Petaloso

Immagino che conosciate già tutti quanto l’insegnante Margherita Aurora ha scritto ieri, sulla risposta – scritta con una lettera cartacea! – alla proposta di un suo allievo di aggiungere al vocabolario della lingua italiana la parola “petaloso”. Tanto per dire, la notizia è approdata persino sul Corriere e sulla Stampa. Vorrei però sfruttare questa notizia per fare notare come la Crusca, usando parole semplici, abbia spiegato un concetto che a chi lavora su Wikipedia è ben noto ma a chi vi si approccia per la prima volta a scrivere qualcosa spesso non lo è: quello di enciclopedicità.

La risposta della Crusca parte dalla constatazione niente affatto ovvia a priori che “petaloso”, nel senso di “con tanti petali”, è una parola ben formata: il suffisso -oso è infatti parecchio usato in italiano anche al giorno d’oggi. Chi ha almeno la mia età si ricorderà sicuramente della campagna pubblicitaria per il lancio della Fiat Uno, disegnata da Forattini, e che era basata su parole in -osa: “sciccosa” e “scattosa” sono attestate dal vocabolario, “comodosa” e “risparmiosa” no, ma tutti capivano il significato. Dal punto di vista della comunicazione, insomma, non ci sono problemi. Però c’è un secondo punto da tenere in conto: la lettera continua infatti spiegando che «Perché entri in un vocabolario, infatti, bisogna che la parola nuova non sia conosciuta e usata solo da chi l’ha inventata, ma che la usino tante persone e tante persone la capiscano». Anche se – come ho scritto sopra – possiamo dare per scontato il secondo punto, resta sempre il primo: perché una parola entri a far parte della lingua italiana al punto di entrare in un dizionario deve essere usata da tanti. Ecco messo in pratica il concetto di enciclopedicità. Allo stato delle cose, “petaloso” è l’equivalente di ciò che su Wikipedia definiamo ricerca originale: qualcosa su cui non diamo un giudizio di valore positivo o negativo, anche perché tipicamente non avremo i mezzi per farlo, ma che non possiamo accettare proprio perché nessuno l’ha ancora dato. Un vocabolario non è una fonte normativa, ma raccoglie e racconta l’uso delle parole di una lingua; un’enciclopedia, o perlomeno Wikipedia, non è un coacervo indiscriminato di informazioni ma fa da fonte secondaria se non addirittura terziaria raccoglie e spiega quanto altri hanno già preparato ed è stato accolto dagli studiosi. Proprio come Euclide rispose a Tolomeo che non esiste una via regia per la geometria, non esiste neppure una via regia per fare entrare una parola in un vocabolario o una voce su Wikipedia: questo non toglie nulla alla creatività di chi se ne è uscito con quella parola, ma è una conseguenza del fatto che siamo così tanti che spesso il successo è puramente questione di fortuna. Petaloso ce la farà a diventare una parola codificata nei dizionari? Chi lo sa!

Ultimo aggiornamento: 2016-02-24 12:40

12 pensieri su “Petaloso

  1. Mauro

    Uscendo dal tema da te trattato, io comunque vorrei fare i complimenti alla maestra.
    Non credo che tanti maestri (sia in Italia che all’estero) avrebbero avuto tanta apertura mentale. La maggioranza degli stessi avrebbe detto a Matteo: “La parola è carina, ma non esiste, quindi è sbagliata”.

  2. un cattolico

    Avendo il bimbo (o meglio una sua compagna con la grafia più bella) scritto su carta è ovvio che la Crusca abbia risposto su carta.

    A prescindere dall’utilità pratica di un simile aggettivo, faccio osservare che non è detto che un vocabolario non diventi normativo: in Francia non solo lo è, ma quanto viene deciso dall’Académie française e dagli altri enti tecnici preposti è vincolante per ogni atto pubblico: quelle parole devono essere usate, e non sono ammessi forestierismi equivalenti, persino nella pubblicità.

    Come la vedresti una Loi Toubon qui in Italia?
    http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=LEGITEXT000005616341&dateTexte=vig

    1. .mau. Autore articolo

      i francesi sono francesi, non contano :-)
      In Germania c’è qualcosa di simile con il Duden, ma ricordo che quando fu approvata la Rechtschreibreform ci fu una consultazione sovrannazionale prima (compresa l’Italia o meglio il Südtirol. Mi chiedo solo che cosa abbiano potuto dire gli svizzeri, il cui tedesco è – diciamo – non proprio specchiato)
      Personalmente, forse perché mi viene in mente il Ventennio, preferisco una moral suasion – pardon, una persuasione morale – a un prescrittivismo.

      1. un cattolico

        Non è forse una forma di prescrittivismo anche quella in atto nelle multinazionali e nelle aziende di grandi dimensioni?

        Che bisogno c’è di usare brainstorming, cascade, call conference e via discorrendo? Eppure se non lo si fa, come i propri capi, si è tacciati di protagonismo! O_o

  3. mestesso

    Questi problemi mi fanno in generale tenerezza.

    La lingua è in uso alle persone, a loro completo piacimento in fiero disprezzo a chi prescrive le norme od a chi raccoglie l’uso che se ne fa (tentando una più o meno improbabile classificazione).

    Le elite hanno sempre usato (e sempre useranno) variazioni più o meno riuscite proprio per rimarcare la loro diversità dalla massa ineducata (dagli hack3r ai chiarissimi filosofi con tutte le categorie in mezzo). I raccoglitori/classificatori inseguono una lepre in continuo movimento, e delle volte scambiano per lepre una lumaca o viceversa. Quando poi un linguaggio inizialmente di elite diventa mainstream, ne viene creato subito un altro per ricreare una elite uguale o diversa. Tutto molto circolare.

    1. .mau. Autore articolo

      @mestesso: e infatti il vocabolario registra ciò che si può trovare in giro ed è usato da abbastanza gente, mica da un’élite.

      1. mestesso

        Il problema del vocabolario non è il suo uso elitario, ma la registrazione indiscriminata (dall’uso “reale”). Di tutte le voci viene spiegato il senso, ma di quante viene specificato l’uso (nel senso di frequenza)? Suvvia, quale è il significato di “abbastanza”? E’ univoco? E’ chiaro, ben documentato? E’ costante o varia nel tempo? E’ puramente documentale (per quanto poco frequentemente usato io lo registro per non perderlo) oppure è una soglia arbitraria? In generale sono questioni non risolvibili e vengono “risolte” quindi arbitrariamente o bellamente ignorate.
        (il lettore del vocabolario poi ci mette del suo interpretando il tutto differentemente da chi ha scritto la voce). Insomma, un bel casino.

        1. .mau. Autore articolo

          il De Mauro ha un’esplicita marca d’uso che considera anche la frequenza, ma in genere ogni vocabolario ha un’abbreviazione che specifica l’uso. Non essendo un vocabolario prescrittivista e non essendo la lingua statica, non si vede perché ci debbano essere soglie ufficiali.

          1. mestesso

            Il problema non è l’ufficialità, ma la chiarezza dei criteri e la loro applicazione. In un certo senso c’è un Principio di Indeterminazione: più materiale raccogli e meno capisci (l’uso reale/storico, il significato nel contesto dato etc). E’ un problema strutturale, non di questo o quel vocabolario.

    2. un cattolico

      @ mestesso:

      «Questi problemi mi fanno in generale tenerezza.

      La lingua è in uso alle persone, a loro completo piacimento in fiero disprezzo a chi prescrive le norme od a chi raccoglie l’uso che se ne fa (tentando una più o meno improbabile classificazione).»

      Eppure in Francia non c’è propriamente Mussolini al potere, ma un sedicente socialista, e la gente non si fa tanti problemi a scrivere parole in francese che tutto il resto del mondo descrive con parole inglesi, perché così sono “sempre” stati abituati a fare, e perché c’è persino una legge che glielo impone. È anche in questo caso solo una questione di abitudini…

      1. mestesso

        Conosco bene la realtà francese.

        Diciamo che c’è una certa dicotomia tra pubblico e privato: le maggiori pubblicazioni sono scritte secondo canoni prescrittivisti, ma i ragazzi e le pubblicazioni mainstream sono decisamente orientate verso un poderoso slang. Lo slang contiene molte parole straniere, ma relativamente poche inglesi (almeno paragonate all’italiano corrente). Vizi privati e pubbliche virtù, insomma.

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