo non significa affatto che i modelli matematici siano da buttare. Semplicemente abbiamo meno dati e quindi le previsioni sono più volatili; ma per esempio possiamo già vedere cosa è successo in Cina e Corea del Sud, dove l’epidemia è scoppiata prima, e sfruttare quei dati più completi per fare qualche utile statistica su cosa può capitare da noi (e su cosa capiterà negli altri paesi che a quanto pare sono sette-dieci giorni indietro rispetto a noi). Come diceva il mio professore di fisica all’università, “meglio un cattivo numero che nessun numero”; un conto è avere un’idea di quello che potrà succedere pur sapendo che non è detto sarà così, ben diverso è brancolare del tutto nel buio. Potrà poi sembrare paradossale, ma è possibile creare modelli ragionevoli anche senza avere a disposizione tutti i dati precisi, ma limitandosi a fare stime ragionevoli. Gli errori ci saranno sicuramente, ma non si moltiplicheranno; quindi si può sapere in che direzione stiamo muovendoci.
Ma soprattutto un’intervista come quella è pericolosa per una ragione per così dire “sociale”. Io non sono uno di quelli che pensa che con la matematica si possa sapere tutto, basta inserire i numerini giusti, mischiare un po’, girare la manovella e tirare fuori il risultato. Ma la persona media che già odia per conto suo la matematica si sentirà ancora più rafforzata nella propria convinzione, visto che le stesse cose le dice un luminare. Eppure sarebbe bastato poco per presentare i medesimi dati in maniera più positiva: bastava dire che non ci sono ancora numeri a sufficienza per dare una risposta esatta a quando finirà la pandemia e neppure a quando raggiungeremo il picco di nuovi casi, ma possiamo man mano affinare le nostre previsioni. Tutto questo perché la matematica è utile, volenti o nolenti.
condivido il tuo pensiero. Ho tenuto conferenze e lezioni sulla utilità e accuratezza della reportistica, in sanità ma non solo.
Ho letto sul Sole che il tasso di morti in Italia per Covid-19 e’ superiore a quello registrato in altri stati, e nell’articolo si desumeva che se il modello e’ lo stesso, il numero di infetti debba essere molto maggiore di quello ufficialmente riportato.
In effetti posso personalmente confermare questo fatto: un conoscente si e’ ammalato con sintomi assolutamente compatibili, ma ufficialmente non e’ conteggiato non avendo fatto il tampone. E perche’ mai direte voi? Perche’ oggi se vi autocertificate, prima di farvi il tampone dovete denunciare chi vi ha contagiato/chi avete incontrato e prima viene fatto il tampone a loro, poi a voi. E ci vogliono diversi giorni…
Il modello c’e’, ma i dati sono per un motivo o per l’altro, incompleti. Inoltre ho il sospetto che lo stato abbia tutto l’interesse a mantenere bassi numeri, cosi’ come sono convinto che in certi stati come gli USA il numero degli infetti sia mooolto piu’ alto, ma molti poveracci senza assicurazione medica periranno sotto altri motivi, sempre per effetto colata di cemento.
Trovo questo anche piu’ preoccupante…
il 20% dei tamponi fatti sono positivi, per persone ritenute a rischio
sicuramente ci sono molti più infetti, e sicuramente abbiamo dati non coerenti, il che aumenta la varianza. Ma per esempio l’andamento dei morti – a meno che qualcuno non decida di ascriverli alle altre morbilità – resta valido…
tra gli effetti collaterali della pandemia, temo che quest’anno il Pi Day passerà in sordina. Ce ne faremo una ragione.
festeggeremo il Tau Day il 28 giugno, spero…
Ho letto solo ora delle scelte francesi sul tema e del supporto “scientifico” da cui derivano. Argh, credevo che questi baloccamenti statistici fossero solo un simpatico passatempo per chi non ha voglia di studiare biologia, non che fossero giochetti potenzialmente mortali se dati in mano a politicanti di scarso livello!
Di questi tempi non si può proprio scherzare: qualsiasi cretinata si dica c’è sempre il rischio di essere presi sul serio.