Un anno fa, mentre la direttiva europea sul copyright stava arrivando al dunque, ho partecipato a un panel di persone tecnicamente interessate per una ragione o per un’altra alla direttiva. Io ero naturalmente presente con il cappellino di Wikimedia Italia, e nel mio intervento ho tra l’altro detto che ci mancava ancora che la direttiva vietasse di usare liberamente l’URL di un articolo di giornale, perché in tal modo si romperebbe Internet. Enzo Mazza, che ha parlato dopo di me, ha subito zittito il “ragazzino” affermando che lo stesso si diceva per la musica gratuita, ma alla fine il mercato discografico è riuscito a far valere le proprie (giuste, neh) ragioni e ora si può legalmente ascoltare musica in streaming pagando il giusto compenso. D’accordo, il paragone non c’entrava nulla, perché io non stavo dicendo che si potevano liberamente copiare gli articoli di un giornale, ma non impuntiamoci sui particolari.
Ora, Enzo Mazza è da decenni ai vertici della FIMI, l’associazione dei discografici italiani, e quindi lo pagano – spero per lui bene – per dire queste cose, anche se probabilmente le pensa anche. Nessuno invece mi paga per dire le mie cose, e quindi ho l’inestimabile libertà di poter cambiare idea se mi accorgo di avere sbagliato, e la mia affermazione di allora aveva almeno due errori. Il primo è che avrei dovuto dire “web” e non “Internet”. Il secondo è che quello che romperebbe il web non sono le URL non libere, ma il DNS. Senza DNS non puoi arrivare da nessuna parte (no, non basta l’IP con HTTP/1.1), mentre senza URL libere non cambia molto in assoluto, perché il sito può implementarsele internamente. Quindi Mazza aveva ragione e io torto.
Perché racconto tutto questo solo ora? Beh, mi è tornato in mente leggendo questo articolo di Prima Comunicazione dove si legge che la commissaria alla concorrenza Vestager sta controllando con i francesi il modo in cui Google ha ottemperato alla direttiva copyright (ne avevo parlato, ricordate?) affermando che «può verificarsi un problema di biopotere se un gigante […] impone i propri termini e le proprie condizioni non in linea con ciò che è stato previsto dalla nuova legislazione sul copyright» e quindi pensa a una possibile modifica della direttiva. Nell’attesa che qualcuno mi illumini sul significato di biopotere in quel contesto, mi permetto di suggerire alla commissaria la modifica definitiva. La direttiva specifica già il concetto di ‘press publication’. Basta pertanto emendare l’articolo 13 togliendo i commi dal secondo al quarto (le eccezioni alla richiesta di soldi per fare i link) e per sicurezza aggiungendo un comma che stabilisce una somma minima per questo “ancillary copyright” creato dalla direttiva, in modo che Google e amici vari non possano applicare la loro forza di mercato. Più una regola è semplice, più è difficile trovare dei cavilli; a questo punto gli editori potranno essere certi che Google finalmente smetterà di inventarsi scappatoie e smetterà di indicizzare le loro pagine, e sicuramente il mercato saprà autoregolarsi e trovare qualcun altro pronto a prendere il posto della Grande G.
Approved!
Nessuna scappatoia per gli editori, devono vedere le loro visite (ed i loro guadagni) crollare per rendersi conto di quanto abbiano fatto.
Poi potranno protestare quanto vogliono, nessuno leggerà i loro articoli.
Il problema qui e` che si vuole sterzare usando i tergicristalli. Gli OTT sono molto grandi e riescono ad evadere le tasse su quanto guadagnano e con i loro soldi si possono permettere di comprare i concorrenti.
Google ha una piattaforma verticale che va dai telefoni Android alle applicazioni alla raccolta pubblicitaria ai server ed ai backbone.
Eppure anche qui vedo persone che parlano dei lauti guadagni dei giornali e non vedono i soldi di Google/Amazon/Facebook
i ricavi dei giornali sono in caduta libera da più di vent’anni (qualche anno prima di Google e amici, che hanno solo acuito il trend). La maggior parte della pubblicità online passa per gli OTT e quindi non tocca i media standard. Gli OTT sono bravissimi a sfruttare tutte le pieghe di una legislazione che non ha ancora capito che per gestire la rete deve pensare in modo transnazionale.
Detto questo, la soluzione non è far pagare Google per mandare traffico ai giornali. E sono pronto a scommettere che se passasse davvero la mia modesta proposta allora Google smetterebbe di indicizzare la stampa.