Nel cinquantesimo anniversario di una delle mille definizioni di Internet torna alla carica la falange di coloro che vogliono che i profili social possano venire aperti solo dietro presentazione di un documento di identità. Passi Gabriele Muccino che fa il regista e quindi non è tenuto a sapere di cosa si parla, come del resto si vede dall’uso dell’espressione “reato penale”; è molto più preoccupante che lo dica Luigi Marattin, che purtroppo le leggi in parlamento le può presentare.
Lasciamo perdere banalità tipo il fatto che Facebook o Twitter dovrebbero gestire i miei documenti – sempre che non faccia finta di nulla e io non usi un proxy per fare un’iscrizione da un server fuori dall’Italia. Mi limito a far notare una cosa. In quanti casi non è stato possibile trovare la persona che ha commesso reati (tipicamente di opinione, perché è di questo che si parla) perché erano anonimi? Nessuno. Anche dopo la fine del decreto Pisanu (altra legge illiberale) gli utonti hanno continuato a scrivere messaggi d’odio senza pensare che ci voleva un attimo perché la polizia postale li rintracciasse. Poi certo, se scrivi messaggi contro Mattarella o Boldrini allora Escopost si attiva subito, se li scrivi contro di me hai voglia… ma questo è irrilevante rispetto alla proponenda legge: non cambierebbe nulla.
Perché allora si continuano regolarmente a proporre leggi di questo tipo? Per me la risposta è semplice: ignoranza. Il digital divide è anche questo: non sapere assolutamente come funzioni Internet dietro le quinte: e notate che non sto parlando del funzionamento tecnico ma di quello per così dire “sociale”. E dire che Marattin ha quarant’anni, mica settanta.
PS: la mia identità è sempre stata pubblica, ma questa è una mia scelta personale. Non vedo nessuna utilità a rendere obbligatorio l’appalesarsi.
Ultimo aggiornamento: 2019-10-29 11:11
L’ignoranza c’è, ma solo in parte.
Uno degli obbiettivi (secondo i proponenti almeno) è l’effetto deterrenza: se ci metti la tua carta di identità sei più conscio di quello che rischi. La disintermediazione rende tutto evanescente e “virtuale”, responsabilità e rischi civili/penali inclusi (per quanto minimo esistono risvolti penali in ambito social). C’è del vero, ma non saprei quantificare.
L’ignoranza scatta più pesantemente quando si entra nel campo applicativo: una legge del genere verrebbe invalidata direttamente in sede comunitaria, se promulgata. Ma non arriverebbe mai in aula, il fuoco amico la impalinerebbe subito.
Se l’obiettivo è la deterrenza potrebbe anche avere una qualche utilità, anche se i problemi rimangono superiori ai vantaggi. Ma il fatto stesso di proporla sembra certificare il contrario, cioè che adesso l’anonimato ti deresponsabilizzi totalmente. E quindi se non verrà approvata (e non lo verrà) otterrà esattamente l’effetto opposto.