Grazie a Piero D’Ancona, ieri ho avuto il piacere di leggere questo post in cui Marco Grimaldi – nel contesto dell’attribuzione a Jacopo Alighieri degli ultimi capitoli del Paradiso dantesco – spiega pacatamente come anche in letteratura un assioma dev’essere una verità evidente, e che scegliere un assioma solo perché ci piace o perché vogliamo mostrare come siamo bravi non sempre dà risultati validi anche quando essi non sono contraddittori.
Mi è però rimasto un dubbio. Grimaldi fa notare come per Dante non esiste una netta separazione tra scienza e letteratura – questo me l’aveva spiegato la buonanima di don Bellone al liceo, quando studiavamo la Commedia – così come non esiste per Galileo – e questo probabilmente dovreste ricordarlo tutti, perché il pisano spunta nella storia della letteratura italiana forse ancora più che nelle ore di fisica. Bene: qualcuno dei miei ventun lettori ha qualche idea di quando e dove è nata questa separazione? La mia sensazione è che non sia nata in Italia, sia precedente a Benedetto Croce, e nasca in maniera opposta, che cioè prima la scienza si è separata dalla letteratura e poi Croce abbia fatto una battaglia di retroguardia – riuscitagli benissimo – per convincere l’italica stirpe che la separazione è cosa buona e giusta perché l’unica vera cultura è quella letteraria mentre la volgare scienza si limita a fare le cose. Però non ho una cultura sufficiente per esserne certo. Chi mi aiuta?
(p.s.: ricordatevi che la scienza non è fatta solo di formule. Le formule sono una notazione compatta per tirare fuori dati, ma sono appunto una notazione: un mezzo, cioè, e non il fine).
Ultimo aggiornamento: 2015-10-20 09:51
Una domanda molto interessante. Io ho una stima dall’alto: Cartesio, che di mestiere faceva il soldato e il matematico, nel novembre 1619 ha un sogno in cui un’entità divina gli suggerisce che le scienze siano la chiave di un nuovo percorso filosofico. Sembrerebbe che già ai tempi di Cartesio la distinzione fosse già abbastanza netta, anche se appunto non molto apprezzata da lui (né, poco dopo di lui, da persone come Leibniz).
su Faccialibro, Peppe segnala questo articolo e il nome di William Whevell.
«Peppe segnala questo articolo e il nome di William Whevell»
Grazie a Liberti per ambo le segnalazioni.
Forse può interessarti questo abbozzo di articolo del matematico Carlo Felice Manara (https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Felice_Manara) sul tema delle due culture. Non entra nelle ragioni storiche purtroppo, ma è pur sempre il punto di vista di un matematico per giunta cattolico, come te: http://www.carlofelicemanara.it/public/file/File/Biografia/La%20Matematica%20tra%20due%20culture.pdf
Qui invece la traduzione della conferenza di Snow citata nell’articolo segnalato da Liberti http://www.irpps.cnr.it/it/system/files/SnowLedueCulture_1.pdf (scansione non completa di un’edizione della Marsilio, nella quale non poteva mancare un intervento di Odifreddi – assente in questa scansione. Osservo che l’edizione della Marsilio sostiene che il pamphlet di Snow in versione allungata sia del 1965, mentre l’articolo “di” Liberti riporta “1963”).
Persino la Treccani (Massimo Carlo Giannini, 2014) si limita a citare anche lei solo Croce e Snow: http://www.treccani.it/magazine/cultura/Sapere_umanistico_e_sapere_scientifico.html
Beh, dipende da che cosa intendi con separazione tra scienza e letteratura. Penso che anche Dante avesse in mente che fossero cose _distinte_, anche se non nettamente come adesso e soprattutto non contrapposte come adesso.
Direi che la separazione è nata nel Settecento e si sia radicalizzata nell’Ottocento. Prendi Goethe che si credeva scienziato ma gli dava retta solo Schopenhauer…
@ivo: nì. Dante non aveva problemi a parlare di scienza nella Commedia. È chiaro che trivio e quadrivio erano distinti, ma non si poteva prescindere da uno e limitarsi all’altro…
Se vai a guardare, Goethe non lo prendeva sul serio solo Schopenhauer. Anche a causa dell’incredibile culto Goethiano in Germania, un sacco di sue scoperte o pseudoscoperte sono ancora riconosciute e venerate. A Jena c’è una torre con un cartello che racconta che un giorno Goethe era lì, entrò in una sala dove c’era una lezione di anatomia e al volo scoprí un nuovo osso (nella collo, se non ricordo male) di cui nessuno si era mai accorto. Cose cosí. Per i Tedeschi, Goethe era ed è ancora una specie di McGyver. Persino quell’abominio scientifico che è la sua teoria dei colori viene ancora insegnata nelle scuole.
Questa cosa di giudicare comportamenti e personaggi del passato con il metro di oggi mi fa impazzire. Certo che Dante era integrato nella vita medievale dell’epoca e politicamente potremmo dire che fu conservatore e zerbinato al potente di turno (rif. vita di Dante). Non vedo come avrebbe potuto essere altrimenti; le categorie di oggi non sono le stesse di allora. Non sono uno storico, ma per un intellettuale che doveva vivere di mecenatismo e in esilio, lo zerbinatura, chiamiamola così, non credo che fosse un’alternativa, semmai una prassi per sopravvivere.
Dante aveva conoscenze astronomiche all’avanguardia, per l’epoca. Sfido qualsiasi letterato contemporaneo ad avere una formazione astronomica basica, non dico padroneggiare concetti di astrofisica odierni. Ma ha senso questa osservazione? Possiamo paragonare la specializzazione di oggi con quella di ieri?
«Questa cosa di giudicare comportamenti e personaggi del passato con il metro di oggi mi fa impazzire.»
«Ma ha senso questa osservazione? Possiamo paragonare la specializzazione di oggi con quella di ieri?»
Sostanzialmente tutto il bell’articolo del prof. Marco Grimaldi (a proposito: grazie Maurizio!) è incentrato su questi due concetti correlati tra loro. Anche se il motivo principale per cui è stato scritto è sfottere bonariamente, con le competenze di un letterato, Odifreddi, che in questo caso – come nelle questioni religiose [*] – straparla di ciò che conosce solo superficialmente, forte del fatto che verrà letto praticamente solo da appassionati di scienza ma digiuni come lui di storia (come scrive apertis verbis anche Grimaldi).
[*] La chicca riportata da Grimaldi è che secondo Odifreddi il Deuteronomio «in realtà l’aveva scritto Giosia» (p. 288), tesi non meno risibile (per le ricerche attuali) di quella storica che vorrebbe in Mosè l’autore, che peraltro la Chiesa adottava sicura con poche riserve almeno fino al 1906 http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_19060627_pentateuchi_it.html e con qualche riserva in più nel 1948 http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_19480116_fonti-pentateuco_it.html.
Ti dico come l’ho studiata io. Nell’antichità, e poi nel Medio Evo e fino al Rinascimento, quella che chiamiamo “la conoscenza”, e che comprende tanto la fisica, l’astronomia, la matematica, quanto la letteratura, l’arte o la filosofia, insomma l’intero scibile umano, era tale da poter essere padroneggiato da un singolo uomo, sia pure di genio. Personaggi come Dante o Galileo rappresentano perfettamente questo “uomo totale”: grandi letterati che ne sanno anche di scienza, o grandi scienziati che padroneggiano perfettamente la letteratura. Con il passare dei secoli e lo specializzarsi delle conoscenze, questo genio totale diventa sempre più difficile da realizzare: l’ultimo forse è stato Goethe. Si è trattato quindi di un processo naturale, inevitabile: allo stesso modo la filosofia, che nell’antichità si occupava di tutto (dagli atomi alla politica), con il passare del tempo ha dovuto ritirarsi da questi campi e lasciare il passo a discipline più specialistiche. Benedetto croce, poveretto, non c’entra niente: lui era convinto che quelli della scienza fossero “pseudoconcetti”, e che le uniche verità “vere” fossero quelle della filosofia idealistica. (Infatti Croce apprezzava pochissimo il Dante “scienziato”.) Ciao
@Fenoglio: grazie del tuo commento! Però il mio dubbio è leggermente diverso, ed evidentemente mi sono spiegato male nel post. Penso concordiamo tutti che è impossibile padroneggiare tutto lo scibile umano; tanto per rimanere nel mio orticello, penso che Poincarè o al massimo Von Neumann siano stati gli ultimi a padroneggiare anche solo tutta la matematica. Però letteratura ce ne può essere di tanti tipi: un romanzo storico è indubbiamente diverso da uno fantastico, la poesia è un’altra cosa ancora e almeno per quanto mi riguarda la saggistica fa parte a pieno titolo della letteratura. Ecco: perché c’è questa concezione secondo cui il concetto di “letteratura scientifica” è oggi un ossimoro?
A proposito di matematici universali, non sottostimerei Terry Tao, un uomo che a 40 anni esatti è già un genio assoluto, ha una medaglia Fields, 270 pubblicazioni con 45.000 citazioni (solo 10.000 in meno di Erdős, che è morto molto piú vecchio), pare sia sul punto di risolvere uno dei Millennium Problems e di sicuro prima o poi vincerà il premio Abel.
Bella domanda. Mi viene in mente, a parziale confutazione, il libro di Hofstadter “Godel Hescher Bach”: se non è letteratura scientifica quella! Mi dirai che una rondine non fa primavera, ma in fondo anche di Dante ne nasce uno ogni millennio. Aggiungo che i contemporanei dell’Alighieri e di Galileo, quando scrivevano di scienza, usavano il latino: le loro opere sono oggi giustamente considerate prive di ogni valore artistico, mentre La divina commedia e il Dialogo dei massimi sistemi continuiamo a leggerli proprio perché scritti in volgare: una lingua che, all’epoca, era considerata del tutto inadatta al discorso scientifico (e la genialità di un Dante e di un Galileo è consistita proprio nell’aver dimostrato che non era vero niente). Cosa voglio dire? Che forse al giorno d’oggi arte e scienza convivono sì, ma in forme e linguaggi che facciamo fatica a riconoscere, perché troppo “nuovi” rispetto alla tradizione (il linguaggio del cinema? Quello delle arti concettuali? Mi fermo perché non voglio fare il tuttologo. Ciao, è un piacere dialogare con te.)