Il Canto di Natale di Dickens è una di quelle opere che tutti più o meno conoscono, ma che non so quanti abbiano letto davvero. Quest’anno l’abbiamo scelto come lettura serale per i nostri seienni, e ci siamo accorti che almeno l’edizione che abbiamo a casa (Charles Dickens, Canto di Natale [A Christmas Carol], Bur 2011 [1853, 1985], pag. 143, € 6,90, ISBN 9788817053945, trad. Maria Luisa Fehr) non è mica così semplice. Vabbè, i dettagli della storia non erano come me li ricordavo io – ma questo è probabilmente colpa di Natale in casa Muppet che mi ha confuso le idee – e Dickens è molto più moralista, con Scrooge che sta già iniziando a convincersi quando è visitato dal primo spirito. Ma soprattutto ho trovato la traduzione di Maria Luisa Fehr molto pesante. Probabilmente era lo stile che andava in voga negli anni ’70 del secolo scorso, ma provare a leggerlo oggi a un bambino aggiunge difficoltà alle difficoltà intrinseche di spiegare come era la vita duecento anni fa.
Ho letto da pochissimo, complice il periodo natalizio, l’originale inglese.
Non ho le capacità di apprezzare le sfumature della lingua nel tempo, ma la forma e il lessico datati sono abbastanza evidenti pure per me.
Ci sarebbe la versione a fumetti pubblicata su un vecchio Topolino, volendo; la ricordo abbastanza fedele all’originale.