Valdo Fusi non era torinese di nascita (nacque a Pavia) ma lo era indubbiamente di adozione. In questa sua opera postuma (Valdo Fusi, Torino un po’, Mursia 1976, pag. 229) – morì improvvisamente poco dopo avere consegnato all’editore Mursia il manoscritto – Fusi racconta dell’architettura dela città sabauda, con particolare attenzione al barocco e un odio viscerale per tutti gli scempi che erano stati perpetrati nel dopoguerra. Chissà, forse è per nemesi storica che il piazzale a lui intitolato è stato sventrato per un parcheggio sotterraneo coronato da un edificio di rara bruttezza.
Ho trovato il testo un po’ ripetitivo. Sicuramente non è pensato per chi di architettura ci mastica un po’, nel senso che i giudizi sono molto impressionistici: devo però dire che lo stile, e i riferimenti esterni vari sono molto interessanti. Molto utili sono poi le schede finali, aggiunte dalla vedova Edoarda dopo averle ripescate tra le carte del marito. Per i curiosi, il piccolo editore torinese Riccadonna ha ultimamente ristampato il testo che altrimenti è rintracciabile – a fatica – solo in biblioteca.