Ieri Pierluigi Ricolfi ha scritto un editoriale intitolato “La civiltà del silenzio/ Una modesta proposta per combattere l’odio sul web”. Direi che è arrivato un po’ in ritardo, non tanto rispetto a Jonathan Swift quanto a Christian Rocca che questa primavera ha pubblicato il pamphlet Chiudete Internet – una modesta proposta (il libro non mi è piaciuto, ma ne parlerò a fine settimana tra le mie recensioni).
Su Twitter trovate qualche commento, con Fabio Chiusi che scrive “Purtroppo invece è importante perché fornisce l’ennesima conferma di come si concepisce Internet in certi ambienti (che contano): come una Grande Tv”, riferendosi immagino alla frase «molti sarebbero ben felici di pagare un abbonamento, verosimilmente meno costoso di quelli del calcio, per proteggersi dal flusso di informazione indesiderata che ci tormenta 24 ore su 24.» Potrei chiosare che non c’è nulla di nuovo. Raoul Dhesi ancora alla fine degli anni ’80 del secolo scorso proponeva un sistema in cui era necessario fare un micropagamento per inviare mail a qualcuno; nel caso la mail fosse stata accettata, i soldi spesi sarebbero stati rimborsati. Putroppo non se ne è fatto nulla, perché anche settando una cifra assolutamente infima lo spam diventerebbe ineconomico. Ma non divaghiamo.
Essendo io una brava persona, ho letto tutto l’editoriale di Ricolfi e devo dire (non ironicamente) che c’è un punto che mi trova a favore: quello dove afferma «Se vogliamo frenare la circolazione dell’odio, innanzitutto in rete ma non solo, la prima regola dei media dovrebbe essere: negare lo spazio. O, se preferite: non farsi strumentalizzare. Perché è un po’ ipocrita indignarsi per la volgarità della comunicazione pubblica quando ci si presta quotidianamente a farle da megafono.» È forse un paradosso, ma il fatto stesso che per la generazione di Ricolfi una cosa diventa importante solo se ne parlano i media permetterebbe di vedere quanto effettivamente i media fanno da cassa di risonanza: e non vorrei sbagliarmi, ma la cosa conta davvero. È purtroppo ovvio che con i media che cercano disperatamente click quella modesta proposta non sarà mai messa in pratica, però è bello baloccarcisi un poco, non trovate?
Non so dove l’ho letto, ma i media tradizionali sul web contano tantissimo per propagare le opinioni e i fatti e quindi sì, hanno una responsabilità notevole sulle stupidaggini che usano per attirare visualizzazioni. Che queste stupidaggini siano censurate su queste piattaforme non accadrà mai (esclusa qualche rara eccezione), perché appunto servono per rimanere in cima alle visualizzazioni. — Da parte dei lettori è ora che si insegni a scegliere i propri canali di informazione. C’è un sacco di gente appassionata e preparata, in Rete, che fa ogni giorno un ottimo lavoro di informazione, divulgazione e insegnamento.
Ma “ineconomico” è in itagnolo antico oppure si usa al posto di antieconomico?
ieri sera non mi veniva in mente la parola. e aneconomico era troppo un calco dall’inglese per usarlo senza problemi.