Cosa succede se nel Bel Paese le tre maggiori case editrici si fondono in un unico colosso la cui proprietà è ignota, forse russa o cinese o chissà cosa? Come cambia la vita degli scrittori di successo se devono diventare semplici codici prodotto, per assicurare una produzione e “qualitä” costante dei loro lavori, proprio come i cibi industriali che riempiono anche lo stomaco ma sono assolutamente piatti? Mi sa che questo racconto lungo (Antonio Manzini, Sull’orlo del precipizio, Sellerio 2015, pag. 115, € 8, ISBN 978-88-389-3483-4) sia stato scritto di getto sull’onda della fusione tra Mondadori e Rizzoli Libri, anche se poi Manzini si è lanciato su una distopia. Giorgio Volpe è il prototipo dello scrittore di successo, abituato a essere riverito da tutto il piccolo mondo dell’editoria; quando scopre che le cose non sono più così e il suo ultimo manoscritto che ritiene un capolavoro verrà trasformato in un banale romanzetto dal lessico adolescenziale, con scene di sesso sparse a piene mani e soprattutto breve (ah, sapete che sono tornati di moda i libri “distillati”, come ai tempi di Selezione?). Le sue resistenze sono inutili: non tanto per i metodi mafiosi che la casa editrice Sigma usa per eliminare ogni possibile editore concorrente, per quanto piccolo esso sia, quanto perché alla fine deve accettare il fatto che lui, come del resto gli altri big, non può vivere senza sentire gli osanna del pubblico. Certo, è libero di smettere di scrivere. Ma poi? Chi lo considererà più? Il mio unico dubbio è sul finale, che ho trovato un po’ troppo tirato e ambiguo in un modo banale. Vedere parte del pubblico che lascia la presentazione del libro in versione Sigma forse dovrebbe essere un possibile segno positivo, ma nel contesto mi pare troppo forzato.