È abbastanza noto che la massima evangelica nella quale si vuol far passare un cammello attraverso la cruna di un ago è ritenuta un errore di traduzione: la parola aramaica per cammello ha infatti le stesse consonanti di quella per gomena, che nel contesto ha sicuramente molto più senso. Ma in questo libro (José Miguel García, La vita di Gesù nel testo aramaico dei vangeli [Vida, passión y resurrección de Jesús segun los Evangelios arameos], BUR 2005, pag. 319, € 9,50, ISBN 9788817006354, trad. Enrica Z. Merlo) García ha voluto di gran lunga esagerare, e si è messo di buzzo buono a ricostruire quelli che secondo lui sarebbero stati i veri testi aramaici a noi non pervenuti alla base del (pessimo, a suo dire) greco dei vangeli. Premessa: io non conosco né il greco né tanto meno l’aramaico, quindi il mio giudizio è del tutto a pelle. Per far funzionare la sua tesi, García deve anticipare di quasi vent’anni la data di creazione del vangelo di Luca, che diventerebbe coevo delle prime lettere paoline e non scritto subito dopo la distruzione del Tempio. Ma soprattutto deve postulare che Luca, cristiano di cultura ellenista e di buona padronanza del greco, abbia tradotto pedissequamente le sue fonti aramaiche senza chiedere a qualche testimone cosa significasse quel testo a lui incomprensibile. Posso capire una cosa simile per Marco e Matteo: ho già forti dubbi su Giovanni, a causa del suo gnosticismo, ma per Luca proprio no. Aggiungiamo poi il fatto che il libro nasce per controbattere gli esegeti che tendono a ritenere mitologico il testo e i vangeli – le pagine dedicate a raccontare le ipotesi altrui sono tra le più interessanti – e otteniamo un risultato a volte forzato. Intendiamoci. Alcune ri-traduzioni, come quella del contesto della guarigione del paralitico oppure gli inviti di Gesù a non dire cosa ha fatto che diventano un non ringraziare lui ma Dio, hanno perfettamente senso, e forse anche la ricomposizione dei racconti della resurrezione ha una sua logica; ma ci sono passi in cui tra l’altro non viene nemmeno spiegato il percorso deduttivo che mi sembrano davvero tirate per i capelli, tipo nel raconto del demone e dei porci, della diatriba con i farisei sui pani avanzati, o sulla moglie di Pilato.
Non ho dati per giudicare la traduzione di Enrica Z. Merlo, che ha dovuto rendere spesso in italiano uno spagnolo ultraletterale. L’editor però avrebbe dovuto accorgersi a pagina 284 che la y era spagnola e non greca :)
Se non lo conosci già ti segnalo questo volume della Edizioni Dehoniane Bologna, che non ho ancora acquistato ma che mi ero già ripromesso di fare ad ottobre scorso (sì, sono un po’ troppo pigro…).
L’autore Pinchas Lapide era ebreo (era nel senso che è defunto, non che si è convertito :) ), e in questo caso è decisamente un valore aggiunto (per l’Antico Testamento ovviamente): http://www.dehoniane.it/control/dettagliolibro?idProduct=930507
come se avessi tempo di leggerlo… (questo qua era in coda da otto-nove anni)