servi della gleba 2.0

Io sono perfettamente d’accordo che i profughi ospitati in Italia lavorino secondo le loro capacità. (Più precisamente “siano occupati”: seguire un corso di italiano è un’ottima cosa, se vuoi restare in Italia). Ma mi chiedo se il sindaco di Brescia Emilio Del Bono sappia che persino le ragazze alla pari hanno nel loro contratto dell’argent de poche, insomma non hanno solo vitto e alloggio. È vero che «[n]on possono restare settimane senza fare nulla», ma il lavoro deve essere correttamente retribuito. Altrimenti abbiamo davvero dei servi della gleba.
(Ah: ho il sospetto che l’«assenza di una formazione specifica» sia più alta tra gli italiani che tra i profughi, ma non ho le prove)

Aggiornamento: dimenticavo il link e la frase virgolettata «devono lavorare gratuitamente per la collettività, in cambio dell’ospitalità».

Ultimo aggiornamento: 2015-07-20 13:42

3 pensieri su “servi della gleba 2.0

  1. mestesso

    Personalmente ho il sospetto (non sono così preparato sulla normativa in materia) che quanto faccia del Bono sia illegale. Diciamo che sta sicuramente in una area grigia.

    Ciò detto, c’è lavoro e lavoro. Nel senso che se un lavoro genera profitto deve essere retribuito con una redistribuzione del profitto stesso (aka soldi in busta paga).

    C’è il lavoro che non genera profitto che può (non deve, opzione) essere retribuito in qualcosa di non monetizzabile (tipo vitto ed alloggio, ma anche altre forme). Dove finisce l’equità del compenso ed inizia lo sfruttamento? Inizia con la natura stessa della prestazione secondo me: se fai qualcosa che in realtà sarebbe in carico ad un dipendente statale è sfruttamento. Ma se invece aiuti il centro anziani locale, distribuisci i pasti alla mensa dei poveri e così via, io davvero non ci vedo nulla di male. Fa bene a tutti, e preverrebbe che Casa Pound mettesse il naso, braccia e gambe nelle diatribe condominiali. La gente avrebbe meno paura dell’uomo nero e chi è profugo avrebbe una esistenza meno misera che una vuota attesa di anni.

    1. .mau. Autore articolo

      quello sarebbe volontariato, lo si definisce come tale (e non si dice che «devono lavorare gratuitamente per la collettività») e ci si aspetta che qualcuno possa dire “no, grazie” con pieno diritto.

      1. mestesso

        Ahimé volontariato oggi è (a volte) una attività retribuita (croce rossa docet), il che rende il termine un poco meno chiaro a questi usi. Oggi volontariato non è più nella pura accezione del termine, ma a metà fra la professione e non.

        Quanto alla volontarietà della prestazione (nel nostro caso un richiedente asilo che voglia rimanere inattivo per motivi suoi) lo tratterei come una diminuzione di punteggio nella graduatoria. Ricordo a tutti che il richiedente asilo oggi è vincolato a richidere asilo alla nazione ospitante, quindi si presume (Schengen a parte) rimanga dove è. Ma davvero questo è l’ultimo dei problemi: non credo esistano richidenti asilo che si rifiutino di lavorare.

        Esiste invece un problema di gestione, come si evince chiaramente dalle cronache. Se si fa all’italiana cioè nulla e si interviene solo quando la gente usa il bastone e le molotov, e solo per picchiare, siamo sicuramente dalla parte del torto. Lo siamo pure se condanniamo questa gente a non far nulla secondo me. Discutiamo sui mezzi, ma facciamo qualcosa.

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